L’uomo annuì, il volto sbiancato dal dolore, le labbra ridotte a una sottile linea esangue.
Gli altri si inginocchiarono di fianco all’orso per scuoiarlo. Noch decise di portare con sé il cranio e la pelle dell’animale per mostrarli alle donne come segno della nostra vittoria.
— Nessuna belva oserà minacciarci con un simile trofeo davanti alle nostre caverne — disse.
Stava scendendo il tramonto quando percepii che non eravamo soli. Gli uomini avevano quasi completato il loro lavoro di scuoiatura. Chron e io avevamo raccolto della legna e acceso un fuoco. Fra le ombre intorno a noi si erano radunate altre presenze. Non animali. Erano uomini.
Mi alzai in piedi e mi allontanai dal fuoco per osservare meglio le ombre che si muovevano nel fitto sottobosco. D’istinto mi chinai per estrarre il pugnale dal fodero che tenevo legato alla caviglia.
Chron mi stava osservando. — Cosa c’è, Orion?
Feci cenno di tacere, portandomi un dito alle labbra. Gli altri sette distolsero lo sguardo da me per portarlo in direzione delle ombre.
Un uomo uscì da dietro i cespugli e rimase a guardarci con aria solenne. La luce del fuoco tinse di rosso il suo volto facendo brillare i suoi occhi. Indossava una tunica di pelle grezza, e in una mano reggeva una lunga lancia che conficcò con la punta nel terreno. Non era più alto di Noch o di qualsiasi altro fra i miei compagni, sebbene apparisse di costituzione più robusta e molto più sicuro di sé. Aveva spalle ampie, ed era più anziano di loro: i suoi capelli e la lunga barba erano grigi. I suoi occhi analizzarono ogni dettaglio del nostro accampamento.
— Chi sei? — domandai.
— Chi siete voi? — ribatté quello. — E perché avete ucciso il nostro orso?
— Il vostro orso?
Il nuovo venuto sollevò la mano e la mosse a semicerchio: — Tutta questa terra intorno al lago è nostro territorio. I nostri padri hanno cacciato qui, e così i loro padri e i padri dei loro padri.
Una dozzina di altri uomini uscirono dall’ombra, tutti armati di lancia. Con loro erano anche alcuni cani con le orecchie tese all’indietro e gli occhi verdi e belluini fissi su di noi in segno di minaccia.
— Siamo nuovi di qui — dissi. — Non sapevamo che altri uomini cacciassero in questa zona.
— Perché avete ucciso il nostro orso? Non vi aveva fatto alcun male.
— L’abbiamo inseguito dalle nostre dimore lungo il fiume. Temevamo che potesse attaccarci nel sonno, di notte.
L’uomo tirò un profondo respiro, quasi uno sbuffo. Era una situazione nuova per lui quanto lo era per noi. Cosa fare? Combattere o fuggire? O forse qualcos’altro?
— Il mio nome è Orion — dissi infine.
— Io mi chiamo Kraal.
— La nostra casa si trova su per il fiume, a una giornata di distanza, nella vallata del dio che parla.
A quelle parole l’uomo inarcò le sopracciglia.
Prima che potesse formulare qualsiasi domanda, aggiunsi: — Ci siamo stabiliti laggiù soltanto da qualche giorno. Siamo fuggiti dai padroni del giardino.
— State fuggendo dai draghi? — interloquì Kraal.
— E dalle sentinelle che volano nell’aria — aggiunse Noch.
— Orion ha ucciso un drago — disse Chron, con orgoglio. — E ci ha resi liberi.
Il corpo di Kraal sembrò rilassarsi. Anche gli altri dietro di lui si distesero; persino i cani allentarono la loro tensione.
— Molto spesso ho visto uomini catturati dai padroni. Ma non ho mai sentito di nessuno che sia riuscito a fuggire. O a uccidere un drago! Dovete raccontarci tutto.
Si avvicinarono al fuoco, posarono le lance e sedettero tra noi per ascoltare la nostra storia.
7
Non riuscii a dire una sola parola. Noch, Chron e persino il povero Pirk narrarono una storia fantastica su come avevo ucciso il drago con una mano sola e su come li avessi guidati verso Paradiso e la libertà. Mentre la notte passava lenta dividemmo la carne essiccata e le noci che ognuno dei due gruppi aveva portato con sé e continuammo a raccontare.
Durante il pasto ci scambiammo racconti di coraggio e pericolo. I cani al seguito del gruppo di Kraal gironzolarono per gran parte della notte, ma di tanto in tanto qualcuno di loro faceva ritorno presso il fuoco e agli uomini seduti intorno a esso.
Kraal narrò di come sua figlia e il marito di lei fossero stati rapiti dai draghi che avevano razziato il loro villaggio presso il lago, molti anni prima.
— Mi hanno lasciato a terra credendomi morto — disse, sollevando la tunica per mostrare una grossa cicatrice scavata fra le costole, che alla luce del fuoco sembrava ancora livida e dolorante. — Ma hanno ucciso mia moglie.
Uno dopo l’altro ognuno narrò la propria storia, e così appresi che i “draghi” di Set razziavano periodicamente i boschi di Paradiso, catturando uomini e donne per condurli in schiavitù a lavorare nel giardino sulle rive del Nilo.
La prima impressione che il giardino di Set mi aveva fatto era dunque completamente errata.
Non era il Giardino dell’Eden. Il vero e proprio Paradiso dell’umanità era invece quella foresta, dove gli uomini erano liberi di vagare fra i boschi e cacciare la selvaggina. Ma molti di loro erano stati catturati dai mostruosi rettili del diabolico Set, costretti ad abbandonare la vita libera e selvaggia del cacciatore neolitico, forzati ad abbracciare quella dell’agricoltore e Dio solo sapeva cos’altro.
Le leggende sull’Eden che i popoli avrebbero tramandato attraverso le generazioni, col tempo sarebbero state distorte: nella realtà gli uomini erano stati strappati da Paradiso verso il Giardino, e non da angeli ma da demoni.
Ovviamente i padroni permettevano ai loro schiavi di riprodursi in cattività. Il figlio di Reeva era nato in schiavitù. Quella notte appresi che anche Chron e gran parte degli uomini del mio gruppo erano nati da genitori che si occupavano del giardino. Noch invece, come sapevo, era stato portato via da Paradiso in tenera età.
— Noi cacciamo le bestie dei campi e dei boschi — disse Kraal con voce sonnolenta mentre la fredda luce della luna filtrava attraverso gli alberi sul suo volto — e i draghi danno la caccia a noi.
— Dobbiamo combatterli — dissi io.
Kraal scosse il capo con espressione grave. — No, Orion, è impossibile. Sono troppo grandi, troppo veloci. I loro artigli sono in grado di strappare le carni dalle ossa. Hanno fauci in grado di uccidere un uomo con un morso solo.
— Possono essere uccisi — insistetti.
— Non da noi. Ci sono cose che un uomo non è in grado di fare. Dobbiamo accettare la realtà per quella che è, non sognare qualcosa che non può essere.
— Ma Orion ne ha ucciso uno — intervenne Chron.
— Può darsi — rispose Kraal, con l’aria di un uomo che aveva già sentito raccontare molte altre storie di fantasia. — È ora di dormire, adesso. Basta parlare di draghi. Domani, non appena il sole sorgerà, dovremo combattere, ed è già un compito abbastanza duro.
Pronunciò quelle parole con estrema naturalezza, senza toni di rammarico o compiacimento nella sua voce.
— Combattere? — feci eco.
Kraal si distese tra le radici di un albero. — Già. È un peccato. Ho veramente gradito le vostre storie. E mi piacerebbe visitare questa vostra valle del dio che parla. Ma domani dovremo combattere.
Mi guardai intorno: erano in dodici contro noi nove, me compreso.
— Perché dovremmo combattere?
Come per cercare di far comprendere qualcosa a un bambino un po’ lento di comprendonio, Kraal sentenziò, con pazienza: — Questo è il nostro territorio, Orion. Voi avete ucciso il nostro orso. Se vi lasciamo andare via impunemente, altri verranno qui a uccidere i nostri animali. E allora noi dove andremo?