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Completamente nuda, Mary entrò nella camera cilindrica. Insistette perché tutti e tre si sottoponessero alla procedura in una volta sola. Si ritrovarono pigiati, le natiche di Louise premute contro quelle di Mary, il torace di Reuben contro il seno di lei. Ma Mary era troppo nervosa per sentirsi imbarazzata.

Louise emise un gemito quando si attivarono i laser.

— Va tutto bene — le disse Mary, sforzandosi di ignorare quali parti di Reuben fossero a contatto con quali parti del proprio corpo. — L’operazione è sicura e indolore. I laser selezionano e distruggono solo le proteine estranee.

Louise rabbrividì, ma al contempo era affascinata. — E come fanno? Che laser sono?

— Laser a cascata quantistica — rispose lei, ripetendo a pappagallo una spiegazione di Ponter. — Nell’ordine del trilione di cicli per battito.

— Laser regolabili nell’ordine dei terahertz! — esclamò Louise. — Grande! Quanto dura la procedura?

— Tre minuti.

— Ahia, Mary — intervenne Reuben. — Dovresti farti vedere quel neo sulla spalla sinistra.

— Santo cielo, Reuben, non mi pare il momento di… — Ma s’interruppe. Il medico stava facendo esattamente ciò che faceva lei: distrarre la mente con questioni tecniche. L’ultima cosa di cui avevano bisogno era mettersi a elucubrare su un possibile articolo per “Penthouse”. — Appena possibile andrò dal dermatologo — disse. — Dannato buco nell’ozono.

Poi aggiunse: — Louise, dovrebbe essere comparso un quadrato luminoso sulla porta davanti a te. Lo vedi?

— Sì, semaforo verde. Ottimo! — E stava per uscire.

— Ferma! — la bloccò Mary. — Il verde per i neanderthal è il colore negativo, quello della carne ammuffita. Si può passare quando la luce è rossa.

Louise annuì. A Mary venne il sospetto che forse era stato un errore venire con due persone totalmente inesperte dell’“altro” mondo.

— Rosso! — esclamò Louise.

— Bene — disse Mary. — Puoi aprire la porta. La maniglia ha una forma a stella marina, la vedi? Va spostata verso l’alto.

Un istante dopo, la pressione dei glutei di Louise contro i suoi svanì. Mary fece un passo all’indietro, si voltò e sgattaiolò fuori anche lei. — Da questa parte — disse.

Entrarono nella stanza con gli scaffali, cubici, pieni di vestili. — Quella dovrebbe essere la tua misura, Reuben. E questa la tua, Louise.

I due ebbero parecchie difficoltà con le allacciature degli abiti barast.

Dopo un po’, si infilarono per il cunicolo. Mary sperava che fosse disponibile un veicolo, ma non c’era; l’ultimo doveva averlo preso Jock. Il che significava 3 chilometri di corsa. Erano secoli che Mary non osava tanto, ma l’adrenalina le scorreva a fiumi. Si lanciò per il tunnel.

Su questo lato la luce era molto più fievole che sul lato gliksin, visto che qui per i lavori minerari si utilizzavano operai-robot. Del resto, gli stessi neanderthal avevano bisogno di poca luce per percepire la realtà circostante, data la sensibilità dell’olfatto.

— Quan… to… man… ca? — ansimò Louise da dietro.

Mary fu compiaciuta che la giovane stentasse a tenere il suo passo. — Meno di 3000 metri — gridò.

All’improvviso qualcosa le passò davanti. A Mary sarebbe accelerato il battilo, se già non fosse stato al massimo. Ma era solo un robot. Decise di chiarire la cosa per non spaventare i due amici, e gridò alla macchina: — Aspetta! Torna qui!

Il robot fece dietrofront. Sembrava un granchio lungo due metri, con scandagli conici e cucchiai a semisfera che si protendevano dagli arti snodati.

Ehi, un momento, doveva essere ben resistente. Se sollevava massi, poteva reggere anche… — Ci potresti dare un passaggio? — chiese Mary.

Il Companion tradusse. Sulla corazza del granchio lampeggiò una luce rossa. — Questo modello non è fornito di apparato vocale — spiegò Christine — ma la risposta è sì.

Mary non se lo fece ripetere e saltò in groppa. — Tutti a bordo! — disse agli attoniti Reuben e Louise.

I due, dopo essersi scambiati un’occhiata, presero posto sul carapace metallico. Mary gli assestò un pacca: — Yahhh! Ahhh!

Christine non conosceva quell’espressione, ma ne intuì il senso, e tradusse. Il robot fletté le sei zampe come per valutare il peso del carico, quindi partì così veloce che i passeggeri si sentivano la brezza in faccia. Ogni volta che una zampa centrava una pozzanghera, li raggiungevano schizzi di fango.

— Tenetevi forte! — gridò più volte Mary, per quanto non ci fosse affatto bisogno di quel consiglio. Quanto a lei, si sentiva esplodere la vescica a causa degli urti ripetuti.

Sorpassarono un modello diverso di operaio, che ricordava una mantide. Altri 600 metri, e incrociarono due neanderthal diretti nella direzione opposta, i quali fecero appena in tempo a saltare da un lato per non essere travolti.

Finalmente arrivarono agli ascensori. Grazie a quei due uomini che erano appena scesi, un ascensore era al piano. I tre scivolarono giù dal granchio e si catapultarono nella cabina.

Durante il tragitto verso la superficie Mary diede un’occhiata alle condizioni dei due compagni, sotto la luce verde della luciferina. Una volta tanto, Louise non sembrava una top-modeclass="underline" il sudore le colava lungo il viso, aveva i capelli sporchi di fango e i vestiti macchiati non solo di fango ma di una specie di grasso per motori.

Reuben era ridotto anche peggio. Tra un sobbalzo e l’altro, doveva aver sbattuto la testa contro il robot: aveva un brutto taglio sulla testa rasala.

— Bene — disse Mary — ci vorrà qualche minuto prima di arrivare. Il personale di superficie non vi lascerà proseguire senza prima munirvi di un Companion provvisorio. Il che ci permetterà di comunicare a qualsiasi distanza tra noi, e con qualunque barast. Tutti i Companion di questo tipo hanno il traduttore incorporato.

Sollevò l’avambraccio sinistro e disse: — Christine, sei di nuovo collegata con la Rete planetaria?

— No — le rispose nella coclea. — Probabilmente non potrò farlo prima che ci troviamo a poca distanza dalla superficie. Ti terrò… aspetta, sì, ci sono, sono connessa!

— Magnifico! Chiama Ponter!

— Chiamata inoltrata… Per ora nessuna risposta.

— Dai, Ponter — ringhiò Mary. — Dai…

— Mèr! — fece la voce di lui, imitata da Christine. — Che ci fai su questo lato? I Due non sono ancora…

— Ma lascia perdere! Jock è già arrivato! Dobbiamo scovarlo e fermarlo!

— Allora indosserà un Companion — disse Ponter. — Ho seguito sul Voyeur il dibattito nel Gran Consiglio: hanno deciso che mai più un gliksin potrà entrare nel nostro mondo senza averne uno.

— Jock non è un pivellino. Possiamo provare a individuare il suo Companion, ma sono pronta a scommettere che lo ha rimosso.

— Impossibile — rispose Ponter. — Avrebbe innescato diversi allarmi. Né può andare a spasso da solo. Probabilmente si trova insieme a Bedros o qualche altro consigliere; per cui dovremmo poterlo rintracciare. Tu dove sei?

L’ascensore si fermò. Mary fece segno ai due compagni di uscire. — Siamo appena arrivati… io, Louise e Ruben… in cima alla miniera di Debrai.

— Io sono a casa. Hak, prenota dei cubi a nome mio e di Mèr. E contatta un giudice. — Hak diede risposta affermativa, poi Ponter chiese a Mary: — Hai qualche idea di dove si trovi Krieger?

— No, anche se ritengo che voglia diffondere il virus in Centro, appena i Due saranno Uno.

— Mossa astuta. Approfitterà del fatto che… — S’intromise la voce di Hak, in lingua barast. Qualche secondo dopo, Ponter disse a Mary: — Hak ha contattato un giudice. Quando arriverà il vostro cubo, dirigetevi al Padiglione degli alibi. Mi troverete lì.

In quel momento un assistente stava agganciando il Companion al polso di Reuben. Quindi toccò a Louise. Mary fece vedere che ne aveva uno permanente impiantato.