Выбрать главу

Scoprii cosa fosse l’inferno.

Dolore. Una sofferenza atroce che ti esplode nel cranio anche se i tuoi occhi sono già evaporati. Una sofferenza che si propaga lungo ogni nervo, ogni sinapsi, ogni sentiero del corpo e della mente. Tutti i ricordi della mia esistenza si mescolarono in una realtà frenetica, terrorizzata, caotica. Passato, presente e futuro si fusero insieme. Vidi fluire tutto quanto in quell’unico istante di dolore sconvolgente, quel guizzo infinitesimale di tempo lungo come l’eternità.

La mia carne nuda bruciava e si consumava, mentre la mia mente vedeva gli ieri e i domani.

Il titolo di testa di un giornale annunciava: FALLISCE UN TENTATIVO DI SABOTARE IL REATTORE A FUSIONE.

Una squadra di agenti dell’FBI e di scienziati perplessi cercava qualche traccia del mio corpo mentre il dottor Wilson, catatonico per lo shock, veniva portato via in ambulanza.

La presenza tenebrosa di Ahriman affiorava al mio orizzonte temporale, gli occhi rossi colmi d’odio e di propositi di vendetta…

Ormazd radioso nell’oscurità dell’infinito, nelle profondità dello spazio interstellare, possente, maestoso, intento a muovere le pedine di un intero universo spazio-temporale sulla scacchiera dell’eternità…

E io. Orion. Il Cacciatore. Vedo tutti i miei passati e i futuri. Finalmente so chi sono… e cosa, e perché.

Sono Orion. Prometeo. Gilgamesh. Zarathustra. Sono la Fenice che muore e risorge dalle proprie ceneri solo per morire un’altra volta.

Da 50 mila anni nel futuro della Terra, Ahriman è stato la mia caccia. Questa volta mi è sfuggito, anche se ho sventato i suoi piani. L’umanità avrà l’energia di fusione. Raggiungeremo le stelle. Questo punto di connessione fondamentale è stato superato con successo, secondo le predizioni di Ormazd. È stata necessaria la mia morte, ma la struttura del continuum spazio-temporale è intatta.

Sono morto. Eppure, vivo ancora. Esisto, e il mio scopo è dare la caccia ad Ahriman, dovunque sia, in qualunque millennio si trovi.

La caccia continua.

INTERMEZZO

A occhi mortali, il posto forse sarebbe parso una versione impressionista del Valhalla, o dell’Olimpo, o del Paradiso che i cristiani pregavano di poter raggiungere. Non c’erano limiti visibili; morbide nubi in una dolce, tranquilla distesa di cielo azzurro che si allargava all’infinito. In alto il cielo si oscurava quel tanto che bastava per mostrare alcune stelle sparse, puntini di luce fissa incollati allo zenit. Il tempo stesso non aveva significato, lì. Non c’era alcun pianeta che rotasse, sotto. Né soli né lune attraversavano quel cielo immutabile. Eppure l’aria risplendeva, soffusa di una luce tenue che non proveniva da alcuna fonte visibile.

Se un essere umano avesse visto quel luogo, avrebbe avuto l’impressione di trovarsi sulla vetta di una montagna, al di sopra dei bisogni e delle preoccupazioni del mondo, al di sopra delle nubi portatrici di bufere e confusione, di trovarsi a contemplare l’aria limpida di un regno di calma e bellezza infinita. Una dimensione al di là del mondo effimero dei mortali che nascono nella sofferenza, lottano nei loro brevi anni e poi si spengono come la fiammella tremula di una candela.

In un punto indefinito di quel regno celeste impenetrabile, una scintilla si stacco dalla volta e calò, trasformandosi in un globo dorato radioso, fino a sfiorare i riccioli superiori delle nubi. Brillava, ma senza emettere calore, mentre si muoveva veloce sulla sommità del tappeto nuvoloso e si fermava infine senza alcuna ragione apparente. Il globo ondeggiò adagio, vibrò e si contrasse, formando l’immagine di un uomo, un essere umano giovane ma pienamente adulto, bello come un dio, alto e dalle spalle ampie, con una folta criniera di capelli d’oro e occhi fulvi come il manto di un leone. Portava una tunica dorata, guarnita di un intricato arabesco di sottili linee rosse simili a un intreccio di vasi sanguigni.

Sedette su una nube panciuta, appoggiandosi come un imperatore del passato su cuscini di cirri, il volto regale teso in un’espressione concentrata, quasi stesse osservando qualcosa che nessun occhio mortale avrebbe potuto scorgere. Impossibile dire quanto tempo fosse rimasto in quella posizione, perché lì il tempo non aveva alcun significato.

A un certo punto, una sfera più piccola apparve accanto a lui, pulsando lentamente, sprigionando riflessi argentei. Si contrasse, fino a dar forma a una femmina umana, una donna dagli incantevoli capelli scuri, con occhi grigi intensissimi, bella come l’uomo radioso. Portava una veste luccicante di maglia metallica.

— Ti stai affezionando alla forma umana? — chiese la donna.

Lui la guardò, serio. — Pare che mi aiuti a capirli, a provare le sensazioni che provano loro.

— Ti piace essere un dio.

L’uomo non disse nulla.

— Devo chiamarti usando il nome con cui ti fai chiamare da loro? — Sembrava quasi divertita. Ma le sue parole erano velate di ironia. Piegò le labbra in un sorriso, ma i suoi occhi grigi lo fissarono gelidi.

Lui distolse lo sguardo. — Chiamami come vuoi, tanto so già che lo farai.

— Ormazd — disse lei. — Il Dio della Luce. Sei modesto coi tuoi giocattoli.

— E io come devo chiamarti?

Lei rifletté un attimo. — Anya. È un bel nome. Finché saremo esseri umani, puoi chiamarmi Anya.

— Stai prendendo tutto quanto con molta leggerezza — osservò Ormazd.

— Niente affatto — replicò Anya, abbandonando il tono beffardo. — So benissimo che è una cosa seria. Io ho provato quello che provano loro. Il terrore. Il dolore. La paura di morire… di diventare… nulla.

— Non eri obbligata ad andare, io non volevo.

— No, avresti attivato il tuo guerriero e lo avresti scagliato contro il Tenebroso da solo, senza un amico, senza un barlume di speranza, senza nemmeno un ricordo.

— Nessuno di loro capisce, tanto. Perché lui avrebbe dovuto essere diverso?

— Capiscono, invece! — esclamò Anya. — A modo loro, vagamente, intuiscono che c’è una lotta in corso, che sono bloccati come pedine tra forze immani.

Ormazd scosse il capo. — Capiscono solo quello che io voglio che capiscano.

— No. Guarda i loro scienziati, guarda come stanno organizzando la conoscenza dell’universo. Stanno per scoprire la vera natura dello spazio-tempo…

— Non la scopriranno mai. Pensano ancora che il tempo sia sequenziale. Credono ancora che la causa debba sempre precedere l’effetto.

Anya rise. — Guarda meglio, o Dio della Luce. I tuoi giocattoli cominciano a penetrare i misteri che li circondano.

— Allora dovrò cambiare le cose. Non devono imparare troppo. Non ancora.

— No! Lascia che imparino. Non puoi trattarli con tanta insensibilità.

Lui la fissò. — Posso trattarli come preferisco. Li ho creati io. Sono miei.

— Ma non puoi controllarli.

— Sciocchezze.

— Ammettilo — insisté Anya. — Stanno sfuggendo al tuo controllo.

— Li controllo, invece.

— Hai dato loro la curiosità. La sete di sapere.

— Era necessario — aggiunse Ormazd. — Però l’ho equilibrata con la paura dell’ignoto.

Gli occhi di Anya brillarono rabbiosi. — Parli di equilibrio, mio essere divino? Hai creato in loro una tensione terribile. Sono spinti dalla curiosità, eppure temono ciò che non conoscono. Vivono nel tormento, nella sofferenza continua.

L’entità chiamata Ormazd fece per contraddirla, ma si trattenne. La capiva. Aveva voluto mutarsi, per poco, in un essere umano, e aveva provato tutto quello che provava il resto delle sue creature.

Sospirando, affrontò il problema da un’altra angolazione. — Credono che i loro dei siano onnipotenti, onniscenti. Attribuiscono a me la colpa dei loro mali, dei loro difetti.