Dopo alcune settimane di addestramento, guidai il primo gruppo di esploratori verso i confini settentrionali di Paradiso, là dove la foresta degradava nella sterminata savana che un giorno sarebbe stata il deserto del Sahara.
Anya chiese di venire con me, ma riuscii a convincerla che sarebbe stata di maggiore aiuto se fosse rimasta al fianco di Kraal, per aiutarlo a indurre altre tribù a servire la nostra causa.
— Non voglio che Kraal rimanga solo — dissi — senza nessuno di noi al suo fianco.
Anya strabuzzò gli occhi. — Non ti fidi di lui?
Soltanto allora realizzai quel pensiero. — Non è una questione di fiducia. Quel che abbiamo creato è del tutto nuovo per lui, come per gli altri. Uno di noi dovrebbe sempre restare al suo fianco. Per precauzione.
— Preferirei conficcare una lancia fra le costole di qualche rettile — disse lei.
Scoppiai a ridere. — Avrai altre occasioni per farlo, amore mio. Ho l’impressione che Set sappia esattamente ciò che stiamo facendo, e che abbia deciso di prendere tempo per colpirci dove e quando più gli piace.
Anya distese un braccio per carezzarmi il viso. — Stai attento, Orion. Se Set dovesse ucciderti… sarebbe la fine. Per sempre.
C’erano stati momenti in cui avevo desiderato che la morte scendesse a mettere fine una volta per tutte all’agonia della mia esistenza. Ma non ora. Non a Paradiso, con Anya al mio fianco.
Le diedi un bacio lungo e appassionato. Quindi partii.
Il giovane Chron era diventato un mio seguace, e cercava di rimanere gomito a gomito con me praticamente in ogni momento della giornata. Naturalmente si era offerto come volontario per la prima missione di esplorazione. Dovetti ammettere che possedeva tutte le qualità necessarie a un esploratore: una buona dose di coraggio moderata dal buon senso, vista acuta e gambe agili.
Eravamo in cinque, e per più di una settimana percorremmo la foresta in direzione nord. La nostra meta era la ciotola di roccia presso la quale avevamo posto il nostro primo accampamento, molti mesi prima. Da lì, come sapevamo, distavamo poco più di una giornata di marcia dai confini della prateria.
— Pensi che il dio ci parlerà, Orion? — domandò Chron mentre avanzavamo fra gli alberi. Avevo disposto il nostro gruppo in formazione tattica: due in avanscoperta, a portata di voce, io e Chron dietro di loro e un uomo alla retroguardia.
— Non credo — risposi, con aria assente. — Non ci fermeremo abbastanza a lungo.
La mia attenzione era rivolta al cinguettio degli uccelli e al ronzio degli insetti intorno a noi. Finché continuavano a produrre i loro abituali rumori eravamo al sicuro. In quella foresta il silenzio era indice di pericolo.
Un paio di merli ci seguivano svolazzando da un albero all’altro, gracchiando sopra di noi. Al di sopra di essi il cielo si era fatto scuro. Presto avrebbe cominciato a piovere.
Verso il tramonto si scatenò un acquazzone, e quella notte dormimmo bagnati e senza un fuoco per riscaldarci, in un misero accampamento improvvisato. La pioggia cadeva così violenta da formare un lenzuolo d’acqua. Ci sistemammo sotto una grossa quercia, raggomitolandoci l’uno contro l’altro come un patetico quintetto di scimmie, congelati fino al midollo. La nostra cena consistette di alcuni grilli che trovammo fra l’erba, immobili e silenziosi nel gelo della sera. Erano croccanti sotto i denti, e avevano un sapore dolciastro e nauseabondo.
Infine la pioggia cessò, e la foresta si ravvivò nuovamente col suono dei suoi insetti, grondante un’infinità di gocce d’acqua che cadevano dalle foglie. Si levò una nebbia grigia e fredda che ci avvolse fra le sue dita spettrali.
I miei prodi esploratori erano ovviamente contrariati. — La nebbia — disse Chron, tremando — è come l’alito di uno spettro. — Gli altri approvarono brontolando, in preda ai brividi.
Sorrisi. Sapendo che i rettili col freddo s’intorpidiscono, ribattei: — Questa nebbia è un dono degli dèi. Nessun serpente e nessun rettile possono muoversi con questo freddo. La nebbia è qui per proteggerci.
Il sole del mattino spazzò via la nebbia permettendoci di proseguire per la nostra strada. Giungemmo infine al lago presso il quale sorgeva il villaggio di Kraal.
Gli uccelli che volteggiavano sulle nostre teste costituivano un brutto presagio. Dapprima pensammo che fossero pterosauri, perciò avanzammo verso il villaggio protetti dall’ombra degli alberi. Gli uccelli volavano in ampi cerchi, e il silenzio era assoluto.
Non tutti gli uomini della tribù di Kraal avevano deciso di accompagnarlo nel suo viaggio ispirato dal dio. Gli altri erano rimasti alle loro capanne di rami e fango presso la riva meridionale di quel lago.
Ma i draghi erano scesi contro di loro.
Le narici ci misero in allarme prima ancora di raggiungere ciò che era rimasto del villaggio. L’odore nauseabondo della putrefazione era così forte che, quando scostammo gli ultimi cespugli di fronte alla radura sabbiosa in cui era stato il villaggio, fummo presi da conati di vomito.
Il terreno era nero per la cenere. Tutte le capanne erano state rase al suolo. Alcuni pali erano stati conficcati nel terreno presso la riva, e una dozzina di uomini e donne erano stati impalati su di essi; erano i loro cadaveri a puzzare in quel modo. E con alcune solide assi di legno era stata costruita una specie di forca, dalla quale due corpi pendevano a testa in giù, le carni strappate del tutto dalle ossa, al punto che non riuscimmo a distinguere se fossero stati uomini o donne.
Uno dei miei esploratori era nativo di quel villaggio. Rimase impietrito a fissare quell’atroce spettacolo, senza pronunciare una sola sillaba, fino a quando le gambe non gli cedettero facendolo cadere di peso sulla sabbia rovente.
Gli altri, Chron compreso, dapprima rimasero di sasso, ma a mano a mano che avanzavamo fra i resti carbonizzati delle capanne e i cadaveri degli sventurati che le avevano abitate, il volto di Chron si fece sempre più livido per la rabbia.
Indicai una serie di enormi impronte munite di tre artigli che si allontanavano tra la sabbia e la cenere. Draghi.
Chron agitò in alto la lancia. — Andiamo a ucciderli!
Un altro lo guardò sbalordito come se fosse diventato pazzo. — Non potremo mai uccidere creature simili!
Guardandolo negli occhi, Chron disse: — Allora gettiamoci fra le acque del lago e facciamola finita! Se non possiamo vendicare una simile strage, non siamo degni dell’aria che respiriamo!
Cercai di calmarlo mettendogli una mano sulla spalla. — Uccideremo i draghi — dissi, con voce calma. — Ma non ci getteremo a capofitto nella foresta dietro le loro orme. Non faremmo che assecondare i loro piani.
Come a conferma dei miei sospetti, uno pterosauro apparve nel cielo al di sopra delle placide acque del lago. Indugiò nell’aria per qualche momento, quindi ripiegò le ali di pelle per gettarsi in picchiata verso il pelo del lago, senza sollevare un solo spruzzo. Un istante più tardi apparve di nuovo con un pesce nel suo lungo becco.
— Sta pescando, non è alla nostra ricerca — disse Chron.
Inarcai un sopracciglio. — Anche una vedetta deve mangiare.
Lo pterosauro distese le ali e si allontanò, battendo le ali e camminando sulla superficie dell’acqua coi piedi palmati, quindi prese quota e scomparve verso nord.
— Andiamo — dissi. — I draghi sono stati qui due o tre giorni fa. Se agiremo d’astuzia, riusciremo a prenderli in trappola proprio mentre si aspettano di farci cadere nel loro tranello.
10
I draghi avevano lasciato una traccia fin troppo evidente attraverso la foresta, sradicando cespugli e giovani alberi mentre tornavano alla savana da cui erano giunti. Le loro impronte procedevano soltanto in quella direzione. Dovevano essere scesi al villaggio facendo molta più attenzione, costeggiando la riva o discendendo il fiume stesso.