Ignorai qualsiasi distrazione. Ignorai persino lo stesso Subotai mentre raccoglievo tutte le mie forze per trasportare l’intero esercito attraverso lo spaziotempo. Avvertii l’ormai familiare sensazione di freddo intenso, che scomparve quasi immediatamente.
Mi accorsi di aver tenuto gli occhi chiusi. Quando li riaprii eravamo ancora in un bosco. Ma la nebbia si era dissolta. Il terreno sotto di noi era asciutto. La luce del sole che filtrava attraverso le fitte fronde degli alberi era intensa e luminosa.
Cavalcammo tra i boschi di Paradiso, diretti verso il limitare nord della foresta. Il periodo era il Neolitico. Eravamo nel tempo e nel luogo in cui Set aveva stabilito la propria dimora per cancellare dalla Terra il genere umano nel suo periodo di maggiore vulnerabilità, per vendicarsi di me e dei Creatori che avevano distrutto il suo pianeta natale, per impadronirsi della Terra e farla sua per l’eternità.
Rivolsi la mia attenzione a Subotai. Cavalcava il suo pony con aria tranquilla e volto impassibile. Ma i suoi occhi saettavano d’ogni dove. Sapeva di non essere più nella terra fredda e umida dei Moscoviti. Il sole era caldo persino sotto le fronde di quegli alberi maestosi. Il generale analizzava ogni pianta, ogni roccia, ogni minuscolo animaletto che fuggiva nel sottobosco. Tracciava nella sua mente una mappa minuziosa di quella terra a lui completamente aliena.
Infine mi chiese: — Hai detto che non ci sono altri uomini, qui?
— Qualche tribù dispersa qua e là, mio signore. Ma sono tutte deboli, e non molto numerose. Non posseggono armi a eccezione di rozze lance di legno e archi che non raggiungono nemmeno lontanamente la gittata degli archi mongoli.
— E poche donne, quindi?
— Piuttosto poche, temo.
Il Mongolo emise un grugnito. — E i mostri? Di cosa sono armati?
— Usano grandi rettili e li fanno combattere ai loro ordini… draghi più grandi di dieci cavalli, con micidiali artigli e zanne impietose.
— Animali — borbottò Subotai.
— Animali controllati dalla mente dei loro padroni — lo corressi — in grado di combattere con coraggio e intelligenza.
A quella precisazione, Subotai non aggiunse parola.
Per gran parte della giornata continuammo ad avanzare nella foresta; i guerrieri mongoli dietro di noi scivolavano tra gli alberi, silenziosi come spettri. Non ci fermammo per mangiare; consumammo carne secca e bevemmo acqua senza smontare mai di sella.
Il sole era quasi sceso dietro l’orizzonte quando raggiungemmo il limitare della foresta, ai margini dell’interminabile mare d’erba che si stendeva a vista d’occhio.
Subotai fece un sorriso. Spinse il proprio pony fuori dal riparo degli alberi e avanzò un centinaio di metri lungo la pianura.
— Per quanto si stende questa terra? — domandò.
Compiendo rapidi calcoli mentali, urlai in risposta: — Più o meno come la distanza fra Bagdad e Karakorum.
Il generale mongolo lanciò un grido selvaggio e spronò al galoppo la propria cavalcatura. Le sue guardie del corpo, colte di sorpresa, partirono a passo di carica dietro di lui, lasciandomi solo sulla mia sella a bearmi dell’inusuale vista di un gruppo di guerrieri mongoli schiamazzanti per la gioia come bambini.
Poi vidi uno pterosauro veleggiare contro il cielo azzurro e luminoso sopra di noi.
— Bentornato, Orion — la fredda voce di Set risuonò nella mia mente. — Vedo che hai portato con te altre scimmie urlanti per infastidirmi. Bene. Massacrarle sarà per me una vera gioia.
Diedi un giro di vite ai miei pensieri. Meno informazioni Set riusciva a leggervi sull’identità di quegli uomini, meglio sarebbe stato. Dovevo combatterlo nel luogo e nel tempo che preferiva, ma qualsiasi elemento di sorpresa sul quale potessi fare affidamento era per me d’importanza vitale.
Subotai riportò il proprio cavallo a passo di trotto dopo circa mezz’ora di galoppo sfrenato; il suo volto normalmente aspro e duro era illuminato da un ampio sorriso.
— Mi hai consigliato bene, Orion. Questa terra è simile al Gobi in primavera.
— È così in ogni stagione — dissi. Nel giro di qualche migliaio d’anni sarebbe diventato il più arido deserto sulla Terra, quando i ghiacci che in quell’epoca coprivano l’Europa si sarebbero ritirati e le piogge sarebbero scomparse verso nord insieme a essi. Ma per quel momento, per tutta la vita di Subotai, dei suoi figli e dei figli dei suoi figli, l’erba sarebbe rimasta verde e abbondante.
— Dobbiamo portare qui il resto dell’esercito, e le nostre famiglie con le loro greggi — disse Subotai in tono entusiastico. — Allora saremo in grado di fronteggiare i tuoi demoni e i tuoi draghi.
Stavo per dirmi d’accordo con lui quando notai all’orizzonte la goffa figura di un sauropode che avanzava sulle quattro zampe.
Indicando in quella direzione, dissi: — Ecco una di quelle bestie. Non è uno dei draghi da combattimento, ma potrebbe essere pericoloso.
Subotai spronò immediatamente il suo cavallo alla carica contro il sauropode. Una dozzina di uomini della sua guardia partirono alla carica dietro di lui. Io li seguii a ruota, e insieme ci avventammo contro il dinosauro che si allontanava con la lentezza dettata dalla sua mole. Mi abbandonai alla piacevole sensazione del vento sul mio volto e del movimento dei muscoli del mio pony; era una sensazione esilarante.
Mentre ci avvicinavamo al sauropode, la sua testa girò sul suo lungo collo da serpente per guardare verso di noi. Compresi che Set usava quell’animale come esploratore, esaminandoci attraverso i suoi occhi. Potevo sentirlo sibilare nel suo equivalente di una risata divertita.
L’animale avanzò barcollando verso un leggero pendio, poco più di un poggio erboso su cui crescevano rovi carichi di bacche.
— Fate attenzione! — urlai a Subotai superando il frastuono degli zoccoli. — Potrebbero essercene altri.
Il generale mongolo stava già impugnando l’arco ricurvo che aveva tenuto sulla schiena, reggendo le redini fra i denti. Gli altri guerrieri avevano già incoccato le frecce ai loro archi senza rallentare minimamente la marcia.
Nutrivo il forte sospetto che fra quei cespugli e dietro l’altura si nascondessero alcuni shaydiani, insieme ai loro draghi. Spronai il mio cavallo a un’andatura più veloce nel tentativo di raggiungere l’impetuoso Subotai.
Il sauropode raggiunse la base della collinetta ma, invece di risalirla o di aggirarla, si voltò ad affrontarci. Lanciò un fischio sibilante e si sollevò sulle zampe posteriori, il suo capo a più di dodici metri sopra di noi, gli artigli delle zampe anteriori scintillando minacciosi alla luce del sole.
Subotai scoccò una freccia che colpì l’animale in pieno petto. Il sauro strillò e si diresse verso di lui. Il pony di Subotai, spaventato, s’impennò. Chiunque altro sarebbe stato sbalzato a terra ma Subotai, praticamente nato a dorso di cavallo, riuscì a rimanere in sella.
Una dozzina di frecce volò in direzione del mostro colpendone il petto, il ventre, il collo. Ero sufficientemente vicino a esso da udire il tonfo sordo prodotto dai dardi che penetravano fra le sue squame. La spada nella mano, diressi il mio cavallo al fianco di Subotai, pronto a proteggerlo mentre riprendeva il controllo della sua cavalcatura.
Fu allora che scattò la trappola. Da entrambi i lati del piccolo rilievo balzarono fuori una mezza dozzina di draghi da combattimento, guidati da shaydiani sistemati sulle loro schiene. A quella vista tutti i cavalli si abbandonarono al terrore. Molti guerrieri mongoli caddero a terra. Il mio cavallo indietreggiò scalciando in aria, cercando disperatamente di allontanarsi dai denti aguzzi e dagli artigli di quei mostri feroci.