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Infine raggiungemmo una serie di rocce scabre nelle quali il ruscello, ormai un fiume di notevoli dimensioni, aveva scavato il proprio corso. Seguendo lo stretto passaggio tra la pietra e il fiume giungemmo in uno spiazzo concavo: era come se un enorme blocco di pietra semicircolare fosse stato strappato alla roccia dalle mani poderose di un gigante.

Lasciai Anya e gli altri presso la riva del fiume e mi recai a esplorare quella strana ciotola di pietra. Le sue pareti ricurve si ergevano alte sopra di me, variopinte in strati di color ocra o giallo e del grigio del granito. Pinnacoli di roccia rosata torreggiavano su entrambi i lati della scodella, alti e affusolati contro l’azzurro brillante del cielo.

Attraverso i cespugli che coprivano il terreno di quel piccolo canyon scorsi gli ingressi scuri di molte caverne che si aprivano sui fianchi ricurvi di quella singolare formazione rocciosa. Con l’acqua e gli alberi a poca distanza, godeva di una posizione strategicamente ideale, offrendo un buon punto d’osservazione su eventuali nemici in avvicinamento.

— Ci accamperemo qui — gridai agli altri, ancora presso la riva del fiume.

— …remo quiii — rimbombò un’eco generata dalla conformazione circolare della parete di roccia.

I miei compagni balzarono in piedi, sgomenti. A gambe levate si precipitarono al mio fianco.

— Abbiamo udito la tua voce per due volte — disse Noch, sconvolto.

— È solo l’eco — risposi. — Ascolta. — Urlai il mio nome.

— Orion! — fece l’eco.

— C’è un dio nella roccia! — disse Reeva, tremando sulle ginocchia.

— No, no — cercai di rassicurarli. — Prova anche tu. Grida il tuo nome, Reeva.

La donna serrò le labbra. Abbassato lo sguardo sulle proprie ginocchia sporche, scosse il capo in segno di rifiuto.

Fu Anya a gridare, e a lei fece seguito il giovane Chron.

— È proprio un dio — disse Noch. — O forse uno spirito maligno.

— Né l’uno né l’altro — insistetti. — Non è che un’eco naturale. Il suono rimbalza sulla roccia fino a tornare alle nostre orecchie.

Non riuscivano ad accettare una spiegazione naturale per quel fenomeno, era evidente.

Allora dichiarai: — Be’, se poi è un dio, sicuramente deve trattarsi di una divinità a noi benevola, e aiuterà a proteggerci. Nessuno potrà avvicinarsi a questo canyon senza udirlo.

Accettarono, sia pure con riluttanza, la mia valutazione del fenomeno. Mentre percorrevamo lo stretto sentiero tagliato nella roccia in direzione delle caverne, il loro timore nei confronti di quella strana, spettrale ciotola di pietra era evidente. Invece di esasperarmi per i loro timori superstiziosi ero felice che, se non altro, mostrassero un minimo di coraggio e d’iniziativa. Di nuovo si erano rassegnati a fare come avevo detto, questo è vero, ma non sembravano esserne convinti. Non erano più un gregge di pecore pronte a seguire il loro capo senza discutere. Mi obbedivano ancora, ma non senza mettermi in discussione.

Noch insistette per innalzare un cumulo di pietre alla base della cavità di roccia, per propiziarsi “il dio che parla”. Nonostante la valutassi un’idea colma di superstizione, li aiutai a costruire il loro rozzo monumento.

— Vuoi metterci alla prova, Orion, non è così? — disse Noch, ansimando mentre sollevava una pietra sulla cima del cumulo che ormai mi arrivava alle spalle.

— Mettervi alla prova?

Gli altri si erano disposti in cerchio per ammirare la loro opera ormai completa.

— Tu sei un dio. Il nostro dio.

Scrollai il capo. — No. Sono soltanto un uomo.

— Nessun uomo sarebbe stato in grado di uccidere il drago che ci sorvegliava — disse Vorn, uno degli anziani. La sua barba scura era striata d’argento, e sulla testa mostrava i primi segni di una calvizie incipiente.

— Il drago mi ha quasi ucciso. E se Anya non fosse venuta in mio aiuto, ci sarebbe riuscito.

— Sei un uomo fatto, eppure non hai la barba — disse Noch, come per comprovare la propria tesi.

Mi strinsi fra le spalle. — La mia barba cresce molto lentamente, è vero, ma ciò non mi rende un dio, credimi.

— Ci hai riportato a Paradiso. Soltanto un…

— Non sono un dio — dissi, con forza. — E voi, tutti voi siete tornati a Paradiso con le vostre stesse gambe. Avete camminato fin qui come ho fatto io. E non c’è nulla di divino in tutto questo.

— Eppure — insistette Noch — gli dèi esistono.

Non potei rispondere a quell’osservazione. Sapevo che, in un lontano futuro, esistevano uomini e donne con poteri divini. E conoscevo bene il distorto egocentrismo di chi esercitava simili poteri.

Tutti mi guardavano fisso, in attesa di una risposta. Infine, dissi: — Ci sono molte cose che non siamo in grado di comprendere. Ma io sono un uomo, e la voce che viene dalle rocce non è che un’eco.

Noch scambiò un’occhiata con i suoi compagni, le labbra contorte nel classico sorriso benevolo di chi la sa lunga. Otto uomini del Neolitico, sporchi, vestiti di stracci. Sapevano riconoscere un dio quando ne incontravano uno, a prescindere dalle sue proteste.

Se ora mi temevano come un dio, o se temevano l’eco che avevano nominato “il dio che parla”, nel giro di qualche giorno la luce del benessere spazzò via le loro paure. Le caverne erano asciutte e spaziose. La selvaggina era abbondante e facile da catturare. In breve la vita divenne piacevole.

Gli uomini cacciavano e pescavano nel torrente mentre le donne si adoperavano a raccogliere frutti, tuberi e noci.

Anya insegnò loro a raccogliere spighe di cereali, a stenderle su una roccia piatta e pestarle con pietre, poi lanciare in aria i chicchi perché il vento ne portasse via il loglio. Una settimana più tardi le donne presero a cuocere una sorta di rozze tortillas mentre io mostravo agli uomini come costruire archi e frecce.

Chron e i suoi amici adolescenti divennero piuttosto abili nel catturare gli uccelli con reti di rampicanti intrecciati. Dopo aver banchettato con le loro carni ne usavamo le penne per le nostre frecce.

Una notte, mentre Anya e io eravamo distesi l’uno accanto all’altra in una caverna, mi congratulai per la sua conoscenza delle arti domestiche. Anya rise. — Le ho apprese in un’altra vita, prima dell’inondazione di Ararat. Non ricordi?

Una vaga reminiscenza si affacciò nella mia mente. Rividi col pensiero una tribù di cacciatori molto simile a questa. Un’inondazione causata da un nemico estremamente pericoloso. E ricordai l’agonia della morte fra le onde ribollenti della lava.

— Ahriman — dissi, rivolto più a me stesso che ad Anya.

— Riesci a ricordare eventi sempre più lontani!

La caverna era scura, non avevamo acceso il fuoco. Tuttavia, anche sotto la debole luce delle stelle vidi il volto di Anya illuminarsi di una nuova speranza.

Alzandosi su un gomito mi chiese: — Orion, hai cercato di metterti in contatto con i Creatori?

— No. Se non ci riesci tu, come potrei farlo io?

— I tuoi poteri si sono notevolmente accresciuti dal giorno della tua creazione — disse, parlando velocemente e con eccitazione. — Set ha bloccato me, ma forse tu sei in grado di farcela!

— Non vedo come…

— Prova! Io ti aiuterò. Insieme potremmo avere la meglio sul potere che lui sta usando per ostacolarmi.

Annuii e mi girai sulla schiena. Il pavimento di pietra della caverna era ancora caldo della luce del sole. Come le altre famiglie della tribù avevamo costruito un giaciglio di sterpaglie e muschio in un angolo della caverna, coprendolo con la pelle di un cervo che avevo ucciso, l’animale più grosso che avevamo incontrato nella foresta. C’erano anche i lupi, là fuori; ogni notte ne udivamo gli ululati. Ma non si erano mai avvicinati alle caverne, alte com’erano sulla scoscesa parete di roccia e protette dal fuoco.