Sì, seguirli era troppo facile. Sapevo che dovevano essere da qualche parte laggiù, pronti a far scattare la trappola che avevano in serbo per noi.
Ordinai al mio gruppetto di esploratori di tenersi alla larga da quelle impronte. Ci muovemmo silenziosi come spettri, scivolando nella foresta tra il denso fogliame e gli alberi frondosi, cercando di non lasciare traccia del nostro passaggio.
Raggiungemmo le colline che si ergevano parallele a un tratto del fiume. Ci arrampicammo su per le rocce nude e, raggiuntane la cima, riuscimmo a vedere facilmente la pista che i draghi avevano lasciato tra gli alberi.
Tenendoci al di sotto della linea d’orizzonte, in breve raggiungemmo la scodella di roccia che avevamo abitato fino a qualche mese prima.
E i draghi erano lì. Erano in dodici, intenti a mangiare.
Ci appiattimmo sull’orlo della roccia e osservammo i giganteschi rettili che avevano raso al suolo il villaggio di Kraal.
Quei mostri erano considerevolmente diversi dalla bestia che avevo ucciso ormai molti mesi prima. Erano decisamente più grossi e massicci, lunghi oltre sei metri dalla testa alla coda. Camminavano eretti sulle zampe posteriori, e le loro terribili teste distavano più di cinque metri da terra. Le zampe anteriori erano corte e relativamente snelle, e le usavano per tenere ferme le loro prede. Sul collo lungo e forte si ergeva un cranio massiccio, che sembrava costituito quasi interamente da denti simili a coltelli da macellaio. La coda era corta e tozza.
Il colore della loro pelle variava dal marrone chiaro al verde marcio: ben presto mi accorsi che mutava come quello di un camaleonte a mano a mano che le bestie si spostavano da una zona all’altra della valle.
Riconobbi il fetore che saliva verso di noi; proveniva dal cibo che stavano mangiando. Occorsero alcuni minuti prima che Chron e i miei compagni realizzassero di cosa si trattava. Sentii il corpo del giovane irrigidirsi contro il mio.
Gli portai una mano alla bocca, premendogliela stretta. Gli altri si mossero ma non fiatarono.
Il banchetto dei draghi era costituito di carne umana. Dovevano aver portato con sé dal villaggio alcuni cadaveri come provviste. Li vidi usare gli artigli delle zampe anteriori per tenere ferme le prede e strappare grossi pezzi di carne con quei micidiali coltelli che erano i loro denti.
Nonostante la loro stazza, sembravano in grado di correre piuttosto velocemente, molto più di un uomo. Potevano usare la coda per colpire una vittima sufficientemente vicina, e le zanne e gli artigli di cui erano dotati costituivano un arsenale decisamente temibile.
A un mio cenno ci ritraemmo dall’orlo della scarpata, quindi procedemmo in silenzio per quasi mezz’ora prima che qualcuno fosse in grado di pronunciare una sola parola. Le nostre lance dalla punta di rame erano ridicole a paragone dei denti e degli artigli di quei mostri.
Persino Chron sembrava intimorito. — Come possiamo ucciderli, soltanto noi cinque?
— Anche se con noi fossero venuti tutti gli uomini della tribù, nessuno avrebbe avuto il coraggio di attaccarli — disse uno degli altri.
— Sono animali terribili, vero — dissi. — Ma noi abbiamo un’arma che loro non posseggono.
— Le lance non serviranno a niente contro di loro.
— L’arma di cui parlavo non la stringiamo fra le mani — replicai.
— È qui. — Mi battei la tempia con un dito.
Scesi dalla collina, facemmo un ampio cerchio verso nord e guadammo il fiume in un punto in cui l’acqua spruzzava bianca tra le rocce e i massi dai contorni smussati. Continuai a scrutare il cielo, ma non vidi più nessuno pterosauro.
Raggiunti gli alberi sulla riva opposta, mi accovacciai sul terreno sabbioso e con le dita tracciai una mappa sulla rena. — Questa è la valle del dio che parla, dove i draghi si sono appostati per tenderci un’imboscata. Qui c’è il fiume. E questi siamo noi.
Esposi il mio piano. Dapprima i miei compagni espressero una certa riluttanza, ma quand’ebbi finito di rispondere alle loro domande furono costretti ad ammettere che, se tutto fosse andato secondo i piani, avremmo potuto anche farcela.
Disponevamo di un’altra arma che i draghi non possedevano: il fuoco. I rettili avevano usato il fuoco già acceso nelle capanne per dare alle fiamme il villaggio presso il lago. Avevo intenzione di usare contro di loro il fuoco e l’elemento sorpresa.
Per tutta la notte ci adoperammo a raccogliere legna secca. Il suolo della valle era disseminato di cespugli e rami secchi. Sapevo che durante la notte i draghi si sarebbero addormentati, o comunque intorpiditi. I rettili s’impigriscono ogni volta che il termometro scende. Perciò, il momento migliore per attaccare sarebbe stato quello subito precedente l’alba, quando la temperatura raggiunge il punto più basso della giornata.
Il mio unico timore era che qualcuno di loro si appostasse di sentinella. Magari qualche serpente sensibile al calore come quelli che ci avevano attaccati nelle caverne. Potevo solo sperare che Set fosse tanto arrogante da pensare che un drappello di cinque uomini dovesse necessariamente accamparsi per la notte e riprendere il viaggio soltanto allo spuntar del sole.
Facemmo decine di viaggi fra le rocce umide e scivolose, portando con noi fasci di sterpi e rami staccati dal vento. Sorse la luna, una snella falce crescente che a malapena riusciva a contrastare la luce emessa dalla lucente stella rossa.
Rapidi e silenziosi, ci apprestammo a trasportare il nostro carico di legna verso il canyon.
All’imboccatura della valle vidi profilarsi la sagoma scura di un drago. Era seduto sulle zampe posteriori, immobile. Ma vidi anche la luce rossastra della stella brillare riflessa nei suoi occhi. Era sveglio.
Una guardia. Una sentinella. Il demoniaco Set non era poi così presuntuoso, dopotutto.
Distesi un braccio per far fermare dietro di me gli uomini, che lasciarono cadere i fardelli e rimasero a bocca aperta a fissare il mostro che si stagliava contro la notte. Lentamente, il rettile voltò il capo verso di noi. Indietreggiammo per appiattirci contro la parete di roccia, fra le ombre.
Il drago non si era accorto della nostra presenza. Anzi, sembrava in stato di dormiveglia, pigro e indolente.
— Non possiamo andare avanti! — sussurrò Chron.
— Dovremo ucciderlo — dissi io. — E senza far rumore, per non svegliare gli altri.
— Ma come…
Lo zittii portandomi un dito alle labbra. Quindi ordinai: — Rimanete qui e fate silenzio. Non parlate, non vi muovete. Ma se sentiste il mostro ruggire, allora scappate con quanto fiato avete in corpo, senza curarvi di me.
Sapevo che c’erano un gran numero di domande che volevano pormi, ma non potevamo perdere tempo in ulteriori spiegazioni o discussioni. Senza aggiungere una parola, mi protesi verso l’alto in cerca di un appiglio sulla ripida parete di roccia e cominciai ad arrampicarmi.
La roccia era friabile, e più d’una volta temetti di cadere e rompermi l’osso del collo. Ma dopo una sudata di alcuni minuti, incontrai una sporgenza che correva parallelamente al terreno.
Era molto stretta, appena sufficiente a farmi avanzare mettendo un piede davanti all’altro. Appiattendomi contro la parete di roccia ancora calda per la luce del sole, avanzai lentamente e con fatica fino sulla perpendicolare del drago.
Il lontano chiurlo di una civetta risuonò nell’oscurità. I grilli cantavano imperterriti la loro eterna melodia stridula mentre le rane presso la riva del fiume intonavano note più alte. Nessun essere vivente nella foresta sembrò accorgersi della morte, pronta a colpire.
Dovetti voltarmi e rischiai di perdere la presa e cadere, ma riuscii ad appiattirmi contro la parete. Estrassi il pugnale dal fodero legato contro la gamba. Avevo una sola possibilità per uccidere quel mostro. Se avessi fallito, mi sarei trasformato nel suo spuntino notturno.