Infine raggiunsi il limitare della foresta e scrutai attraverso gli alberi la vasta distesa d’erba che si stendeva fra me e la fortezza di Set.
Pterosauri volteggiavano nel cielo illuminato dal sole. All’orizzonte vidi profilarsi la sagoma scura di un sauropode. Set aveva fatto uscire i sauri alla mia ricerca. Sapeva che sarei venuto a cercarlo e mi attendeva, pronto e vigile.
Sedetti a terra con la schiena appoggiata alla scabra corteccia di un grosso acero, riflettendo sulla mia mossa seguente.
Sarebbe stata una pazzia cercare di espugnare la fortezza di Set da solo, armato soltanto di una lancia di legno e pochi attrezzi di pietra. Avevo bisogno d’aiuto. Il che significava che dovevo fare ritorno presso i Creatori.
Per ore cercai di resistere a quell’idea. Non avevo alcuna voglia di tornare fra loro. Avrei preferito liberarmene una volta per tutte; o almeno incontrarli come pari, come un uomo che aveva sconfitto il loro più pericoloso nemico facendo affidamento soltanto sulla proprie forze, e non come un giocattolo menomato che non era in grado di funzionare correttamente e perciò aveva costante bisogno d’aiuto.
Ma non vedevo alcuna alternativa. Non potevo affrontare Set da solo e disarmato. Mi serviva il loro aiuto.
Sapevo che se avessi cercato di mettermi in contatto con i Creatori, Set si sarebbe diretto verso il mio segnale come un serpente nella notte è guidato dal calore corporeo della propria preda. Se avessi cercato di mettermi in contatto con i Creatori senza riuscire nel mio intento, i demoni di Set sarebbero piombati su di me nel giro di qualche ora.
Il che significava che non potevo contare sui Creatori per farmi condurre presso di loro. Dovevo compiere il balzo io stesso, attraverso i miei soli poteri.
Scese la sera. I grilli e insetti intonarono i loro canti tra le ombre. Arrampicatomi sul tronco dell’acero, mi sistemai su uno dei suoi rami più grossi. Per qualche motivo mi sentivo molto più al sicuro lassù che non sul terreno.
Il mio retaggio scimmiesco, Set l’avrebbe chiamato.
Chiusi gli occhi e mi sforzai di ricordare tutte le volte che ero stato trasportato attraverso il continuum, da un punto all’altro dello spaziotempo. Ricordai il dolore della morte, che avevo provato ripetutamente. Mi concentrai nel tentativo di guardare al di là di quel dolore, in cerca del ricordo del mio trasferimento attraverso il continuum.
L’avevo già fatto una volta, anche se non potevo essere sicuro che uno dei Creatori non mi avesse aiutato, a mia insaputa. Adesso dovevo cercare di farlo da solo. Ci sarei riuscito?
Il segreto era di raccogliere l’energia necessaria per creare una spaccatura nello spaziotempo. L’energia può essere assoggettata al controllo di una coscienza allo stesso modo in cui lo è la materia. E l’universo brulica d’energia. Le stelle ne irradiano a grandi quantità, di continuo. Mentre giacevo disteso su un ramo di quell’albero, migliaia di miliardi di stelle e particelle cosmiche irraggiavano il mio corpo, penetrando la notte e il mondo intorno a me.
Usai quell’energia. Mettendola a fuoco con la mente come una lente mette a fuoco la luce, piegai la sua potenza al mio volere. Di nuovo avvertii per un istante quel freddo criogenico, quell’istante di nulla che segna la transizione fra gli abissi del continuum.
Aprii gli occhi.
La città dei Creatori si stendeva tutt’intorno a me, coi suoi magnifici templi e monumenti appartenenti a tutte le epoche della razza umana. Vuota e immersa nel silenzio, abbandonata.
La cupola d’energia brillava tingendo il cielo azzurro di un pallido alone dorato. In altri luoghi di quella Terra tranquilla, esseri umani a me più simili conducevano la loro normale vita di gioie, dolori, amore e lavoro. Ma i Creatori erano fuggiti.
Per ore percorsi le strade della loro città abbandonata. Marmo e bronzo, oro e acciaio inossidabile, vetro e legno intagliato. Quel mondo continuava a vivere anche senza di loro, ma quanto sarebbe durato? Per quanto tempo il continuum avrebbe potuto mantenere la propria stabilità, con Set ancora vivo e i Creatori dispersi tra le stelle? Per quanto tempo la razza umana avrebbe potuto sopravvivere, quando il suo più spietato nemico era ancora intento a cancellare l’umanità intera?
Mi ritrovai nuovamente nella piazza principale, di fronte al Partenone e alla colossale statua di Atena. Il volto di Anya mi guardava dall’alto, con un elmo greco da battaglia sul capo e una lunga lancia affusolata stretta nella mano.
Sollevai le braccia verso la statua che si ergeva di fronte a me.
— Come posso vincere, da solo? — domandai al marmo freddo e insensibile. — Cosa posso fare, abbandonato a me stesso?
La statua sembrò animarsi. Il marmo cominciò a brillare al proprio interno e ad assumere il colore della carne viva. I suoi occhi dipinti divennero veri occhi grigi e solenni. Le labbra si mossero, e quella voce melodiosa che conoscevo così bene cominciò a risuonare nella città deserta.
— Non sei solo, amore mio.
— Anya!
— Sono sempre con te, anche se non posso aiutarti direttamente.
Il ricordo del suo tradimento infuriò dentro di me. — Mi hai abbandonato.
Il volto vivente della statua sembrò sul punto di mettersi a piangere. — Sono pentita di ciò che ho fatto, Orion.
Udii la mia voce rispondere: — Non avevi scelta, lo so. Lo capisco. La mia vita non ha importanza in confronto alla sopravvivenza dei Creatori. Eppure brucia più di tutti i fuochi dell’inferno di Set.
— Non sono stata motivata da scopi tanto nobili — replicò Anya. — Ero terrorizzata dal pensiero della morte definitiva, quella degli umani. Sono fuggita per mettermi in salvo, lasciando l’uomo che più amo in tutti gli universi nelle mani del più crudele degli esseri malvagi.
— Io avrei fatto lo stesso — dissi.
Il volto di pietra si contorse in un sorriso mesto. — No, Orion.
Tu saresti morto per proteggermi. Hai dato la tua vita già molte volte, ma sempre, anche di fronte alla prospettiva della morte definitiva, hai cercato di salvarmi ponendo in pericolo la tua stessa salvezza.
Non potevo controbatterle nulla.
— Dapprima ho assunto forma umana per una sorta di capriccio — Anya confessò. — Trovavo eccitante vivere con te, sentire il sangue scorrere nelle mie vene, amare, ridere, combattere… persino sanguinare. Ma sempre con l’idea che sarei potuta fuggire, se necessario. Non ho mai dovuto affrontare la prova definitiva della morte vera e propria. Quando Set mi ha avuta in suo potere, quando ho capito che sarei morta per l’eternità, che avrei cessato di esistere, per la prima volta ho veramente provato terrore. Mi sono lasciata prendere dal panico. Ti ho abbandonato per mettermi in salvo.
— Pensavo che ti avrei odiata per questo — le dissi. — E invece continuo ad amarti.
— Non sono degna del tuo amore, Orion.
Con un sorriso, risposi: — Eppure hai tutto il mio amore, Anya. Ora e per sempre. Per tutto il tempo, lo spazio e gli universi del continuum, ti amerò sempre.
Era la verità. L’amavo, e l’avevo perdonata. Avevo preso quella decisione di mia spontanea volontà; nessuno aveva manipolato la mia mente. Non era una reazione inclusa nel mio condizionamento da parte del Radioso. L’amavo veramente, nonostante ciò che aveva fatto. In parte, forse l’amavo proprio perché aveva finalmente provato la paura suprema che tutti gli esseri umani devono affrontare, a cui nessuno degli altri Creatori aveva mai avuto il coraggio di avvicinarsi.
— E io amo te, caro — disse lei, con voce sempre più debole.
— Ma dove sei?
— I Creatori sono fuggiti. Quando hanno saputo che Set avrebbe potuto attaccarli qui, nel nostro stesso santuario, hanno abbandonato la Terra.