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Ma che ne era di Anya?

La tattica dell’ostaggio funzionava alla perfezione, fui costretto ad ammettere. Anya era nelle sue mani, e presto avrebbe avuto anche me. E tutto ciò che avevo insegnato a Kraal sarebbe servito soltanto a trovare nuovi schiavi per i demoniaci padroni.

Fu in questo tumulto di paure e rimorsi in conflitto fra loro che attraversai la foresta sulla schiena del drago durante quel giorno di pioggia. Bagnato, infreddolito e scoraggiato, posai la testa sul collo dell’animale e cercai di addormentarmi. Se anche la pioggia costituiva un fastidio per i rettili che mi avevano fatto prigioniero, non lo dimostravano minimamente. L’acqua picchiettava leggera sulle loro scaglie, e la fredda umidità dell’aria non sembrava avere alcun effetto su di loro.

Chiusi gli occhi e feci in modo di mantenere salda la presa sulla pelle bagnata e scivolosa del drago. Volevo dormire, in modo di essere riposato quando fossi giunto al cospetto di Set. Speravo anche, senza crederci veramente, che durante il sonno i Creatori decidessero di mettersi in contatto con me come avevano fatto nelle mie vite precedenti, in altre epoche.

Il mio ultimo pensiero cosciente fu rivolto ad Anya. Era ancora viva? Stava soffrendo le torture che Set aveva minacciato di riservarle?

Mi decisi a prendere sonno. Un sonno privo di sogni o di messaggi. In qualsiasi altro momento sarei stato felice di assaporare per qualche ora un oblio così totale e riposante. Ma quando mi svegliai mi sentii deluso, abbandonato, impotente.

Scrollatomi di dosso gli ultimi brandelli di sonno, mi accorsi che era quasi notte. Eravamo usciti dalla foresta, e avanzavamo attraverso l’immenso mare d’erba verso il giardino presso il Nilo. La luna stava sorgendo dietro l’orizzonte, e con essa anche la stella dallo stesso colore sanguigno degli occhi di Set.

12

Il sole era alto in un cielo così azzurro da farmi quasi dolere gli occhi. Avanzavamo nel giardino presso il Nilo, e i draghi, rallentato il passo, percorrevano un ampio corridoio di alberi. Il terreno sotto di noi era una distesa di ghiaia priva d’erba.

Non riuscii a scorgere nessuno schiavo, né altri draghi o rettili. Il giardino sembrava del tutto deserto, a parte noi.

Alta davanti a me si profilava una grossa struttura, un edificio, o meglio una parete liscia e ricurva. Sotto la luce del sole priva d’ombre aveva lo stesso colore di un guscio d’uovo e sembrava altrettanto levigata. Era ricurva verso l’interno, e degradava visibilmente verso la sommità. Nessuna fortificazione, nessuna finestra, nessuna feritoia. Soltanto una parete incurvata, costituita da un materiale che non era né pietra né legno.

I nostri draghi rallentarono ulteriormente la marcia quando fummo vicini a essa, quindi presero a percorrerne il perimetro. Doveva essere alta più di tre piani, valutai, e così ampia da coprire una superficie maggiore di quelle di Troia e Gerico messe insieme.

Avanzammo lungo la vasta base tondeggiante della parete per alcuni minuti, e a un tratto una sezione si aprì su se stessa per scoprire un ampio passaggio. I draghi l’attraversarono.

Gli animali percorsero al passo la lunga, ampia galleria che si snodava al di là. Le loro zampe munite d’artigli ticchettavano sul selciato. Il loro capo toccava quasi il soffitto, composto dello stesso materiale plastico e liscio della parete esterna. Infine emergemmo nuovamente alla luce del sole.

Eravamo giunti in un’immenso cortile circolare affollato di rettili di ogni tipo e dimensioni e di schiavi umani, sudati e seminudi. La facciata interna della parete era completamente liscia e impossibile da scalare.

Sul lato opposto del cortile c’era una specie di recinto per bestiame entro il quale erano chiusi i draghi erbivori che fungevano da guardiani di schiavi. Alcuni di loro allungavano il collo verso mangiatoie colme d’erba. Altri indugiavano placidi, muovendo lentamente la coda, con gli occhi rivolti verso il cortile, sollevando e abbassando il capo. In posizione eretta raggiungevano più della metà dell’altezza del soffitto.

Sul lato opposto del cortile c’erano recinti più solidi entro i quali passeggiava nervosamente un gran numero di carnosauri, sibilando e chiudendo di scatto la bocca, gli enormi denti lucenti come sciabole sotto la luce del sole.

Un terrazzamento pendeva da una sezione della parete incurvata a un’altezza di più di cinque metri. Decine di pterosauri dormivano su di essa con le grandi ali di pelle ripiegate, i lunghi becchi rivolti verso il basso e gli occhi chiusi. Non riuscii a scorgere alcuna traccia di escrementi sulle travi che reggevano il ripiano. O quei rettili volanti erano molto ben educati, o gli schiavi che li accudivano svolgevano il loro lavoro con estrema efficienza.

Nell’immenso giardino contai otto rettili umanoidi a passeggio nei campi, seduti su panche o intenti al lavoro. Nessuno di loro parlava con gli altri. Rimanevano a distanza, come se non si curassero affatto dei propri simili.

Alcuni schiavi addetti a riempire le mangiatoie degli erbivori trasportavano grosse ceste di vimini colme di fogliame. Altri quattro schiavi uscirono dalla bassa imboccatura di un cunicolo, curvi sotto il peso di un piano di legno sul quale erano impilati grossi pezzi di carne destinata ai carnosauri. Altri ancora si affrettavano intorno, intenti a compiti che non mi erano chiari ma che dovevano essere piuttosto importanti, a giudicare dalla loro velocità. Altri due si portarono ai piedi dei sauri che cavalcavamo, chinando il capo mentre i rettili scivolavano a terra invitandomi, con un cenno, a fare altrettanto.

La scena era quella dell’interno di un castello medievale o di una piazza di mercato orientale: i draghi con la loro pelle multicolore, i rettili dalle scaglie di rosso corallo, l’immensa parete ricurva, gli pterosauri, gli schiavi al lavoro. Eppure erano altri i particolari che trovavo ancora più singolari. La mancanza totale del fuoco e la relativa mancanza di rumore.

Tutto accadeva in un silenzio quasi assoluto; non si udiva una sola voce. Soltanto l’occasionale sbuffare di un drago o il ronzio di un insetto infrangevano quella quiete così irreale. I piedi nudi degli schiavi non producevano alcun rumore sul terreno polveroso del cortile. I rettili non emettevano alcun suono, e i loro servitori umani non osavano fiatare.

Mi lasciai scivolare a terra e fissai i due schiavi muti di fronte a noi. Uno di loro era una giovane donna, nuda fino alla cintola come il suo compagno. Senza dire una parola, rivolsero un cenno ai draghi che li seguirono verso i recinti dei carnivori.

Uno dei rettili che mi avevano catturato mi diede un colpetto sulla spalla e indicò in direzione di una stretta soglia nella parete ricurva. Ero pronto a giurare che la parete fosse stata perfettamente liscia fino a quel momento.

Con un rettile avanti a me e l’altro di dietro, m’immersi nella fresca ombra di un corridoio che sembrava seguire la circonferenza interna delle mura. Giungemmo a una rampa di scale a spirale che portava in basso e iniziammo una lunga discesa. Era buio, soprattutto dopo essere rimasti così a lungo alla luce del sole. Il corridoio non era illuminato; a malapena riuscivo a distinguere la schiena del rettile che camminava poco più di un metro davanti a me.

Infine ci arrestammo di fronte a quella che sembrava una parete. Una porzione di muro scivolò su se stessa. I rettili che mi avevano scortato fin lì fecero un gesto per esortarmi ad avanzare.

Entrai in una camera debolmente illuminata, e la porta si richiuse con violenza alle mie spalle. Ma sapevo di non essere solo. Riuscivo ad avvertire la presenza di un altro essere vivente.

Sebbene i miei occhi fossero in grado di adeguarsi quasi istantaneamente a qualsiasi condizione di luce, la camera rimase immersa nella quasi totale oscurità. Poi un raggio di luce rossa, simile al sinistro luccichio della stella insanguinata della notte, inondò una parte della stanza.