— Un impianto wireless? — disse Jock, che nonostante tutto era intrigato dall’ipotesi.
— Sì. Già nel 1993 Karl Popper aveva proposto che la coscienza fosse la manifestazione di un campo di forze presente nel cervello, che però lui riteneva di tipo ignoto, altrimenti sarebbe stato identificabile. Ma, secondo McFadden e Pockett, si tratta semplicemente di un campo elettromagnetico.
— E lo hanno misurato?
— È certo che nel cervello c’è; in fondo, cos’altro misura un elettroencefalogramma? Però ricorda che la scienza dei nostri amici barasi ha unificato l’elettromagnetismo e l’interazione nucleare forte. In altre parole, i campi elettromagnetici includono più cose di quante sospettiamo.
— Ma quei due studiosi hanno dimostrato che da ciò dipenda anche la coscienza?
Louise si scostò una ciocca di capelli dagli occhi. — No, non ancora. Ed è innegabile che la teoria susciti vivaci reazioni nel mondo accademico. Il buon vecchio Cartesio dava corpo e pensiero come due realtà separate, ma ormai la sua filosofia è abbastanza fuori moda e, be’, c’è chi vede il CEMI come un velato ritorno a essa. Peccato che il CEMI presupponga una mentalità di tipo computeristico. In soldoni, McFadden e Pockett sostengono che coscienza e informazione sono lo stesso fenomeno osservato da due punti di vista, e…
— E quindi?
— E quindi — disse Louise — se la coscienza è un fenomeno elettromagnetico, non c’è troppo da stupirsi che sia emersa durante una crisi geomagnetica. Ora, come dicevo, il caso recente dei barasi dimostra che di per sé un collasso non danneggia la coscienza… ma io sono pur sempre una specialista in radiazioni solari, e ritengo che i nostri cervelli, con i loro delicati campi elettromagnetici, subiranno delle conseguenze da questo improvviso assalto di radiazioni, in assenza di campo. Più ci penso, più trovo inevitabile una qualche forma di implosione della coscienza.
— Sciocchezze — disse Jock. — L’anno scorso mi sono sottoposto a risonanza magnetica, e ti assicuro, ragazza mia, che per tutto il tempo ho conservato le piene facoltà.
— Questa infatti è la più comune obiezione alla teoria — disse Louise. — McFadden tuttavia sostiene che il fluido contenuto nei ventricoli cerebrali, di fatto, crea una gabbia di Faraday che isola il cervello da gran parte dei campi magnetici esterni. Quanto alla risonanza, sottolinea che si tratta di campi magnetici statici, che modificano solo la direzione delle cariche, perciò non hanno effetti fisiologici. Così come anche quello geomagnetico è un campo statico e sostanzialmente uniforme… almeno, finché non arriva un collasso. Ma un’inversione di campo induce correnti elettriche nel cervello, che ne condizionano l’attività. Non a caso esistono severe restrizioni all’iterazione di stimolazioni magnetiche trans-craniche: potrebbero produrre epilessia.
— Ma allora, se la coscienza è un campo elettromagnetico, perché non possiamo misurarlo?
— Possiamo. Susan Pockett ha raccolto numerose esperienze che dimostrano come il campo cerebrale muti in modo quantificabile in relazione a determinati fattori: per esempio, se si osserva una superficie rossa piuttosto che blu, eccetera. Ora, se si recide il corpo calloso, il fascio di nervi che connette i due emisferi, ci si aspetterebbe di interrompere la comunicazioni tra le due parti del cervello. E invece, tutto continua a funzionare in modo più o meno regolare. Pur in assenza di collegamento fisico, la coscienza rimane unita. Proprio perché quest’ultima, dice Pockett, si manifesta nel campo magnetico che continua ad avvolgere l’intero cervello.
— Insomma, stai sostenendo che… che i due emisferi cerebrali comunicano telepaticamente? Ma per favore!
— E però comunicano.
— Allora, perché non riesco a leggere i pensieri di chi mi sta accanto?
— Anzitutto, ricorda la gabbia di Faraday. In secondo luogo, sostiene Pockett, le principali oscillazioni associate alla coscienza hanno una frequenza nell’ordine dagli 1 ai 100 hertz, concentrate intorno ai 40 hertz. Il che significa che hanno una lunghezza d’onda intorno a 8000 km, e che per captarle occorrerebbe un’antenna gigantesca. In ogni caso, è perfettamente credibile che il campo magnetico si integri intorno al volume di un singolo cervello. Uno dei punti forti della coscienza è appunto la sua capacità d’integrazione. — Indicò un libro sulla scrivania di Jock. — Una parte del cervello riconosce il colore verde, un’altra distingue i contorni dell’oggetto, un’altra ripesca il concetto di “libro”… Come si mettono insieme i diversi comparti, producendo l’idea che noi stiamo osservando un oggetto verde chiamato “libro”? La teoria CEMI ne attribuisce il merito al campo elettromagnetico.
— Qui si fanno discorsi sui massimi sistemi…
— È una teoria-limite, ma con solide basi scientifiche. Guarda, Jock, finora non è che mi fossi spremuta troppo le meningi su questi temi, ma mi sono ritrovata in mezzo a un settore di ricerca affascinante.
— Con il risultato di preoccuparti per la sorte della nostra coscienza in caso di collasso geomagnetico?
— Non ho detto che succederà per forza qualcosa. Dopotutto, ai neanderthal non è successo niente. Ma… sì, sono davvero preoccupata. E penso che dovresti esserlo anche tu.
23
“Ma i neanderthal non attraversarono lo Stretto di Gibilterra. Ed è lì che venne fuori tutta la differenza tra loro e noi. Perché noi, appena scorgemmo un nuovo mondo a portata di mano, ci lanciammo alla sua conquista…”
— Ed ecco il famoso codificatore di codoni — disse Vissan, posando sul tavolo uno strumento color verde chiaro.
L’oggetto aveva la forma e le dimensioni di tre pagnotte messe in fila, anche se di certo non sarebbe stato questo il paragone che avrebbe scelto un neanderthal.
— È in grado di sintetizzare qualsiasi sequenza di acido desossiribonucleico, o ribonucleico se preferite. Inoltre, tutte le proteine extra che sono necessarie a costruire cromosomi e altre strutture biologiche.
Mary non riusciva a crederci. — La fabbrica della vita… — Guardò Vissan. — Nel mio mondo ti avrebbero assegnato il premio Nobel, il massimo riconoscimento per meriti scientifici.
— Qui invece sono una fuorilegge — disse lei. — Per quanto buone fossero le mie intenzioni.
Mary alzò un sopracciglio. — E quali erano le tue intenzioni?
Vissan non rispose subito. — Ho un fratello minore che vive all’interno di un istituto — disse poi, fissando Mary. — Abbiamo eliminato la stragrande maggioranza dei disagi genetici, ma qualche disfunzione non ereditaria può ancora capitare. Mio fratello è… non so come direste voi. Ha un doppio cromosoma 22.
— Che per noi è il 21 — disse Mary. — La chiamiamo sindrome di Down.
— Anche nei gliksin produce i medesimi effetti? Ritardo fisico e mentale?
Mary annuì. La sindrome ha anche effetti sui tratti somatici, ma non aveva idea di quali fossero nei barast.
— Mia madre — proseguì Vissan — apparteneva alla generazione 140. Avrebbe dovuto concepire il primo figlio all’età di 20 anni, ma non ci riuscì né allora né a 30 anni. Io nacqui quando lei aveva 40 anni, e mio fratello Lanamar quando ne aveva 50.