Le loro grida erano musica per le mie orecchie. Uno shaydiano uscì dalle tenebre davanti a me stringendo un lanciafiamme fra le mani. Feci volteggiare la scimitarra oltre la spalla e lo colpii fra le costole, aprendolo dal collo al ventre. Con la mano sinistra m’impadronii del suo fucile mentre cadeva.
Rinfoderando la spada insanguinata mi voltai e sparai un proiettile di fuoco contro i recinti dei carnosauri. La cosa li mandò in preda al panico, e gli animali infransero i recinti urlando a squarciagola. Un’altra raffica di fuoco mutò i sauropodi, normalmente miti, in un branco impazzito di bruti i quali, usciti anch’essi dai loro recinti, si riversarono precipitosamente nel cortile.
Avevo causato una confusione decisamente considerevole. Il cortile era in preda al caos, mentre gli shaydiani mi davano la caccia procurando di tenersi il più possibile lontani dalla traiettoria dei dinosauri impazziti, che sbucavano da tutte le direzioni.
Mi precipitai verso la porta oltre la quale erano rinchiusi gli uomini tenuti in schiavitù e l’aprii con un calcio. Al di là di essa il buio era completo, e fra tutte le urla e i rumori che provenivano dall’esterno non sarei stato in grado di udire nemmeno un’orchestra di ottoni. Feci un altro passo e incontrai il vuoto: mi ritrovai a ruzzolare goffamente giù per una ripida rampa di scale immersa nelle tenebre.
37
Caddi contro un corpo che lanciò un urlo nel buio più totale, allontanandosi quasi immediatamente. Sussurri di uomini nell’oscurità, alcuni impauriti, altri intontiti dal sonno. Quel posto puzzava di sudore ed escrementi. Mi rimisi in piedi tra gli urti e le spinte di molti corpi accalcati contro il mio.
— Venite con me! — comandai, sovrastando il rumore proveniente dall’esterno. — Seguitemi verso la libertà!
Qualcuno accese una scintilla, e una piccola lanterna prese vita. Mi trovavo in una stanza troppo ampia perché la debole fiammella riuscisse a illuminarla tutta. Una folla di volti sudici, emaciati e spauriti mi guardava con occhi rossi, le guance incavate e la pelle segnata dai morsi dei pidocchi e dai colpi di frusta. Stipati insieme come bestie mute in quella specie di ossario, centinaia di uomini e donne batterono le palpebre, incapaci di credere alle mie parole. Non avevo modo di stabilire quanti altri di loro fossero nascosti nell’ombra, al di là del tenue chiarore della lanterna.
— Andiamo! — gridai. — Andiamocene da qui! — Gettai il lanciafiamme verso l’uomo che mi era più vicino. Costui barcollò all’indietro, quindi prese a fissare sbalordito quell’arma fra le sue mani.
— Orion! — gridò una voce giovanile. Qualcuno si aprì la strada fra le ombre, spingendo da parte i propri compagni nell’avanzare verso di me. — Orion, sono io! Chron!
Stentai a riconoscerlo. Sembrava invecchiato di dieci anni. Il suo corpo era estremamente scarno, la sua pelle pallida e malaticcia, gli occhi incavati profondamente in un volto troppo vecchio per la sua età.
— Chron! — gridai.
I suo occhi bordati di rosso erano colmi di lacrime. — Sapevo che saresti venuto. Sapevo che non potevano ucciderti.
— È venuta l’ora di farla finita con questi demoni! — ringhiai. — Andiamo!
Risalii la scalinata, con Chron alle mie spalle. Alcuni altri schiavi ci seguirono a loro volta; quanti non potevo saperlo, né importava granché. Giunto alla cima delle scale, vidi uno shaydiano profilarsi sulla soglia. Gli lanciai la spada dritta nel ventre prima ancora che potesse reagire. Quindi, raccolto il suo fucile, lo porsi a Chron. Adesso ne avevamo due.
Ci riversammo nel cortile disseminato di dinosauri imbizzarriti che facevano letteralmente tremare il terreno col calpestio dei loro pesantissimi piedi. Uno degli uomini dietro di me lanciò una fiammata contro uno shaydiano. Un’altra lingua di fuoco saettò mancandomi di poco per andare a infrangersi contro le mura. Proiettai nelle menti dei dinosauri l’ordine di divorare gli shaydiani; ma sembravano più interessati agli immensi sauropodi, loro prede naturali.
Gli shaydiani non sembrarono comprendere che i loro schiavi umani stavano combattendo per riacquistare la libertà. Guardandomi alle spalle, mi accorsi che soltanto una dozzina di uomini mi avevano seguito lungo i gradini di pietra. Gli altri dovevano essere rimasti nascosti nella loro cella.
Focalizzando tutte le mie energie mentali su uno dei carnosauri lo costrinsi a dirigersi verso di me, sbuffando mentre barcollava sulle possenti zampe posteriori. Gli balzai sul dorso e lo condussi verso le file degli shaydiani, che si stavano riversando nel cortile da un’ampia porta apertasi nella parete ricurva.
I rettili aprirono il fuoco contro la mia cavalcatura. Urlando per l’ira e il dolore, il carnosauro caricò gli shaydiani artigliandoli con le zampe anteriori, schiacciandoli fra le terribili fauci. Scivolai dal dorso del carnosauro che continuava a seminare la distruzione fra i cloni di Set e raccolsi quattro fucili a fiamme caduti ai rettili.
Quindi tornai di corsa verso gli umani che si erano portati contro il muro, rimanendo a bocca aperta e con gli occhi sgranati di fronte a tanta confusione. Porsi loro i fucili.
— Andate verso il cancello esterno! — gridai. — Riconquistate la vostra libertà. — Quindi mi guardai intorno in cerca di un altro carnosauro da guidare.
Il cortile era immerso nel caos più assoluto. I carnosauri azzannavano i sauropodi, i quali si difendevano con la coda e con gli artigli. Qui un sauropode si ergeva sulle zampe posteriori, artigliando un carnosauro con quelle anteriori; là un carnosauro strappava grossi brandelli di carne viva dal collo di un sauropode caduto. La notte era colma di urla e grida; enormi figure agghiaccianti percorrevano il cortile, percuotendone le pareti ricurve con tale violenza da farmi pensare che dovessero crollare.
Altri shaydiani si riversavano da numerose porte, indirizzando le fiammate dei loro fucili contro i dinosauri impazziti. Il piccolo gruppetto di umani aveva compiuto una buona metà del perimetro delle mura, e prima che i cloni di Set potessero accorgersi di quel che stava accadendo, erano già quasi giunti al portale.
Vidi una squadra di venti shaydiani dirigersi di soppiatto lungo il perimetro interno delle mura, in direzione del cancello. Non potevano attraversare il cortile senza rischiare di venire schiacciati dai sauropodi, o attaccati dai carnosauri.
Ma io sì. Mi diressi di corsa verso il cancello schivando quei bruti, fidando che i miei sensi accelerati potessero condurmi sano e salvo attraverso quella pazza mischia. Brandendo la scimitarra, corsi in aiuto degli uomini che avevo guidato verso la libertà.
— Stupida scimmia — udii la voce di Set frammista d’odio. — Anche se non sono in grado di controllare tutti i miei servitori contemporaneamente, posso sempre guidarne un numero sufficiente per finirti.
Il comandante degli shaydiani fermò il suo drappello sollevando una mano e indicò verso di me. Mentre puntavano le armi alla mia altezza indietreggiai disperatamente dietro le enormi zampe di un sauropode, sentendomi come un topolino in mezzo a un’orda di elefanti impazziti.
Cercai di assumere il controllo della mente del sauropode, ma Set giunse prima di me. La piccola testa di quel bestione girò sul suo lungo collo e mi guardò con gli occhi carichi d’odio di Set.
— Ti ucciderò — sibilò nella mia mente. Da qualche parte all’interno della fortezza Set dirigeva le sue truppe contro di me, spietato, instancabile. Forse non era in grado di controllare tutti i suoi animali e i suoi cloni contemporaneamente, ma certo poteva esercitare il proprio controllo su qualsiasi creatura gli fosse venuta utile. Una volta che mi avesse ucciso, avrebbe riportato ordine nel suo regno.
L’immenso bestione cercò di schiacciarmi sotto le zampe, e io dovetti allontanarmi con un balzo. Un dardo di fuoco saettò sfrigolando a poca distanza da me, abbastanza vicino da bruciarmi i peli del braccio. Tornai a nascondermi dietro al sauropode, che girò su se stesso nel tentativo di schiacciarmi. Gli shaydiani, intanto, continuavano a sparare lingue di fuoco che perforavano l’oscurità.