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Così il radioso si considerava un dio della luce e del bene. Perlomeno, era un viaggiatore temporale, se mi aveva detto la verità. Era davvero lo stesso Ormazd apparso a Zoroastro millenni addietro in Persia? Lottava contro Ahriman fin da allora? Certo. Allora e adesso, futuro e passato, il corso del tempo cominciava ad apparirmi chiaro.

Riflettei sulla situazione per giorni interi, non sapendo che fare, aspettando un indizio, un’indicazione che mi dicesse come procedere. Poi un nuovo ricordo mi pungolò, e capii perché fossi stato inviato in quell’epoca, a lavorare in quella compagnia.

Chiusi gli occhi e ricordai la faccia canina lunga e seria di Tom Dempsey. Era stato al party natalizio della società, l’anno prima, che lui un po’ brillo mi aveva detto: «I laser Sunfire, amico… Quei laser ultrapotenti maledettamente belli… La cosa più importante che la compagnia stia facendo, sai? La cosa più importante che stia capitando in tutto il mondo, cazzo!»

I laser per il reattore a fusione termonucleare. I laser che avrebbero alimentato un sole in miniatura opera dell’uomo, che a sua volta avrebbe fornito la risposta permanente a tutti i bisogni energetici dell’umanità. Il dio della luce incarnato in un mondo di scienza e tecnologia. Dove altro avrebbe dovuto colpire il Tenebroso?

Mi occorse quasi una settimana per convincere i miei superiori che era giunto il momento di fare una nuova proiezione di mercato per il progetto fusione laser. La Continental Electronics produceva i laser per il primo RTC, Reattore Termonucleare Controllato, industriale al mondo. Verso la fine di quella settimana ero sul jet della società, diretto ad Ann Arbor, dove si stavano costruendo il reattore a fusione e la centrale annessa. Tom Dempsey sedeva accanto a me, mentre osservavamo il panorama di nubi invernali lungo la riva del lago Erie, diecimila metri sotto di noi.

Tom mi rivolse un ampio sorriso. — È la prima volta che ti vedo un po’ interessato al progetto fusione. Ho sempre pensato che non te ne fregasse mente di questo lavoro.

— Mi hai convinto della sua importanza — dissi, e una parte di verità c’era.

— Altroché se è importante — annuì Tom, giocherellando con la cintura di sicurezza. Era il classico tecnico ordinato e meticoloso, eppure non riusciva a tenere ferme le mani un attimo.

— Il reattore a fusione è pronto per il primo collaudo? — lo sollecitai.

Lui annuì entusiasta. — Sì. Abbiamo avuto i nostri intoppi, ma perdio, adesso siamo pronti a partire. Inserisci il deuterio, che si può ottenere con della comunissima acqua, lo bombardi coi nostri laser, e ti esce l’energia. Megawatt di energia, caro mio. C’è più energia in un secchio d’acqua che in tutti i giacimenti petroliferi dell’Iran.

Era un’esagerazione, ma fino a un certo punto. Dovetti sorridere a quell’accenno all’Iran, la Persia moderna.

Fu un volo calmo, e un’auto della compagnia ci aspettava all’aeroporto. Mentre ci avvicinavamo al laboratorio di fusione, fui sorpreso dalle dimensioni modeste dell’edificio, anche se Dempsey mi aveva detto che un giorno gli impianti RTC sarebbero stati così piccoli da stare negli scantinati delle case private.

— Non ci sarà bisogno di aziende elettriche e via dicendo, con l’avvento della fusione. Basta l’acqua. Apri il rubinetto della cucina e in cinque minuti ricavi tanto deuterio da mandare avanti la casa per un anno intero.

Era un tecnico felice. Le sue macchine funzionavano. Il mondo, pure.

Ma vidi che c’erano dei picchetti di dimostranti lungo il reticolato di fronte ai laboratori. Si trattava perlopiù di giovani, studenti et similia, anche se c’erano alcuni uomini più anziani e una decina di donne dall’aria di casalinghe. I cartelli che portavano erano di stampo professionale:

NON VOGLIAMO BOMBE H IN GIARDINO!
SÌ ALLA GENTE! NO ALLA TECNOLOGIA!
LA FUSIONE VADA VIA!
LE RADIAZIONI SONO CANCEROGENE!

L’auto rallentò. Il conducente, un autista della compagnia, ci disse senza girarsi: — Quelli della sicurezza non vogliono aprire il cancello. Hanno paura che i dimostranti penetrino all’interno.

Erano appena poche decine, ma quando ci fermammo davanti alla recinzione sembravano una marea umana. Sciamarono attorno all’auto, gridandoci contro.

— Tornatevene a casa!

— Smettetela di avvelenarci!

Di colpo intonarono in coro: — Sì alla gente! No alla tecnologia! La fusione vada via! — E cominciarono a percuotere l’auto coi cartelli, a farla dondolare spingendo.

— Dov’è la polizia? — chiesi all’autista.

L’uomo si strinse nelle spalle.

— Ma si sbagliano di peso — esclamò Dempsey, con espressione offesa per quella mancanza di apprezzamento delle sue macchine da parte della folla. — L’energia di fusione non produce abbastanza radiazioni da poter risultare nociva.

Prima che mi venisse in mente di bloccarlo, aprì la portiera e sgusciò tra i manifestanti, urlando: — Quel reattore non emette radiazioni! La scoria principale della fusione è del normalissimo elio. Potete darlo ai vostri figli per gonfiarci i palloncini.

Non erano disposti ad ascoltarlo. I dimostranti si ammassarono attorno a Dempsey, sbraitando, sommergendo le sue parole. Un paio di giovanotti, abbastanza robusti da essere giocatori di football universitari, lo spinsero contro la fiancata dell’auto, bloccandolo.

Cominciai a smontare, mentre l’autista borbottando spalancava violentemente la portiera e colpiva qualcuno, strappandogli un grido di dolore. Mentre scendevo sull’altro lato della macchina, qualcuno scagliò un pugno nella mia direzione. Lo parai di riflesso, e spinsi via lo studente. Con la coda dell’occhio, vidi una delle casalinghe calare il cartello che reggeva sulla testa di Dempsey. Tom si afflosciò, e uno dei giocatori di football gli sferrò un diretto allo stomaco, facendolo stramazzare sull’asfalto a faccia in giù. L’autista cercò di strappare il cartello a una dimostrante, mentre la donna urlava e si dimenava per sfuggirgli. Parecchi studenti si gettarono sull’autista e cominciarono a malmenarlo.

— Diamogli una lezione!

Girai attorno alla macchina e mi tuffai nella mischia, aprendomi un varco a strattoni per raggiungere il corpo steso di Dempsey e l’autista barcollante. Quest’ultimo aveva il naso che sanguinava, la bocca spalancata, le labbra arricciate in una smorfia rabbiosa.

Presi un pugno sulla guancia. Prima che il giovanotto ringhiante che mi aveva colpito potesse ritrarre il braccio, lo afferrai per il polso e il gomito e lo scagliai addosso ai suoi compagni, abbattendoli come birilli. Tutto accadde molto in fretta. All’improvviso la folla si separò, comincio a scappare, a parte le cinque persone rimaste a terra con contusioni o fratture varie. Tutti gli altri mollarono i cartelli e fuggirono lungo la strada.

Gli addetti alla sicurezza aprirono il cancello, facendosi in quattro per scusarsi del loro intervento tardivo. In lontananza si sentiva il gemito di una sirena della polizia avvicinarsi… troppo tardi.

Le guardie ci portarono nell’infermeria del laboratorio, dove incontrai il capo del servizio di sicurezza, un ometto bisbetico di nome Mangino. Aveva la pelle color tabacco, e un paio di occhietti scaltri.

— Proprio non capisco — brontolò, mentre fasciavano la testa a Dempsey. — Mai avuto il minimo guaio fino a oggi. Questo branco di pazzi è saltato fuori dal nulla e si è messo a sfilare davanti al cancello.

Erano lì per me. Un comitato di ricevimento di Ahriman. Ma non dissi nulla.

— Sono anni che il nostro ufficio pubbliche relazioni spiega ai mass media che questo reattore non sarà come le vecchie centrali a uranio fissile — proseguì Mangino. — Non ci sono scorie radioattive. Dal guscio del reattore non escono radiazioni. Non può verificarsi la fusione del nocciolo.