— Già, uno spettacolo incredibile perfino per me, che sono una fisica specializzata in fenomeni solari. Pare proprio che il campo magnetico terrestre si stia dando da fare.
— A occhio e croce sembri avere ancora tutto, inclusa la coscienza.
Louise sorrise, e indicò il pacco tenuto da Jock: — Ti perdono la battutaccia, visto che mi hai portato dei fiori.
Lui osservò la confezione. — Veramente, è un favore che ho fatto a Mary.
— Che cosa contiene?
— È ciò che intendo scoprire.
Jock si diresse alla reception, dove sedeva la signora Wallace.
— Bentornato, signore.
— Grazie. Appuntamenti per oggi?
— Solo uno. L’ho fissato in sua assenza, spero non le dispiaccia. Un genetista in cerca di lavoro, con credenziali da favola.
Jock emise un grugnito.
— Sarà qui alle 11.30 — aggiunse la signora Wallace.
Jock diede un’occhiata all’e-mail, ascoltò la segreteria telefonica, si fece un caffè espresso, e infine aprì il pacco che gli aveva consegnato Mary. Materiale, colore, struttura: quello lì dentro era senza dubbio un oggetto alieno.
Tuttavia non era un prodotto di serie, visto che alcune delle etichette parevano scritte a mano, in caratteri neanderthaliani. Forse un prototipo.
Jock sollevò la cornetta del telefono e digitò un numero interno. — Lonwis? Sono Jock. Potresti venire nel mio ufficio, per favore?
Lo scienziato neanderthal entrò senza bussare. — Che c’è, Jock? — chiese.
— Ho qui un’apparecchiatura che non saprei come accendere.
Lonwis si avvicinò scricchiolando alla scrivania. Quindi accostò all’oggetto i suoi occhi meccanici. — Qui — disse, indicando un comando isolato. Lo estrasse con due dita: dall’apparecchiatura si levò un ronzio. — Che cos’è?
— Mary lo ha definito un sintetizzatore di DNA.
Lonwis lo esaminò da vicino. — La cassa è standard, ma ha una strumentazione che non avevo mai visto. Puoi alzarlo dal tavolo?
— Come? — disse Jock. — Oh, ma certo. — Lo prese e lo tirò su, permettendo all’anziano scienziato di osservarlo nella parte inferiore.
— Sarà meglio collegarlo a una sorgente energetica esterna, perché… Ottimo, ha una porta standard per interfacciarlo. Io e la dottoressa Benoît abbiamo realizzato alcuni accessori che permettono di far dialogare la tecnologia neanderthal con i vostri PC. Vuoi che te ne fornisca uno?
— Eh?… Sicuro.
— Chiederò alla dottoressa Benoît di occuparsene. — Si diresse all’uscita. — Divertiti, con il tuo nuovo giocattolo!
Jock trascorse ore a studiare il codificatore di codoni con l’aiuto degli appunti di Mary. Quel coso serviva a produrre DNA, almeno questo era fuori dubbio. Nonché RNA. Inoltre sembrava in grado di sintetizzare le relative proteine.
Le conoscenze di genetica di Jock erano strettamente legate ai suoi trascorsi professionali alla RAND, per esempio sull’utilizzo di bio-armamenti. Ma se questo apparecchio poteva produrre stringhe di acidi nucleici e proteine… allora…
Unì le punte delle dita. Ah, quanto avrebbero dato per quella tecnologia i ragazzi di Fort Derrick!
Acidi nucleici. Proteine.
I componenti base dei virus.
Jock restò a fissare l’invenzione barasi, immerso nei propri pensieri.
Il telefono emise uno squillo da un interno. Jock sollevò la cornetta, e la voce della signora Wallace gli comunicò: — È arrivato il suo appuntamento delle 11.30, signore.
— Va bene.
Un attimo dopo entrò nell’ufficio un uomo magro, con gli occhi blu, sui trentacinque. — Dottor Krieger — disse, tendendogli la mano — è un vero piacere conoscerla.
— Si accomodi.
L’ospite prese posto, non prima di avergli passato un corposo curriculum. — Come potrà notare, ho conseguito il dottorato in Genetica a Oxford, dove ho lavorato al Centro per le biomolecole antiche.
— Ha esperienza con i neanderthal?
— Non in modo specifico, però mi sono occupato spesso di materiale tardo-cenozoico.
— Come ha saputo dell’esistenza della nostra società?
— Alla York University, quella di Mary Vaughan, e…
— Di solito, siamo noi a chiamare chi ci interessa assumere.
— Me ne rendo conto, signore. Ma pensavo… siccome Mary si è trasferita nell’altro universo, potreste avere bisogno di un genetista esperto.
Jock lanciò un’occhiata all’oggetto posato sulla scrivania. — In effetti, professor Ruskin, è così.
32
“Ma anche quella sarà solo una pausa momentanea, un minuto di respiro, un attimo di riflessione, prima di riprendere il viaggio allontanandosi sempre di più nello spazio esterno; per continuare a imparare, a scoprire, a crescere, a espandere non solo i confini fisici ma quelli mentali…”
Erano passate tre settimane dal ritorno della delegazione ONU dal mondo barast. Ponter e Adikor erano affaccendati intorno al computer quantistico sotterraneo quando attraverso il tubo Derkers arrivò un ufficiale dell’esercito canadese con un pacco.
Fu Ponter ad aprirlo. La busta che vi era contenuta aveva il logo Synergy. E a sua volta questa conteneva una lettera indirizzata proprio a lui, con il nome del destinatario scritto sia in caratteri gliksin che neanderthaliani.
Ponter aprì anche questa busta, sotto lo sguardo incuriosito di Adikor. All’interno c’era una bacca di memoria. La inserì nella consolle di comando e apparve un’immagine tridimensionale di Lonwis Trob.
— Salute a te, scienziato Boddit — diceva Lonwis. — Ho bisogno che tu torni al quartier generale della Synergy sul lago Jorlant… che i gliksin si ostinano a chiamare lago Ontario, nonostante io li abbia corretti mille volte. Come sai, sto collaborando con la dottoressa Benoît a un progetto di computer quantistico che anche in superficie non abbia problemi di decoerenza, ma è indispensabile il tuo apporto professionale. Fa’ venire con te anche Adikor Huld. Tempo tre giorni.
L’immagine si bloccò, segno che il messaggio era terminato. Ponter si voltò verso Adikor: — Ti va? — disse.
— E me lo chiedi? Incontrerò Lonwis Trob in persona!
Ponter sorrise. I gliksin accusavano i barast di non avere spirito di avventura, e forse era vero: finora Adikor non aveva mostrato alcuna curiosità di vedere quel mondo che lui stesso aveva scoperto. Ma adesso che c’era di mezzo uno dei suoi eroi…
— Abbiamo tutto il tempo di fare le valigie — disse Ponter. — La sede della Synergy non è lontana da qui… il “qui” “di là”, intendo.
— Che starà architettando Lonwis? — chiese Adikor.
— Chissà. Ma sicuramente qualcosa di geniale.
In sala controllo non c’era nessun altro; al computer era all’opera un tecnico neanderthal, e un poliziotto era di guardia al varco.
— Inviterò anche Mèr — aggiunse Ponter.
Adikor assottigliò gli occhi. — I Due non sono Uno.
— Lo so, ma questa regola non esiste nel suo mondo, e Mèr mi odierebbe se andassi di là senza di lei.
— Trob non ha richiesto la sua presenza.
Ponter gli posò una mano su un braccio. — Lo so che per te è stata dura. Ho passato troppo tempo con Mèr, e troppo poco con te. Ma lo sai quanto ti amo.
Adikor annuì lentamente. — Scusami. Mi sto sforzando… più che posso… di non intromettermi tra voi due. Ho sempre desiderato che tu trovassi una nuova compagna, ma non immaginavo che avrebbe fatto incursioni nella nostra vita di coppia.
— Il caso è… intricato, e mi dispiace. Del resto, tra poco Dab verrà a vivere con noi, e allora sarai tu ad avere poco tempo per me.
Appena lo ebbe detto, si morse la lingua.
— Educheremo Dab insieme — replicò Adikor.
— Perdonami. È solo che…