Prima di riuscire a pensare mi gettai sul rettile e lo ferii alla testa col pugnale. L’animale avvolse alcune spire del proprio corpo intorno al mio braccio, ma l’avevo sorpreso in un momento di massima vulnerabilità, con un boccone ancora chiuso tra le fauci. Colpii il serpente appena dietro la nuca. Lo spessore del suo corpo era pari a quello della mia coscia, ed era così lungo da snodarsi lungo l’intera circonferenza della caverna e avvolgersi ancora in sei spire intorno al mio braccio.
Anya conficcò ripetutamente la punta della lancia nel corpo del rettile mentre la lama del mio coltello ne incideva la spina dorsale per poi riuscire a mozzarne la testa. Lasciato cadere il pugnale, forzai le fauci del serpente e ne estrassi il bambino. Il piccolo era morto, già quasi del tutto rigido, la pelle azzurrognola sotto la debole luce delle stelle.
— È velenoso — dissi ad Anya. — Guarda queste zanne.
— Ce ne sono altri — disse lei.
Fuori dalla caverna le urla non erano diminuite. Balzai in piedi, pervaso da una furia cocente. Era il flagello promesso da Set. Serpenti. Enormi rettili velenosi che strisciavano nel buio della notte per compiere la loro missione omicida. Morte e terrore, erano quelli i marchi del nostro avversario.
Mi diressi all’imboccatura della caverna. — Quassù! — gridai, e la roccia amplificò la mia voce nel suono tonante di un dio. — Venite quassù dove possiamo vederli! Uscite dal fondo del canyon!
Alcuni di loro obbedirono. Soltanto alcuni. Riuscivo già a scorgere molti corpi privi di vita distesi sull’erba, contorti fra i massi e i cespugli che costituivano i nascondigli naturali dei serpenti. Sulla roccia se non altro potevamo vederli. E ciò che si è in grado di vedere può essere combattuto.
Molti dei miei compagni erano fuggiti nella notte in preda all’orrore, col solo scopo di allontanarsi dalla morte silenziosa che colpiva fra le ombre. Una donna giaceva distesa tra le rocce del fondovalle, storpiata per il balzo disperato che aveva spiccato dalla caverna. Un enorme, orribile serpente strisciava verso di lei, le fauci spalancate, le zanne scintillanti alla luce della luna. La donna gridò e cercò di trascinarsi lontano dal rettile. Anya scagliò la lancia contro quell’essere spietato ma mancò il colpo. Il serpente affondò le sue zanne mortali fra le carni della malcapitata, e le urla della donna si levarono in un agghiacciante crescendo per poi spegnersi in un’agonia gorgogliarne.
Gli altri salivano con fatica i ripidi gradini di pietra verso la stretta sporgenza sulla quale eravamo io e Anya. E i serpenti scivolavano dietro di loro sui lunghi corpi sottili e colorati di grigio e di bianco, gli occhi gialli e scintillanti, facendo guizzare la lingua biforcuta e scoprendo i denti traboccanti veleno, all’inseguimento delle loro prede.
Organizzai il gruppetto sulla sporgenza, gli uomini armati di lance e coltelli disposti sul suo perimetro e le donne nella caverna. Tutte a eccezione di Anya, che era rimasta dietro di me con una lancia nella mano e un coltello di selce nell’altra, sbuffando per lo sforzo e l’eccitamento, gli occhi infiammati dall’ansia della battaglia.
I serpenti attaccarono. Torcendosi su per i gradini, scartavano di lato per schivare le nostre lance, si raccoglievano in spire e scattavano verso di noi alla velocità della luce. Anche noi cercavamo di scansarli, saltando per salvare le gambe dai loro denti velenosi.
Rispondemmo al loro attacco colpendoli con le nostre lance di legno brandite a mo’ di mazze. Un serpente prese ad arrotolarsi intorno alla lancia di Anya, guidato da un’intenzionalità quale la mente di nessun rettile poteva possedere.
Le lanciai un urlo d’avvertimento e lei, con calma innaturale, tagliò le carni del serpente col proprio coltello di selce. Il rettile indietreggiò. Lo afferrai per la gola sanguinante e Anya gli mozzò la testa. Gettammo i resti insanguinati del suo corpo sul fondo del canyon.
La lotta sembrò protrarsi per ore. Due dei nostri uomini vennero colpiti da quei denti velenosi e morirono tra grida strazianti, muovendo gli arti all’impazzata per il dolore tremendo. Un altro si sporse troppo sull’orlo del precipizio e cadde di sotto. Si ferì gravemente, e in breve alcuni serpenti gli si fecero intorno. Udimmo le sue grida disperate, seguite da un silenzio improvviso.
D’un tratto, non vedemmo più nessun serpente. Nessun serpente vivo, comunque. Una dozzina di corpi senza vita si contorcevano ai nostri piedi nel loro stesso sangue. Osservai la carneficina disseminata sul nostro campo di battaglia. Era sorto il sole, e i suoi intensi raggi dorati illuminavano le fronde degli alberi.
Sotto di noi giacevano i cadaveri di otto uomini con gli arti contratti e il volto sfigurato. Scendemmo a valle, con estrema cautela, per raccogliere il resto dei nostri caduti. Pirk era fra loro. E anche Noch; il suo ritorno a Paradiso era stato breve e amaro.
Passammo la mattinata in cerca di cadaveri. Con mio grande sollievo ne trovammo soltanto altri due. Verso mezzogiorno, Kraal e altri tre dei suoi mi si fecero vicini.
Kraal scosse il capo in direzione dei corpi senza vita. — Te l’avevo detto, Orion — disse con voce severa, cercando di trattenere le lacrime del proprio odio frustrato. — Non possiamo fare nulla contro i padroni. Ci cacciano per loro diletto. Sottomettono in schiavitù la nostra gente. Tutto ciò che ci resta da fare è piegare la testa e accettare questa realtà.
Anya udì le sue parole. Era in ginocchio accanto ai corpi morti dei serpenti, sezionandone uno per estrarne le ghiandole velenose.
Balzò in piedi con rabbia e gettò il corpo scuoiato del rettile lungo sei metri contro di lui, facendolo vacillare sotto il suo peso.
— Tutto ciò che ci resta da fare è piegare la testa? — Urlò Anya al colmo dell’ira. — Coniglio, non vedi che possiamo ucciderli, proprio come loro fanno con noi?
Kraal la guardò strabuzzando gli occhi. Nessuna donna aveva mai osato rivolgergli parole tanto dure, e penso che neanche un uomo l’avesse mai fatto.
Colta dalla rabbia di una dea infuriata, Anya avanzò verso di lui, stringendo saldamente il coltello nella mano. Kraal indietreggiò.
— Il dio ti ha chiamato Kraal il Condottiero — Anya lo schernì. — Ma questa mattina meriteresti piuttosto il nome di Kraal il Codardo! È questo ciò che vuoi?
— No… no, certo…
— E allora smetti di piangere come una donnetta e comincia a comportarti da vero capo. Riunisci tutte le tribù, e insieme combatteremo i padroni e li stermineremo!
Le ginocchia di Kraal furono sul punto di cedere. — Tutte le tribù…?
Molti fra gli altri si erano radunati intorno a noi. Uno di loro disse: — Dobbiamo consultare il dio che parla.
— Certo — approvai immediatamente. — Questa notte. Il dio parla soltanto dopo il calar del sole.
Le labbra di Anya si contorsero in un sogghigno celato con difficoltà. Sapevamo entrambi ciò che il dio avrebbe detto.
9
Fu così che cominciammo a unire le tribù di Paradiso.
Non appena Kraal si riebbe dalla sorpresa dell’attacco dei serpenti e la voce divina di Anya gli disse che il suo destino era quello di resistere ai padroni in tutte le loro forme e la loro potenza, cominciò veramente ad assumere la dignità di Kraal il Condottiero. E la nostra gente imparò a difendersi.
Passarono i mesi, segnati dal periodico mutamento del volto della luna. Abbandonammo la valle del dio che parla e procedemmo verso l’interno della foresta che si stendeva attraverso l’Africa dal Mar Rosso fino all’Atlantico. Verso sud i boschi si trasformarono gradualmente in una foresta tropicale che ricopriva gran parte del continente.