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Ponter si mise Mega in spalla e uscì. Mary lo seguì e chiuse la porta dietro di sé. Ponter inspirò più volte a pieni polmoni, percorrendo il perimetro dell’abitazione. A un certo punto si fermò. — Di là — disse, indicando verso est.

— Grande — disse Mary. — Andiamo!

Le bimbe neanderthaliane sapevano tutto sulla raccolta dei frutti di bosco, ma difficilmente partecipavano a una battuta di caccia, per cui Mega era entusiasta. Sempre con la figlia in spalla, Ponter marciava come uno stambecco su per le rocce e tra gli alberi; Mary faticava a tenere il passo. La loro intrusione spaventò un cervo e uno stormo di colombe migratrici.

Non era facile calcolare le distanze, ma dopo quelli che dovevano essere 6 o 7 chilometri Ponter indicò una sagoma in lontananza, accucciata presso un torrente.

— È lei — sussurrò. — È sottovento rispetto a noi, non ci ha ancora fiutati.

— Avviciniamoci — rispose Mary.

Ponter posò Mega e le fece cenno di non fare rumore, poi arrivarono come fantasmi fino a una quarantina di metri dalla donna, poi Mary calpestò il classico ramoscello. A sentire lo scricchiolio, la neanderthal si alzò, li squadrò, e filò via.

— Aspetta! Resta qui!! — gridò Mary.

Lo aveva detto d’istinto, ma la fuggitiva si bloccò e tornò davvero indietro. Il fatto era ancora più notevole in quanto Mary aveva urlato in inglese. Ora, sebbene Christine avesse immediatamente tradotto, la neanderthal non doveva mai aver sentito una voce aliena, neppure sui mezzi di comunicazione, dato che si era privata del Companion. Non doveva neppure essere al corrente dell’esistenza del varco.

Ponter, Mega e Mary le andarono incontro, e le si avvicinarono fino a una ventina di metri. L’espressione sul volto della donna era di infinito stupore.

— Che… che cosa sei? — chiese.

— Ti prego, non scappare. Io mi chiamo Mary Vaughan. Tu sei Vissan Lennet?

— S… sì — rispose lei. — Sono Vissan. Vi supplico, non fatemi del male.

Mary lanciò un’occhiata a Ponter, poi le disse: — Certo che no! — Quindi, di nuovo rivolta a Ponter — Perché mai dovremmo?

Ponter spiegò a bassa voce: — È priva di Companion, perciò non sta avvenendo una registrazione a suo beneficio nel suo archivio degli alibi, e lei non è più sotto tutela della legge.

— Non avere paura! — la incoraggiò Mega. — Non siamo cattivi.

Il trio provò ad avvicinarsi di altri cinque metri. Vissan ripeté: — Che cosa sei?

— Ci crederesti? È una gliksin! — esclamò Mega. Vissan strabuzzò gli occhi. — Non prendetemi in giro.

Cosa sei?

— La piccola dice la verità. Sono davvero una gliksin.

— Straordinario! — balbettò Vissan. — Ma… sei un’adulta. Se qualcuno avesse recuperato il materiale genetico di una gliksin così tante decine di mesi fa, lo avrei saputo.

L’aveva scambiata per un clone di laboratorio. — No, non è successo in questo modo. Sono…

— Lascia provare me — intervenne Ponter. — Vissan, sai chi sono?

Lei aguzzò la vista, poi scosse la testa. — No.

— È mio papà — disse Mega. — Si chiama Ponter Boddit. È un 145. E io una 148!

Ponter aggiunse: — Hai mai sentito parlare di una chimica di nome Lurt Fradlo?

— Di Saldak? — disse Vissan. — Conosco il suo lavoro.

— Lurt è la compagna di Adikor — spiegò ancora Mega — e Adikor è il compagno di papi.

Ponter mise una mano sulla spalla della figlia. — Esatto. lo e Adikor siamo fisici quantistici. Siamo riusciti a intercettare un universo parallelo in cui sono sopravvissuti i gliksin, invece che i barast.

— Mi stai prendendo per il pelo — commentò Vissan.

— Nient’affatto! — disse Mega. — Papi era sparito nella miniera di Debrai, e Daklar pensava che Adikor gli avesse combinalo qualcosa, ma Adikor non se lo sarebbe mai sognato, e Jasmel, che è mia sorella, ha aiutato Adikor a recuperare papi. Poi hanno fatto un varco sempre aperto, ed è arrivata Mèr.

Vissan comprese la trama. — Non regge — disse. — La donna proviene da questo mondo. Ha un Companion.

Che occhio! Un pezzo compariva da sotto il polsino.

Mary si tolse il giubbotto, tirò su la manica e mostrò l’impianto. — È stato installato solo di recente — disse. — Si vedono ancora i segni dell’operazione.

Vissan fece un passo avanti. Poi un altro. E un altro ancora.

Infine disse: — È vero.

— Tutto ciò che abbiamo detto è vero — ribadì Ponter.

Vissan si portò le mani agli ampi fianchi ed esaminò a lungo il volto di Mary. Quel nasino insignificante, la fronte alta, il mento protruso in avanti. — C’è da sospettarlo — disse.

21

“La paleoantropologia ci dice che la nostra specie umana migrò dall’Africa settentrionale, diede un’occhiata oltre lo Stretto di Gibilterra e notò che dall’altra parte c’era un continente. E affrontò i rischi della traversata verso l’Europa…”

Vissan era una 144, con quasi dieci anni in più di Mary. Aveva occhi verdi e capelli in gran parte grigi. Indossava abiti di fattura piuttosto rozza, con toppe sparse. Una sacca di pelle a tracolla.

I quattro stavano tornando alla capanna. — E va bene — disse Vissan — voglio credere a questa storia. Il che non spiega ancora perché siate venuti a cercarmi.

Avevano raggiunto un ruscello. Ponter sollevò Mega e superò d’un salto il coreo d’acqua. Poi allungò la mano per aiutare Mary. Vissan se la cavò da sola.

— Anch’io sono una biochimica — rispose Mary. — E ci interessa il tuo codificatore di codoni.

— È fuorilegge — disse lei. — Messo al bando da un pugno di idioti.

Ponter fece segno di tacere. A poca distanza era comparso un gruppo di cervi. Mary restò per qualche secondo ad ammirarli.

— Vissan — sussurrò Ponter — hai scorte a sufficienza? Ne caccerei volentieri uno per te.

Vissan rise, e rispose a volume normale: — Sei molto gentile, Ponter, ma so badare a me stessa.

Ponter abbozzò. Proseguirono, facendo fuggire i cervi; in lontananza s’intravedeva la capanna.

— Il mio interesse per il codificatore — disse Mary — non è solo professionale. Io e Ponter vorremmo avere un figlio.

— Avrò una sorellina! — disse Mega. — Ho già una sorella grande, ma mica tutti ne hanno sia una più grande sia una più piccola!

— Sei una bambina davvero speciale — le disse Mary.

— E la tua compagna barast? — chiese Vissan a Ponter.

— Non c’è più.

— Mi spiace.

Avevano raggiunto l’abitazione dell’eremita. Vissan aprì e li invitò a entrare. Poi si tolse il cappotto di pelliccia…

… E Mary vide la cicatrice sulla parte interna dell’avambraccio sinistro.

Ponter prese posto al tavolo, contemporaneamente intrattenendo Mega, che gli mostrava i tesori raccolti nella foresta.

Mary fissò Vissan negli occhi. — Allora, quel prototipo… esiste ancora?

— Perché ne avete bisogno? — chiese lei. — Uno dei due è stato sterilizzato?

— No — rispose Mary.

— Quindi, perché?

Mary si voltò verso Ponter. Era tutto preso da un racconto di Mega.

— I barast e i gliksin — disse Mary — così come gli scimpanzé, i bonobo, i gorilla e gli oranghi, hanno un antenato comune. Le analisi del DNA fanno pensare che quell’antenato avesse 24 coppie di cromosomi, caratteristica che hanno conservato tutti i suoi discendenti; tranne i gliksin, in cui due cromosomi si sono fusi in uno, per un totale di 23 coppie. Perciò il genoma ha la stessa quantità di materiale, ma la sua diversa distribuzione tra i cromosomi rende problematico un concepimento naturale.

— Affascinante — disse Vissan. — Sì, il codificatore è effettivamente in grado di produrre una sequenza cromosomica che combini il DNA tuo e di Ponter.