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A un certo punto domandai a Kraaclass="underline"  — Cos’hai deciso riguardo l’unione delle nostre tribù?

L’uomo scosse il capo, in segno d’insoddisfazione. — Non è possibile, Orion.

— Perché no?

Gli altri cessarono di parlare fra loro e rimasero a guardarci. Kraal rispose, con aria addolorata: — Tu hai la tua tribù e io la mia. Non abbiamo gente in comune, nessuna moglie, nessun fratello o cugino. Non esistono legami fra le nostre tribù, Orion.

— Possiamo sempre crearli noi — suggerii. — Molte fra le nostre donne non hanno marito. E sono certo che molti vostri uomini devono ancora ammogliarsi.

Vidi alcuni fra i suoi uomini annuire lentamente. Ma Kraal scrollò nuovamente il capo. — Non è mai stato fatto nulla di simile, Orion. Non è possibile.

Mi alzai in piedi. — Sentiamo cosa ne dice il dio che parla.

Kraal alzò lo sguardo su di me.

— Ripeterà soltanto ciò che tu dirai, Orion.

— Forse. O forse no.

Portando le mani a imbuto intorno alla bocca, gridai nella notte: — O dio che parla, di’ cosa dobbiamo fare!

La mia voce echeggiò da una roccia all’altra. — …cosa dobbiamo fare!

Nel volgere di alcuni battiti del cuore l’unico rumore udibile fu il cicaleccio dei grilli tra l’erba. Poi, un grave sussurro gutturale attraversò l’oscurità. — Io sono il dio che parla. Domandate e riceverete il mio consiglio.

Tutti gli uomini, compresi i miei compagni, balzarono in piedi come se un filo elettrico avesse sfiorato la loro pelle. Gli occhi di Kraal si spalancarono a tal punto che persino nella luce morente del fuoco potei osservarne per intero il bianco intorno alle pupille. Nessuno di loro riconobbe la voce di Anya; nessuno di loro sospettò minimamente che quel rauco sussurro potesse provenire dalla bocca di una donna.

— Chiedi consiglio al dio — dissi a Kraal.

L’uomo aprì la bocca, ma da essa non venne alcun rumore. Gli altri si erano alzati in piedi e fissavano le ombre delle rocce stagliate contro il cielo. Mi vergognai un poco per averli ingannati in quel modo. Pensai che una persona di pochi scrupoli avrebbe potuto far dire al “dio” qualsiasi cosa. Un giorno, oracoli e veggenti avrebbero usato trucchi simili per esercitare il loro controllo sugli ignari.

Ma in quel momento era necessario che Kraal accettasse l’idea della fusione fra le nostre tribù.

Con mia sorpresa, fu Noch a parlare. Con voce tremula e nervosa, gridò verso la parete di pietra: — O dio che parla, pensi sia giusto che la nostra tribù si unisca a quella di Kraal?

— …unisca a quella di Kraal?

Di nuovo scese il silenzio. Questa volta non fu possibile udire nemmeno il rumore del vento. I grilli avevano smesso di cantare.

Allora giunse la risposta: — Due uomini non sono forse più forti di uno, e venti più di dieci? È saggio cercare di accrescere la propria forza.

— Allora pensi che dovremmo unire le nostre tribù? — Noch voleva una risposta definitiva, non una metafora.

— Ssssì — fu la risposta, una lunga, unica sillaba.

Infine Kraal ritrovò la voce. — Sotto la guida di chi?

— …la guida di chi?

— Il capo della più grande fra le due tribù dovrebbe essere anche il capo di quella nuova. Kraal il Cacciatore da questa notte sarà conosciuto come Kraal il Condottiero.

Il petto dell’uomo si gonfiò visibilmente. Un largo sorriso a tutti denti si dipinse sul suo volto mentre si girava verso i suoi compagni, chinando il capo in segno d’approvazione per la saggezza dimostrata dal dio.

— E Orion? — Noch insistette.

— …Orion? — ripeté l’eco.

— Orion rimarrà tra voi ancora per poco — fu la risposta. — Ha altri compiti da svolgere, altre imprese da compiere.

La mia soddisfazione per aver raggirato Kraal e gli altri si raffreddò notevolmente. Anya aveva detto il vero. Non potevamo rimanere lì a lungo. Ci attendevano ben altri compiti.

Guardai Kraal e Noch abbracciarsi l’un l’altro e lessi un’espressione di sollievo sul volto di tutti quando compresero che non avrebbero più dovuto combattere. Non riuscivo a immaginare come le donne avrebbero reagito all’arrivo di stranieri nel loro gruppo. Né mi importava molto, almeno in quel momento. Avevo portato quella gente al loro primo passo verso una piena opposizione a Set e ai rettili padroni. Ma non era che un primo gradino, e l’immensità del compito che mi attendeva gravava sulle mie spalle col peso del mondo intero.

Feci ritorno verso la caverna che dividevo con Anya, stremato. Mentre la luna scompariva oltre l’orizzonte, la stella rossastra si levò sopra la cima degli alberi, splendendo sinistra su di me, rendendo più amara la mia disperazione.

Anya era tutta eccitata quando mi vide scivolare nella caverna per lasciarmi cadere di peso sul nostro giaciglio di rami e pelli.

— Ha funzionato, vero? Li ho visti abbracciarsi fra loro.

— Hai fatto un ottimo lavoro — risposi. — Hai della gente che ti adora davvero, adesso… per quanto non saprei dire come reagirebbero se sapessero di obbedire agli ordini di una dea, e non di un dio.

Inginocchiatasi al mio fianco Anya disse, compiaciuta: — Ho già avuto dei fedeli prima d’ora. Fidia ha scolpito una statua meravigliosa perché tutta Atene potesse adorarmi.

Annuii con stanchezza e chiusi gli occhi. Ero sfinito, demoralizzato, e tutto ciò che desideravo era un po’ di sonno. Anya e io non avremmo mai potuto vivere da semplici esseri umani. Ci sarebbero sempre stati i Creatori a tirare i miei fili; non ci avrebbero mai lasciati in pace. Sempre una nuova missione, un nuovo nemico, un nuovo spaziotempo. Non ci sarebbero mai stati un tempo e un luogo in cui vivere felici. Non per me. Non per noi due.

Anya avvertì il mio sconforto. Carezzandomi la fronte con le dita fresche e affusolate, sussurrò: — Dormi, mio caro. Dormi e riposa.

Mi addormentai. Ma solo per la durata di pochi battiti del cuore. Perché subito apparve il volto satanico di Set, gli occhi rossi come il fuoco, i denti aguzzi scoperti nella parodia demoniaca di un sorriso.

— Ti avevo promesso un castigo, Orion. È arrivato il momento.

Balzai a sedere, facendo trasalire Anya.

— Cosa c’è?

Non fu necessario che rispondessi. Un grido di terrore proveniente da una delle caverne infranse la quiete della notte.

Afferrai la lancia poggiata all’ingresso della caverna e balzai sulla stretta sporgenza rocciosa che formava una scala naturale verso il fondovalle. Anche gli altri erano usciti dalle loro caverne, diretti verso le rocce sottostanti.

C’erano anche gli uomini di Kraal, e tutti correvano e strillavano in preda al terrore, scendendo a rotta di collo lungo i rozzi gradini di pietra, saltando oltre l’orlo del precipizio verso la morte o l’invalidità nel panico della fuga…

Da cosa stavano fuggendo?

— Resta dietro di me — dissi ad Anya mentre mi apprestavo a salire la ripida scalinata di pietra.

Reeva scese gridando verso di me, facendomi quasi cadere di sotto nella foga del suo terrore. Era sola. Il suo bambino era rimasto nella caverna.

Mi inerpicai di corsa su per le rocce disuguali, avvertendo alle mie spalle la presenza di Anya, anche lei armata di lancia. La sinistra luce funesta della stella inondava la parete di roccia di un colore rosso sanguigno, ammantando ogni cosa di un’aura spettrale.

La caverna che Reeva divideva insieme ad altre donne sembrava vuota. Sopra di me potevo ancora udire strilli e grida che non erano più soltanto di terrore ma urla di dolore, di agonia. E il rumore di uomini e donne che correvano, sferrando colpi all’impazzata come per respingere qualche invisibile assalitore.

Nella caverna faceva più buio che all’inferno, ma i miei occhi si abituarono quasi istantaneamente alla ridottissima quantità di luce. Vidi il bambino di Reeva… scomparire tra le fauci spalancate di un enorme serpente.