— Ma… perché? — chiesi, issandomi lentamente sul divano. — Perché vuoi cancellare il genere umano?
— Non lo sai proprio, vero? Non te l’ha mai detto, lui… o te ne ha cancellato il ricordo.
— No, non lo so. Perché odi la razza umana?
— Perché voi avete sterminato la mia razza — rispose Ahriman in un rantolo strozzato. — Millenni fa, la tua gente ha ucciso la mia gente. Avete annientato interamente la mia specie. Io sono l’unico superstite, e vendicherò la mia razza distruggendo la vostra… e i vostri signori.
Mi sentivo svuotato. Mi abbandonai debolmente sul divano, incapace di sfidarlo, di muovermi.
— E adesso, addio — disse tenebroso Ahriman. — Devo sbrigare del lavoro prima del primo collaudo del vostro reattore. Tu rimarrai qui… — Indicò con un gesto circolare la stanzetta. Non c’erano porte, né finestre. Non c’erano ingressi né uscite. “Come ci siamo entrati, qui dentro?” mi chiesi. — Se riuscirò, sarà tutto finito in poche ore — continuò. — Il tempo stesso comincerà a vacillare, e l’universo si ripiegherà su se stesso come un palloncino bucato. Se fallirò, be’… — di nuovo quel sorriso raccapricciante — …tu non lo saprai mai. Questa camera sarà la tua tomba. O, per essere più precisi, il tuo forno crematorio.
— Dove siamo? — chiesi.
— Quarantacinque chilometri sottoterra, in una comoda bolla di sicurezza temporanea creata deformando l’energia degli atomi attorno a noi. Pensaci mentre bruci… sei solo a un passo dalla casa di Ann Arbor. Un passo davvero piccolo, se si capisce a fondo il modo in cui l’universo è costruito. Ahriman si girò di scatto e attraversò la parete, scomparendo.
7
Per parecchi minuti restai immobile sul divano, incapace di reagire per lo shock, la mente in fermento.
«Voi avete sterminato la mia razza… la tua gente ha ucciso la mia gente… e io vendicherò la mia razza distruggendo la vostra… e i vostri signori…»
Non poteva essere vero. E cosa intendeva dire parlando di noi due che ci muovevamo in direzioni temporali diverse, parlando di un nostro incontro precedente? I tuoi signori? A chi si riferiva? A Ormazd? Ma aveva detto signori, al plurale. Ormazd era il rappresentante di una razza diversa, una razza aliena che controllava il genere umano? Così come Ahriman era l’unico superstite di una razza aliena contro cui noi umani avevamo combattuto tanto tempo addietro?
Quante volte ci eravamo incontrati in precedenza? Ahriman aveva detto che questo punto temporale, questo primo test del reattore a fusione, segnava una tappa vitale per l’umanità. In caso di successo, avremmo avuto l’energia per raggiungere le stelle. In caso contrario, ci saremmo uccisi a vicenda entro una generazione. Dovevano esserci stati altri punti di connessione basilari, indietro nel tempo… molti punti.
E chissà dove lungo la corrente degli eoni c’era una guerra, La Guerra, tra la razza umana e quella di Ahriman. Quando? Perché? Come potevamo combattere degli invasori da un altro mondo nel passato, migliaia di anni fa?
Tutti questi pensieri mi ribollivano nel cervello, finché finalmente il mio corpo non prese il sopravvento.
— Il caldo sta aumentando qui dentro — dissi ad alta voce.
La mia attenzione tornò al presente. A quella cella. L’aria era molto calda, secca. Avevo la gola riarsa. Sudavo.
Mi alzai, tastando la parete più vicina. Scottava quasi. E anche se sembrava rivestita di legno, il tatto mi diceva che quella era pietra. Era un’illusione, tutto quanto.
«Un passo davvero piccolo… se si capisce a fondo il modo in cui l’universo è costruito…»
Non capivo nulla. Non ricordavo nulla. Il mio pensiero fisso era che Ahriman era di nuovo in superficie, ad Ann Arbor, e stava dandosi da fare per trasformare l’RTC in una megabomba al litio che avrebbe innescato la distruzione dell’umanità. E io ero intrappolato quarantacinque chilometri sottoterra, pronto per essere arrostito come un agnello sacrificale.
«Sei solo a un passo dalla casa di Ann Arbor», aveva detto. Era una bugia? Uno scherzo? La macabra concezione di ironia?
— Un piccolo passo — mormorai. “Com’è strutturato l’universo? È fatto di atomi. E gli atomi, di particelle più piccole, frammenti infinitesimali di energia congelata che può essere fatta sgelare, scorrere, crescere di intensità…”
Quella stanza era stata creata deformando l’energia degli atomi della crosta terrestre. Energia che adesso stava riacquistando la forma naturale. Lentamente, la stanza si stava trasformando di nuovo in magma. L’aria era sempre più densa, rovente. Sarei rimasto incastrato nella roccia a 45 chilometri di profondità… roccia così calda da essere quasi fusa.
Eppure stando ad Ahriman ero a un passo dalla salvezza. Mentiva? No, impossibile. Lo avevo visto attraversare la parete di roccia. Doveva essere ritornato nella cantina della casa di Ann Arbor. Se c’era riuscito lui, potevo riuscirci anch’io. Ma come?
Lo avevo già fatto! Ero entrato in quella prigione sotterranea dalla cantina. Quindi perché non avrei dovuto essere in grado di tornare indietro?
Provai, ma finii sempre con l’andare a sbattere contro le pareti di pietra. Provare non bastava.
Ma… un momento. Se avevo attraversato 45 chilometri di roccia in un unico passo, questo significava per forza che esisteva un collegamento tra quella casa e questa cella. Non solo gli atomi della crosta terrestre erano stati deformati per creare la camera, anche la geometria dello spazio stesso era stata distorta per colmare la distanza chilometrica.
Tornai a sedere sul divano, riflettendo in maniera febbrile. Avevo letto articoli sulle distorsioni dello spazio, ipotesi su come un giorno le astronavi sarebbero riuscite a coprire migliaia di anni luce quasi istantaneamente. Gli astrofisici avevano scoperto i buchi neri nello spazio interstellare, buchi neri che deformavano lo spazio-tempo coi loro campi gravitazionali mostruosi. Era tutta questione di geometria. Uno schema. Come prendere un foglio di carta e piegarlo a forma di fiore o di uccello.
E io avevo visto quello schema! Lo avevo attraversato entrando nella cella. Ma era successo così in fretta che non riuscivo a ricordarlo consciamente in modo dettagliato.
O potevo riuscirci?
Compressione dati… I satelliti in orbita possono accumulare dati su nastri magnetici per giorni e giorni, e poi riversarli a una stazione ricevente in pochi secondi. I dati compressi vengono poi riprodotti dai tecnici a una velocità molto più lenta, e tutta la mole di informazioni è perfettamente integra e leggibile.
Potevo rallentare la memoria in modo tale da ricordare, microsecondo per microsecondo, cosa mi era successo durante quel breve passo dalla casa nella tomba sotterranea? Mi appoggiai allo schienale del divano e chiusi gli occhi. Era sempre più difficile respirare, ma cercai di ignorare il bruciore ai polmoni e di concentrarmi.
Un passo di quarantacinque chilometri. Attraverso la roccia. Mi rividi nella cantina. Mi ero chinato sotto una tubatura della caldaia ed ero penetrato nell’oscurità…
Nel freddo. Per un attimo avevo avvertito un’ondata di freddo intenso, quasi avessi attraversato una cortina di aria liquida. Freddo criogenico. Un freddo così intenso che gli atomi erano quasi immobili, una temperatura vicina allo zero assoluto.
In quei pochi microsecondi di gelo insopportabile avevo visto che la struttura cristallina degli atomi attorno a me era effettivamente bloccata dal freddo, paralizzata. Gli atomi brillavano come minuscole gemme luminose, deboli e fiochi perché svuotati di quasi tutta la loro energia. Il reticolo cristallino degli atomi aveva formato un sentiero per me, un tunnel abbastanza ampio da permettermi di coprire 45 chilometri in un unico passo.