Mi feci vicino a lui mentre si voltava sul fianco sano, mormorando: — Va’ a dormire, Orion. Domani dovremo combattere.
Chron mi si avvicinò sollevandosi in punta di piedi, per sussurrarmi all’orecchio: — Domani lo vedranno che razza di combattente sei. Con te come nostro capo li uccideremo tutti, e questa terra diventerà nostra.
Sorridendo tra le ombre prodotte dai raggi lunari si diresse verso un punto in cui il terreno era piano e si distese per dormire.
A uno a uno si addormentarono tutti, e io rimasi solo in mezzo al loro russare. Se non altro, nessuno temeva qualche tiro sporco dai propri avversari. Nessuno temeva di risvegliarsi di colpo con la gola tagliata.
Scesi alla riva del lago e rimasi ad ascoltare l’acqua che lambiva le sponde. Tra gli alberi chiurlò una civetta, l’animale sacro ad Atena. Anya aveva ispirato le leggende di Atena, così come il Radioso, folle com’era, aveva ispirato il mito di Apollo.
E io? I cosiddetti dèi che mi avevano creato nel loro lontano futuro mi avevano chiamato Orion, assegnandomi il compito di combattere i loro nemici attraverso i vasti recessi del tempo. Nell’antico Egitto avevo assunto il nome di Osiride, colui che muore e rinasce. Fra le nevi dell’era glaciale ero stato Prometeo, e avevo donato al primo drappello di uomini affamati e intirizziti la conoscenza del fuoco, permettendo loro di sopravvivere nella desolazione dei ghiacciai alti centinaia di metri che coprivano buona metà della Terra.
“E adesso chi sono, in questo tempo e luogo?” Sollevai lo sguardo verso le stelle sparse nel nero cielo di velluto e di nuovo vidi quell’occhio rosso e malevolo fissarmi da lassù, più luminoso della luna stessa, al punto di proiettare a terra la mia ombra. Una stella mai esistita in nessuno dei cieli che avevo conosciuto prima d’allora. Una stella che in qualche modo sembrava correlata a Set, ai suoi draghi e al suo assoggettamento di quei popoli del Neolitico.
Per un istante fui nuovamente tentato di cercare un contatto con i Creatori. Ma il timore di essere di nuovo localizzato da Set mi dissuase. Rimasi in piedi sulla riva del lago, ascoltando la brezza notturna e lo stormire degli alberi, e desiderai ardentemente che i Creatori cercassero di mettersi in contatto con noi.
Ma non accadde nulla. La civetta chiurlò di nuovo, e il suo verso era una risata amara.
Preferii attardarmi lì piuttosto che fare ritorno all’accampamento improvvisato nel quale gli uomini di entrambe le tribù dormivano saporitamente. Kraal insisteva perché combattessimo, e sapevo che non intendeva certo alludere a qualche rituale incruento. All’alba avremmo dovuto combatterci con lance di legno e coltelli di selce.
A meno che non riuscissi a escogitare qualcosa.
Passai le lunghe ore di quella notte sinistra e minacciosa in meditazione. Una nebbia grigia si alzò fredda dal lago avvolgendo gli alberi nel suo abbraccio fino a nascondermene la cima. La luna la faceva brillare di luce argentea, e il mondo divenne una gelida arena umida e priva di contorni, irradiata dalla fredda, grigia luce lunare, il suo silenzio rotto soltanto da un occasionale verso di civetta o dal distante, sinistro ululare di un lupo. I cani di Kraal latrarono in risposta ai lupi per proclamare il loro territorio.
La nebbia si stava levando e il cielo cominciava già ad assumere una punta di rosa quando sentii che qualcuno stava avanzando verso di me, fra gli alberi avvolti dalla nebbia. Era Kraal. Si portò al mio fianco senza il minimo cenno di timore o di esitazione, e anche lui prese a scrutare il lago. La nebbia andava diradandosi, dissolvendosi così come le paure della notte vengono spazzate via dalla luce del sole.
Indicò il chiarore sull’orizzonte dove presto sarebbe sorto il sole. — Il Ladro di Luce è più vicino.
Seguii la direzione del suo braccio disteso e vidi la stella sanguigna brillare imperterrita nel cielo che si rischiarava.
— E la luce del Punitore è quasi troppo fioca per riuscire a scorgerlo — aggiunse Kraal.
— Il Punitore?
— Non lo vedi? Appena sotto il Ladro di Luce, debolissimo.
Per la prima volta notai un puntino luminoso brillare nelle vicinanze della stella rossa che Kraal chiamava il Ladro di Luce. Un puntolino minuscolo, visibile a malapena.
— Qual è il significato dei loro nomi?
Kraal mi guardò con stupore. — Non sai nulla del Ladro di Luce e del suo Punitore?
— Vengo da molto lontano — dissi. — Molto più lontano di Noch e del suo gruppo.
L’espressione di Kraal si fece assorta. L’uomo cominciò a narrare la leggenda del Ladro di Luce. Gli dèi, fra i quali il dio del Sole era il più potente, non si curavano affatto degli esseri umani. Si limitavano a guardarli combattere per sopravvivere, di gran lunga meno forti dei lupi o degli orsi, sempre affamati e intirizziti; ma non facevano nulla per loro. Il Ladro di Luce, un dio minore, provò pietà per la razza umana e decise di donarle il fuoco.
Il fiato mi si arrestò nella gola. La leggenda di Prometeo. Ero stato io a portare ai primi esseri umani il dono del fuoco, nel gelo dell’Era Glaciale. Kraal raccontava quella storia in modo del tutto singolare, ma aveva compreso alla perfezione la crudele indifferenza dei cosiddetti dèi.
Il Ladro di Luce sapeva che l’unico modo per donare il fuoco all’umanità era rubarlo al sole. Così, un anno dopo l’altro, la stella sottrae al sole parte della sua luce. Invece di rimanere confinato nel dominio del cielo notturno come le altre stelle, a poco a poco usurpa il cielo diurno del sole, facendosi sempre più vicino all’astro ardente. Quando infine riesce a raggiungerlo, lo deruba di parte del suo fuoco. Fa quindi ritorno alla notte, e da lì dona agli uomini un po’ di luce per rischiarare le ore più buie, una luce più intensa di quella della luna stessa.
La leggenda di Prometeo proiettata su sfondo stellare. Il racconto di Kraal aveva senso soltanto nel caso che il sole possedesse una stella gemella, una piccola nana rossa sull’orlo del sistema solare. Invece era una stella solitaria. In tutti i suoi viaggi attraverso il continuum spaziotemporale, Orion aveva sempre visto il sole nel cielo come una stella solitaria.
Fino a quel momento.
— E il Punitore?
— Il Sole e gli altri dèi si infuriarono per il comportamento del Ladro — Kraal proseguì. — Il Punitore perseguita il Donatore di Luce. Gli strappa le viscere, un giorno dietro l’altro, e così via per l’eternità.
Un pianeta orbita intorno alla stella gemella del sole, tradussi mentalmente. Visto da terra sembra avvicinarsi alla sua stella per poi ricomparire sul lato opposto. Il Punitore che sventra il Donatore di Luce, così come l’avvoltoio mangiava il fegato di Prometeo incatenato alla roccia dagli dèi.
— E fu così che ricevemmo il dono del fuoco, Orion — disse Kraal. — Ciò avvenne molto tempo fa, prima che il nonno di mio nonno venisse a cacciare sulle rive di questo lago. Le stelle mostrano ciò che avvenne per farci tenere a mente il nostro debito nei confronti degli dèi.
— Ma a quel che dici — replicai — gli dèi non sono benevoli nei nostri confronti.
— Una ragione in più per rispettarli e temerli, Orion. — Detto ciò, il capotribù si diresse all’accampamento, con l’aria di qualcuno che avesse sentenziato una verità inoppugnabile.
Il sole si era ormai levato sulla riva opposta del lago. Gli uomini si destarono, stiracchiandosi e grattandosi la schiena contro il tronco di un albero. I componenti di entrambe le tribù condivisero il cibo rimasto e l’acqua di fiume che Chron e Pirk avevano raccolto in vesciche d’animale e portato all’accampamento.
— E adesso pensiamo alla nostra battaglia — disse Kraal, raccogliendo da terra la propria lancia lunga e appuntita. I suoi uomini si raccolsero dietro di lui, anch’essi armati di lancia, mentre il mio gruppetto mi si stringeva intorno. I cani si distesero sul ventre, la lingua penzoloni. Ma i loro occhi erano pronti a cogliere qualsiasi movimento.