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Lo shaydiano mi guardò con odio attraverso i suoi rossi occhi da rettile e si rimise in piedi. Avanzò sibilando verso di me, protendendo gli artigli. Lo colpii con la scimitarra; lui riuscì a bloccare il colpo con il braccio, ma io fui in grado di portare la lama sotto di esso e di colpire. La punta della spada si fece strada attraverso le scaglie sul suo petto e penetrò profondamente fra le sue carni. Con un ultimo sibilo d’agonia mortale il rettile cadde a terra, coperto di sangue.

Immediatamente proiettai un’immagine mentale in direzione di Set. Gli inviai una scena in cui erano raffigurati due dei suoi cloni morti fra l’erba insanguinata ma il terzo in piedi, presso il mio corpo bruciato. Con tutta la forza di volontà di cui disponevo, presentai mentalmente me stesso come uno dei cloni di Set, e il corpo senza vita ai miei piedi come il mio.

— Hai agito bene, figlio mio — rispose la voce telepatica di Set. — Adesso ritorna con il suo corpo, che lo devo esaminare.

Richiamai mentalmente uno dei carnosauri e montai sul suo dorso per dirigermi verso la fortezza presso il Nilo. Set aveva dunque creduto davvero al messaggio che gli avevo inviato? O stava semplicemente attirandomi verso la sua fortezza di modo da poter disporre di me con maggior facilità?

Non c’era che un modo per scoprirlo. Diressi il dinosauro verso il lago, concentrando intensamente la mia immagine fasulla di modo che persino gli pterosauri di vedetta nel cielo “vedessero” ciò che volevo mostrar loro e comunicassero a Set quell’immagine.

Quando raggiunsi il giardino presso il Nilo era notte fonda. La fortezza si ergeva a breve distanza da lì. L’avrei raggiunta al buio, il che avrebbe lavorato a mio vantaggio. Sapevo che non avrei potuto mantenere il mio travestimento una volta penetrato all’interno delle mura di Set… se anche era caduto nel mio tranello.

Il cielo era completamente scuro e privo di stelle; scuro come il più profondo dei pozzi dell’inferno, mentre dirigevo il mio carnosauro verso le mura ricurve della fortezza. Il debole chiarore fosforescente delle pareti stesse era l’unica fonte di luce in quella notte, resa incredibilmente scura dal campo energetico di Set. Non si sentiva un solo insetto ronzare; né gracidava una sola rana, o urlava una sola civetta. Le ombre erano silenziose quanto i rettili di Set. La notte era paurosamente, innaturalmente quieta, come se Set fosse stato in grado di controllare mentalmente persino il vento e il flusso del Nilo.

Arrampicatomi lungo la schiena della mia cavalcatura fino alla sua testa, mi sporsi più in alto possibile sul muro. Non ne raggiungevo la cima, ma fortunatamente la sua superficie non era del tutto liscia. Come un guscio d’uovo, era leggermente porosa. Non molto, ma forse quanto bastava per permettermi di scalarla. E la parete s’incurvava verso l’interno. Liberatomi degli scarponi moscoviti che avevo calzato, mi arrampicai a piedi nudi lungo la superficie ricurva e scivolosa mentre ordinavo mentalmente al mio dinosauro di proseguire da solo verso il cancello.

Parecchie volte la mia presa precaria sulla parete rischiò di venire meno, mettendomi a rischio di cadere a terra. Dovetti impedire alle mani e ai piedi di sudare e diventare scivolosi. Infine, dopo quella che sembrò un’ora di ascesa dolorosamente lenta, raggiunsi la cima della parete e mi appiattii sul ventre contro la sua sommità.

Potevo percepire il ronzio dell’energia all’interno dell’edificio. Il materiale simile a guscio d’uovo che lo componeva era caldo, non per i raggi solari che l’avevano irradiato durante il giorno ma per l’energia che pulsava sotto di esso. Dovevo raggiungere la fonte di quell’energia, il pozzo nucleare che si apriva nel cuore della fortezza.

Provai la sensazione di non essere solo sulla cima della parete. Nell’oscurità non riuscii a scorgere nulla davanti a me. Quando mi voltai per guardarmi indietro, le viscere mi si contorsero per l’orrore. Uno di quegli enormi serpenti dal morso letale strisciava verso di me con gli occhi rossi e saettanti d’odio implacabile, le fauci spalancate, le zanne gocciolanti veleno.

— Pensavi davvero di potermi ingannare, stupida scimmia? — la voce di Set bruciò cocente dentro di me. — Pensavi davvero che la tua mente scimmiesca potesse avere la meglio sulla mia? Benvenuto nella mia fortezza, Orion. Per l’ultima volta!

Il mio corpo cominciò a funzionare in ipervelocità come mai aveva fatto fino ad allora. Mi rotolai sulla schiena, saltando in piedi con l’agilità di un acrobata, in equilibrio sui talloni mentre il serpente saettava verso di me.

Il suo primo assalto andò a vuoto, perché non mi trovò più dove pensava che fossi. Ma immediatamente il rettile si ritrasse sulle sue spire, pronto ad attaccare nuovamente mentre estraevo la scimitarra dal fodero. L’immenso corpo del serpente era più spesso del mio braccio e lungo non meno di sette metri. Spiccò un altro balzo in avanti.

Questa volta ero pronto. Con un fendente a due mani gli staccai la testa e la vidi cadere lentamente nell’oscurità sottostante. Il suo corpo decapitato mi colpì al petto, inondandomi di sangue e facendomi barcollare all’indietro. Per alcuni lunghi istanti esso si contorse violentemente mentre i miei sensi tornavano alla normalità e il mio respiro si faceva regolare.

— Quanti pensi di poterne affrontare, scimmione? — mi schernì Set. — Posseggo un numero quasi infinito di servitori pronti a obbedire al mio volere. Quanto tempo credi di poter resistere alle mie legioni?

Per un secondo o due rimasi immobile nell’oscurità, senza riuscire a scorgere altro che il debole chiarore in cima alla parete fosforescente curvare verso il basso e sparire nelle tenebre, come un’autostrada debolmente illuminata. Si stavano avvicinando altri serpenti, ne ero certo. E squadroni di shaydiani armati di fucili lanciafiamme, o peggio. Tutti sotto il controllo mentale di Set.

Frugai nella mia memoria per cercare di stabilire esattamente dove mi trovavo rispetto all’ingresso della fortezza. Quindi balzai verso la direzione opposta.

Udii un gran numero di corpi muoversi nel cortile sottostante. Con tutta probabilità, erano i cloni di Set che uscivano allo scoperto per affrontarmi. E poteva disporre anche di draghi, laggiù. E di sauropodi. E di schiavi umani.

Tutti sotto il suo controllo. Ma sarebbe stato in grado di controllarli tutti contemporaneamente?

Raggiunsi il punto in cui ricordavo che si trovava la piattaforma degli pterosauri e feci un balzo nell’oscurità. Atterrai pochi metri più in basso, piombando in mezzo ai rettili alati immersi nel sonno; emisero grandi strida, distendendo le ali artigliate mentre facevo mulinare la spada all’impazzata fra loro per farli volare via.

Con una mano afferrai la zampa di uno di quei volatili nell’istante in cui si librava in aria. Ero di gran lunga troppo pesante per le sue ali, e presto calammo nuovamente verso terra tra le strida e il frullio d’ali dell’animale. Mollai la presa dal mio paracadute vivente non appena scorsi il terreno sotto di me. Atterrai con un pesante tonfo rotolando su me stesso; lo pterosauro scomparve fra le ombre, battendo le ali e strillando come uno spettro.

Confusione. Avevo perso l’elemento sorpresa; in effetti non l’avevo mai posseduto. Ma ero in grado di sollevare una confusione notevole, là nel cortile. Vediamo quanto è fermo il controllo di Set su tutti i suoi servitori, dissi a me stesso.

I carnosauri e i sauropodi pestavano la terra furiosamente nei loro recinti, furibondi per essere stati risvegliati così bruscamente dagli schiamazzi degli pterosauri. Bene! Nella penombra del cortile mi precipitai verso i recinti dei carnosauri, instillando in loro una proiezione mentale di dolore mentre correvo tenendomi nascosto nell’ombra.