Vidi quegli uomini apprendere le arti dell’agricoltura dai nativi di Paradiso, imparentarsi con loro attraverso il vincolo del matrimonio una generazione dopo l’altra mentre i ghiacciai si ritiravano a nord liberando l’Europa dalla loro morsa, trasformando quella vasta distesa d’erba nel deserto bruciato conosciuto come Sahara.
Vidi i pronipoti del popolo di Subotai muoversi verso la valle del Nilo, abbandonando la savana prossima ad avvizzire, e lì sviluppare l’irrigazione e la civiltà. Quel pensiero mi fece sorridere: quei cosiddetti barbari erano i progenitori della più antica civiltà della Terra.
E vidi la tormentata Sheol erompere nel suo ultimo impeto di fiamma e collassare nell’ovoide di un pianeta, vorticando su se stessa, dipinta di strisce di colori brillanti, con decine di frammenti di Shaydan in orbita intorno a essa. Sapevo che a Zeus faceva piacere sapere che quel pianeta portava il suo nome.
E compresi, col cuore pesante, che tutta la violenza che avevo seminato, la distruzione di Sheol e del suo pianeta, l’era della Grande Estinzione che avevo portato sulla Terra, l’estinzione dei dinosauri e di innumerevoli altre forme di vita… tutto era stato parte dei piani del Radioso.
Udii la sua risata di disprezzo mentre contemplavo il regno di morte che avevo portato sulla Terra.
— Io sono l’evoluzione, Orion — si vantò. — Sono la forza della natura.
— Tutta questa morte… — singhiozzai.
— Era necessaria. I miei piani contemplano eoni di storia, Orion. I dinosauri erano un ostacolo per me quanto lo erano per Set. Dovevano estinguersi, altrimenti non avrei mai potuto portare alla vita il genere umano. Tu li hai spazzati via, Orion. Per me! Pensi di essere simile a un dio, ma sei ancora una mia creatura, Orion, un giocattolo nelle mie mani. Da usare quando io lo ritenga più opportuno.
Epilogo
Nella città senza tempo protetta dalla cupola d’energia, Anya mi guarì dalle ferite del corpo e dello spirito. Gli altri Creatori ci avevano lasciati soli in quel vuoto mausoleo, soli fra i templi e i monumenti che avevano creato per sé.
Le mie ustioni guarirono velocemente. Un po’ meno la ferita causata dal suo finto tradimento. Compresi che Anya era stata costretta a fingere di avermi abbandonato, altrimenti Set avrebbe scoperto le sue intenzioni quando avesse sondato la mia mente. Eppure il dolore era ancora vivo, il triste ricordo del tradimento bruciava ancora. Col passare dei giorni e delle notti, però, l’amore che provavamo l’uno per l’altra riuscì a gettare un ponte anche su quella breccia.
Anya e io eravamo sul limitare della città, di fronte alla massiccia figura dell’enorme piramide di Cheope, dello splendido rivestimento di pietra levigata brillante nel chiarore del mattino; il Grande Occhio di Amon accennava appena a formarsi mentre il sole si muoveva attraverso il cielo, verso la posizione dalla quale avrebbe generato quella scultura d’ombra.
Mi sentivo irrequieto. Anche se avevamo tutta la città a nostra disposizione, non potevo vincere l’inquietante sensazione che non fossimo del tutto soli. Gli altri Creatori erano dispersi attraverso gli universi, a guardia del continuum spaziotemporale che loro stessi avevano involontariamente dipanato; eppure nel profondo della mia mente continuavo a percepire la sgradevole sensazione che qualcuno ci stesse guardando.
— Non sei felice, qui — disse Anya mentre percorrevamo la base dell’enorme piramide.
Fui costretto ad ammettere che aveva ragione. — Era meglio nella foresta di Paradiso.
— Già — convenne lei. — Piaceva anche a me, anche se allora non ero in grado di apprezzarlo adeguatamente.
— Potremmo tornare laggiù.
Anya mi sorrise. — È questo ciò che vuoi?
Prima che potessi rispondere, una scintillante sfera dorata apparve di fronte a noi, fluttuando a pochi centimetri dalle lastre di pietra levigata che costituivano il nostro camminamento intorno alla base della piramide. Il globo si posò delicatamente sul pavimento, quindi si contrasse nella forma umana di Aten, vestita di una splendida tunica militare completa di collare e spalline con le mostrine sbiadite dal sole.
— Non avrai intenzione di andartene, Orion — disse, con voce leggermente meno beffarda del solito e un sorriso che indicava più disprezzo che cordialità.
Voltatosi in direzione di Anya, aggiunse: — E tu, mia cara amica, hai certe responsabilità che non puoi evitare. Anya mi si fece più vicina.
— Non sono la tua “cara amica”, Aten. E se io e Orion vogliamo passare un po’ di tempo insieme in un’altra epoca, cosa c’entri nella nostra decisione?
— Ci attende un nuovo compito — rispose lui, attenuando il sorriso col quale era apparso e assumendo un tono più mesto.
Era geloso di me, compresi. Geloso dell’amore condiviso da me e Anya.
Quindi la solita aria di cinismo comparve nuovamente sul suo volto. Mi strizzò l’occhio inarcando un sopracciglio dorato. — Geloso? — lesse nei miei pensieri. — Come può un dio provare gelosia nei confronti di una sua creatura? Non essere ridicolo, Orion.
— Non basta quel che ho già fatto per te? — brontolai. — Non pensi che abbia meritato un po’ di riposo?
— No. Proprio no. I miei compagni Creatori dicono che sei cresciuto in potere e saggezza, quasi al punto di eguagliarci. Si sono congratulati con me per aver dato vita a un simile… essere.
Stava per dire “giocattolo”, ma mi aveva visto serrare i pugni.
— Bene, Orion — proseguì — se davvero hai intenzione di assumere poteri divini, allora devi essere pronto ad addossarti le tue responsabilità, come ognuno di noi.
— Ma tu hai detto che sono una tua creatura, uno strumento da usare quando più ti aggrada.
Aten corrugò la fronte e lanciò un’occhiata in direzione di Anya. — È lo stesso. O ti assumi le tue responsabilità come tutti noi, oppure devi obbedire ai miei comandi. Sta a te scegliere.
Anya mi mise una mano sulla spalla. — Hai diritto a rifiutare, amore. L’hai ben meritato.
Con un sorriso affettato, Aten ribatté: — Può darsi. Ma tu, dea, non puoi sottratti alle tue responsabilità. Non più di quanto possa farlo io stesso.
— Il continuum può esistere anche senza di me, per un po’ — rispose lei, con alterigia quasi pari a quella mostrata dallo stesso Aten.
— No. — Di colpo il Radioso assunse un’espressione seria e solenne. — La crisi è reale e imminente. Il conflitto si è propagato fra le stelle, e ormai minaccia l’intera galassia.
Anya impallidì. Portò i suoi occhi argentei su di me, e in essi potei leggere un oceano di dolore.
Sapevo che avremmo potuto rifugiarci a Paradiso, se l’avessimo voluto. Per chi è in grado di controllare il tempo, che senso hanno i giorni, gli anni o persino i secoli passati in un’era o nell’altra? Avremmo sempre potuto fare ritorno in questo punto preciso dello spaziotempo. La crisi temuta da Aten sarebbe ugualmente rimasta lì ferma ad attenderci.
Eppure, come potevamo essere felici, sapendo che il tempo a nostra disposizione a Paradiso era limitato? Anche se fossimo rimasti laggiù per un migliaio d’anni, il compito che ci attendeva avrebbe continuato a profilarsi nelle nostre menti come la cima invalicabile di un monte, come una spada appesa sopra le nostre teste.
Prima che Anya potesse rispondere, dissi: — Paradiso dovrà attendere, non credi?
Anya annuì con mestizia. — Sì, amore mio. Paradiso dovrà attendere.
Ringraziamenti
Le epigrafi con cui inizia ogni sezione di questo romanzo sono tratte da: Rubaiyat di Omar Khayyam; La città in fondo al mare di Edgar Allan Poe; Paradiso perduto di John Milton e L’Ulisse di lord Alfred Tennyson.