Mi concentrai di più. Ancora nessun risultato.
Sollevando il capo, osservai le stelle nel cielo. Sheol brillava debolmente, semplice riflesso della sua potenza originaria. Allora compresi che Set aveva bloccato la mia via d’accesso al continuum così come aveva fatto con Anya la prima volta che eravamo giunti in quel luogo.
Mi aveva preso in trappola insieme a Subotai e a un migliaio di guerrieri.
Udii la sua risata sibilare nella mia mente. Avevo condotto il generale mongolo in trappola. Set aveva intenzione di tenerci lì e ucciderci fino all’ultimo uomo.
36
Non potevo affrontare Subotai. Mi aveva seguito sulla parola, fiducioso che lo avrei condotto in una terra dove lui e la sua gente, una volta sconfitti gli alieni, avrebbero potuto vivere in pace. Si era fidato di me, e mi aveva chiamato amico. Come potevo dirgli che l’avevo fatto cadere in una trappola mortale?
Perché questo era ciò che avevo fatto. Non avrei più potuto guardare il volto indurito dalle battaglie del mio generale mongolo finché non avessi risolto la situazione o fossi morto nel tentativo.
Da Set avevo imparato una cosa di estrema importanza. L’energia è la chiave di qualsiasi potere. Distruggi la sua fonte d’energia e il tuo nemico non è più una minaccia. La fonte d’energia di Set era il pozzo nucleare che scendeva nel cuore fuso della Terra. Dovevo raggiungerlo e, in qualche modo, riuscire a distruggerlo.
Il pozzo era all’interno della fortezza di Set, a circa una giornata di marcia dal luogo in cui le truppe di Subotai si erano accampate per la notte. Dovevo recarmi laggiù, e alla svelta, prima che Set vibrasse un attacco in grado di sterminare tutti i Mongoli.
Ma io ero già tagliato fuori dalla mia fonte d’energia. Set aveva posto una barriera fra me e il cosmo, impedendomi di utilizzare l’energia proveniente dal sole e dalle stelle. Ma questa schermatura era soltanto una bolla che copriva la terra immediatamente intorno a me, o avvolgeva piuttosto l’intero pianeta in un sudario che bloccava tutta l’energia emanata dalle stelle?
Non avrebbe fatto nessuna differenza. Comunque ero tagliato fuori dalla fonte d’energia che mi avrebbe permesso di affrontare Set. Non c’era che una cosa da fare: raggiungere il suo pozzo nucleare e distruggerlo, o usarlo contro di lui.
Comunque non potevo fare nulla nel giro di una notte. Impadronitomi di un cavallo mongolo, partii al galoppo in direzione nord-est, verso la fortezza di Set. Potevo solo sperare di raggiungerla prima che il demonio potesse sferrare un attacco decisivo contro Subotai.
Il sole si levò nella nebbia, debole, pallido spettro della sua stessa gloria. Lo schermo di Set doveva essere incredibilmente forte. Pterosauri attraversavano zigzagando il cielo grigio e stinto. Era impossibile che non riuscissero a scorgermi, solo in quell’immensa distesa d’erba.
Mi domandai cosa Subotai pensasse di me. Probabilmente non aveva ancora cominciato a preoccuparsi, immaginando che fossi tornato in Moscaria e che stessi compiendo i passi necessari a portare il resto dell’esercito presso di lui. Non potevo sopportare che pensasse a me come a un traditore. Non temevo la sua rabbia o la sua punizione, ma mi sentivo infelice al pensiero di aver tradito la sua fiducia.
Nonostante l’aspetto malato del sole, l’aria si fece piuttosto calda. Lo schermo di Set era selettivo, e permetteva ai raggi di maggior lunghezza d’onda di raggiungere la terra e continuare a riscaldarla. Se avessi avuto strumenti adatti, mi avrebbero confermato che nessuna lunghezza d’onda ad alta energia era in grado di penetrare quella barriera. Né poteva farlo alcuna particella cosmica portatrice di energia: ne ero certo.
Più tardi, quel pomeriggio, un trio di shaydiani a cavallo di altrettanti draghi uscirono dalla nebbia prodotta dal calore della terra, diretti verso di me. Gli pterosauri avevano fatto il loro lavoro. Stavo per essere ucciso, o catturato e trascinato nuovamente al cospetto di Set.
Per la prima volta da quando li avevo mai visti, gli shaydiani impugnavano armi. Ognuno di loro portava sulla schiena una sbarra di metallo lucente curiosamente contorta. Quando mi videro, i rettili si tolsero le armi dalle spalle e, reggendole saldamente tra le mani come fucili, spinsero i carnosauri al trotto.
Scesi dal cavallo e lo feci allontanare. Avevo già sacrificato un pony, e non avevo nessuna intenzione di ripetere quell’errore. Curiosamente, pensai di aver acquisito una parte del rispetto che i Mongoli nutrivano per i cavalli.
Mentre quei demoni si facevano più vicini, misi a fuoco il mio pensiero sul più vicino dei tre, penetrando per un istante nella sua mente. Quei fucili, con le loro bolle di metallo e le loro bocche lunghe e sottili, proiettavano raggi di fuoco, come piccoli lanciafiamme. Set sapeva di non poter contare soltanto su zanne e artigli in una battaglia contro i Mongoli; aveva bisogno di armi. E cosa c’era di più terrificante di un lanciafiamme, soprattutto se imbracciato da un rettile che ai mongoli poteva apparire simile a un demone?
In quel fugace momento durante il quale riuscii a penetrare nella mente dello shaydiano, riuscii a leggere qualcos’altro: non avevano ordine di prendermi vivo. Set non aveva intenzione di concedermi un’altra possibilità. Quei tre suoi cloni erano venuti per uccidermi.
I miei sensi entrarono immediatamente in ipervelocità, e la scena rallentò come se il tempo si fosse dilatato. I tre shaydiani sollevarono a spalla i loro fucili, puntando i loro acutissimi occhi su di me. Vidi le loro dita artigliate fare pressione sui grilletti ricurvi.
Mentre miravano, dovettero allentare per un breve istante la loro attenzione alla guida delle proprie cavalcature. I feroci carnosauri, diretti mentalmente dai loro cavalieri, avanzavano a passo di trotto verso di me. Ma le loro menti rimasero per un momento prive del controllo degli shaydiani.
Disperatamente, scagliai un dardo d’energia mentale nel cervello dei tre dinosauri, i quali strillarono e s’impennarono in tutta la loro altezza, gettando a terra due dei cavalieri e costringendo il terzo a lasciar cadere la propria arma per aggrapparsi con ambo le mani alla schiena del proprio animale.
Osservai quella scena come al rallentatore. Mentre i due shaydiani stavano ancora cadendo a terra, mi scaraventai con tutte le forze verso il fucile che galleggiava a mezz’aria. Lo afferrai prima che potesse cadere fra l’erba. Serrai le dita intorno a esso nello stesso istante in cui udivo il tonfo sordo dei due cavalieri che colpivano il terreno.
I dinosauri continuavano a sibilare; i due che si erano liberati dei loro cavalieri cominciarono ad allontanarsi. Il terzo, invece, nuovamente sotto il controllo mentale del suo padrone, avanzava dritto su di me.
Schivai una zampa che mi avrebbe schiacciato impietosamente sotto il suo peso e feci fuoco contro l’umanoide che la controllava. Il torrente di fiamma che fuoriuscì dal fucile lo tagliò in due all’altezza della vita. Mentre quel corpo straziato cadeva dalla schiena del dinosauro, l’animale si girò verso di me, abbassando l’enorme capo e spalancando una bocca coperta di denti dall’orlo seghettato e grandi come la mia scimitarra.
Premetti il grilletto con tutte le forze mentre mi spostavo di lato. La fiamma si riversò dritta nella sua gola. Il mostro colpì il terreno con un potente tonfo, facendo letteralmente tremare il suolo e urlando come una locomotiva a vapore.
Sollevai lo sguardo. Gli altri due shaydiani cercavano di recuperare i fucili persi nella caduta. Feci fuoco verso il più vicino di loro, che cadde a terra privo di vita. Ma quando mi voltai verso il terzo, il mio fucile non diede alcuna risposta. Era scarico.
Lo shaydiano aveva raggiunto il suo fucile e lo stava raccogliendo tra l’erba. Gettai la mia arma ormai inutile contro di lui e scattai in avanti, con la scimitarra sguainata. Il fucile lo colpì alla testa come una mazza, facendolo cadere a terra. Prima che riuscisse nuovamente a sollevare la sua arma contro di me, gli ero già abbastanza vicino da calciargliela via di mano.