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Infine Bandra tirò fuori un partanlar, il gioco da tavolo che Mary aveva già conosciuto da Ponter. In questo caso, però, la scacchiera non era in legno ma di pietra levigata, come si addiceva a una geologa.

— Ehi, lo conosco! — disse Mary.

Diversamente da scacchi e dama, in cui i giocatori siedono uno di fronte all’altro, qui non c’era questa necessità perché i movimenti non avvenivano avanti e indietro nelle stesse direzioni. Perciò Bandra posò la scacchiera su un tavolino di fronte a uno dei divani, poi vi si accomodò lasciando ampio spazio per Mary.

Giocarono per un’oretta. Era soprattutto un esercizio per passare piacevolmente il tempo, non una competizione. Nessuna delle due si accaniva per vincere; anzi, ognuna delle due apprezzava le migliori mosse dell’avversaria.

— È bello averti qui — disse Bandra.

— È bello essere qui — rispose Mary.

— Sai — disse Bandra — ci sono persone nel mio popolo che mal sopportano i contatti tra i nostri due mondi. Per esempio il consigliere Bedros, quello che hai visto sul Voyeur. Ma qualche mela marcia… come direste voi… non guasta l’intero mucchio. Tu sei la prova vivente che quelli come Bedros si sbagliano.

— Ti ringrazio.

Bandra esitò per lunghi secondi. Poi, all’improvviso, si chinò in avanti e leccò la guancia sinistra di Mary.

Lei si sentì gelare. — Bandra!…

Bandra abbassò gli occhi. — Perdonami. Lo so che tu non lai queste cose…

Mary le fece scivolare le dita sotto il mento, sollevandole la faccia per guardarla negli occhi. — No — le disse. — Io non faccio di queste cose. — Fissò le sue iridi del colore del grano. Il suo cuore batteva a tamburo.

Carpe diem.

Si chinò in avanti e posò le labbra su quelle di Bandra. — Io faccio così — disse.

29

“Per quanto i nostri cugini neanderthal saranno i benvenuti, se vorranno unirsi alla missione Marte, è probabile che l’idea li alletterebbe poco…”

Cornelius Ruskin bussò.

— Avanti — disse una voce femminile che lui conosceva bene, con quell’accento pachistano.

Cornelius inspirò profondamente, e aprì. — Ciao, Qaiser.

La scrivania della professoressa Remtulla era sistemata ad angolo retto rispetto alla porta. Lei indossava una giacchetta verde scuro, con pantaloni neri. — Cornelius! Cominciavamo a preoccuparci tutti!

Lui non riuscì a sorridere, ma disse: — Vi ringrazio.

Poi il viso piatto di Qaiser si corrugò. — Però avrei preferito che tu mi avessi avvertito che saresti rientrato oggi. Dave Olsen è già in classe a sostituirti.

Cornelius scosse appena la testa. — Va bene così. È proprio per questo che sono venuto.

Qaiser fece ciò che fanno in questi casi tutti i docenti universitari: si alzò dalla sedia girevole e liberò un’altra sedia da una pila di libri e riviste. — Prego, accomodati — disse.

Lui lo fece, distendendo le gambe e incrociandole all’altezza delle caviglie.

Scosse la testa. Nel compiere il gesto, non aveva sentito nessuna pressione contro la parte interna delle cosce.

— Cosa posso fare per te? — lo incoraggiò Qaiser.

Cornelius la osservò. Occhi marroni, pelle scura, capelli castani: tre varianti del color cioccolato. Aveva circa 45 armi, una decina in più di lui. E lui l’aveva vista piangere, supplicandolo di non farle del male. Non che se ne fosse pentito: era ciò che lei si meritava. Ma… Ma.

— Desidererei un periodo sabbatico — disse.

— Gli assistenti stagionali non hanno diritto a ferie pagate — fece notare lei.

Cornelius annuì. — Lo so. È che… — Aveva ripetuto tra sé mille volte la parte, ma ora si chiedeva se fosse l’approccio giusto. — Come sai, sono stato poco bene. Il mio medico sostiene che ho bisogno di… di riposo.

Qaiser fece un’espressione preoccupata. — È qualcosa di serio? Posso aiutarti in qualche modo?

— No, no, tutto bene. Ma è che… non me la sento di tornare in classe.

— Be’, tra poche settimane arriva Natale. Se potessi resistere fino ad allora…

— Mi spiace. Penso di non farcela.

Qaiser fece una smorfia. — Sai che siamo già sotto organico. Con Mary assente, poi… Lui annuì, ma non disse nulla.

— Devo farti una domanda. Questa, dopotutto, è una facoltà di Genetica, con un sacco di sostanze in giro che potrebbero danneggiare la salute, e io sono responsabile per gli studenti e il corpo docente. Il tuo problema è legato a qualche sostanza chimica qui presente?

Cornelius scosse la testa. — No, niente del genere. — Inspirò a lungo. — Però non posso trattenermi.

— Perché?

— Perché… — Fino a qualche settimana prima, parlare di questo argomento lo avrebbe fatto infuriare come una belva. Adesso si limitò ad alzare le spalle. — Perché avete vinto voi.

— C… come?

— Avete vinto voi: il sistema. Mi avete battuto.

— Quale sistema?

— Oh, andiamo! Il sistema di assunzione, quello di promozione, quello di assegnazione delle cattedre. Non c’è posto per l’uomo bianco.

Qaiser non lo guardò negli occhi. — Sono state scelte difficili per l’ateneo… per ogni ateneo. Ma, nonostante la presenza mia e di qualche altra collega, la facoltà di Genetica si trova ancora al di sotto delle quote rosa fissate.

— Vi spetterebbe il 40 per cento — rimarcò Cornelius.

— Esatto, e siamo ancora ben lontane. — Qaiser assunse un tono polemico. — E anche se fosse, dovrebbe spettarci il 50. Perciò…

— Il 50 — ripeté Cornelius, con una calma che sorprese lui stesso. — Anche quando le donne rappresentano solo il 20 per cento dei candidati?

— Be’, okay, in quel caso… ma comunque la quota è del 40.

— Quante cattedre ci sono in questa facoltà?

— Quindici.

— E quante sono tenute da donne?

— Al momento? Contando anche Mary?

— Ovvio.

— Tre.

Cornelius annuì. Due di loro, le aveva sistemate. La terza era sulla sedia a rotelle, e lui non aveva avuto il coraggio di…

— Perciò, le prossime tre assegnazioni di cattedre andranno in quote rosa, dico bene?

— Be’, sì. Se le candidate sono qualificate.

In passato, quell’ultima frase lo avrebbe fatto esplodere. Ora replicò: — Se Mary non dovesse tornare in facoltà, come sembra probabile, anche lei verrà sostituita da una docente, giusto?

Qaiser annuì, ma continuava a non guardarlo negli occhi.

— Se ne deduce che le prossime quattro cattedre verranno assegnate a donne. — Riuscì a fermarsi prima di aggiungere: “Preferibilmente nere e zoppe”.

Qaiser annuì di nuovo.

— Ogni quanto tempo si libera una cattedra? — chiese Cornelius, come se non lo sapesse.

— Dipende da quando la gente va in pensione, o si trasferisce.

Lui attese in silenzio.

— Una ogni due anni, all’incirca — rispose Qaiser alla fine.

— Direi piuttosto: ogni tre. Fidati, ho fatto il calcolo. Il che significa che passeranno 12 anni prima che tocchi a un uomo, e anche allora si accorderà la preferenza a un disabile o esponente di minoranza etnica. Dico bene?