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Mossi qualche passo incerto in fondo alla scala, e mi fermai.

— Da questa parte. — La voce era un mormorio aspro.

Girandomi, lo vidi. Una presenza più oscura tra le ombre della cantina. Era grande e grosso, alto quasi quanto me. Spalle massicce, corpo poderoso, braccia che erano un intreccio di muscoli. Avanzai verso di lui. Non riuscii a vederlo in faccia; c’era troppo buio. Si voltò e mi guidò verso la caldaia. Mi chinai sotto una tubatura…

E di colpo mi ritrovai in una stanza illuminata! Socchiusi gli occhi e barcollai un attimo all’indietro, sbattendo contro una parete. La stanza era rivestita di moquette e di legno pregiato, arredata con poltrone e divani. Non c’erano finestre. Le pareti erano spoglie. E soprattutto, non c’erano porte.

— Mettiti comodo, Orion — mi disse indicandomi un divano con la mano dalle dita tozze e nerborute.

Mi sedetti e lo studiai mentre prendeva posto lentamente su una poltrona di cuoio.

La sua faccia non era del tutto umana. Lo era abbastanza da passare inosservata incrociandolo per strada. Però esaminandolo attentamente si notavano gli zigomi troppo spaziati, il naso troppo piatto, e gli occhi dalla sfumatura rossastra. Gli occhi! Ardevano, avvampavano, irradiavano il tormento di una furia continua… e guardando in profondità vidi altre cose in quegli occhi: un odio implacabile e, misto all’odio, qualcos’altro, qualcosa che non riuscivo a decifrare. Non che avesse importanza per me. L’odio c’era, bruciava nei suoi occhi. Come nei miei.

Aveva capelli scuri, a spazzola. La pelle di un pallore grigiastro. Portava calzoni di tela e una camicia aperta sul collo. Era muscoloso come un professionista del sollevamento pesi.

— Tu sei Ahriman — dissi finalmente.

La sua espressione era truce, cupa. — Non ti ricordi di me, è naturale. Ci siamo già incontrati. — La sua voce era un mormorio, il sussurro di un fantasma, o l’ansito sofferente di un moribondo.

— Davvero?

Annuì energicamente. — Sì. Ma stiamo muovendoci in direzioni temporali diverse. Tu stai tornando indietro verso La Guerra. Io sto avanzando verso La Fine.

— La Guerra? La Fine?

— Avanti e indietro sono termini relativi nei viaggi temporali. Ma la verità è che ci siamo già incontrati. Arriverai in certi punti e ricorderai le mie parole. Se vivrai.

— Stai tentando di distruggere il reattore a fusione. — dissi.

Sorrise, e non fu uno spettacolo simpatico. — Sta cercando di distruggere tutta la tua razza.

— Sono qui per impedirtelo.

— Può darsi che tu ci riesca — ribatté Ahriman, sottolineando il può darsi con una punta di ironia.

— Ormazd dice che ci riuscirò… che ci sono già riuscito. — Non accennai alla parte riguardante la mia uccisione. Non potevo. Altrimenti la cosa si sarebbe avverata. Avrei accresciuto la sua forza, indebolendomi.

— Ormazd sa molte cose — disse Ahriman lentamente. — Però te ne dice solo alcune. Per esempio, sa che se eluderò il tuo tentativo di fermarmi questa volta…

Questa volta! Allora c’erano già stati altri confronti!

— … oltre a distruggere interamente la tua razza, infrangerò anche la struttura del continuum spazio-temporale e annienterò Ormazd stesso.

— Vuoi ucciderci tutti.

Quegli occhi rossi e tormentati mi perforarono. — Sì, voglio uccidervi tutti. Voglio abbattere i pilastri dell’universo. Tutto morirà. Le stelle, i pianeti, le galassie… tutto. — Ahriman serro i pugni massicci. Credeva in quello che diceva, ed era piuttosto convincente.

— Ma perché? Perché vuoi…

Mi zittì con lo sguardo. — Se Ormazd non te l’ha detto, perché dovrei dirtelo io?

Cercai di vedere oltre le sue parole, ma la mia mente si scontrò con un muro impenetrabile.

— Ti dirò questo, comunque — mormorò Ahriman. — Il vostro reattore a fusione è un punto di connessione basilare nello sviluppo della tua razza. Se riuscirete a rendere operativo il processo di fusione, entro una generazione comincerete a espandervi nello spazio, verso le stelle. Io non ve lo permetterò.

— Non capisco.

— E come potresti? — Si sporse in avanti, e mi parve di sentire che emanava un odore di ceneri e di morte. — Questo impianto a fusione, questa macchina che voi chiamate RTC, è la chiave del futuro della vostra razza. Se avrà successo, la fusione vi fornirà quantità illimitate di energia. Ricchezza e benessere per tutti. La tua razza potrà smettere di giocare coi suoi ridicoli razzi chimici e cominciare a costruire astronavi vere. Potrà espandersi in tutta la galassia.

— Infatti, ci è riuscita — mi resi conto.

— Sì. Ma se io riuscirò a cambiare questo punto di connessione, in questo particolare periodo, se riuscirò a distruggere il reattore a fusione… — Ahriman sorrise. E io rabbrividii.

Cercai di scuotermi. — Quello che dici è falso. Il mancato funzionamento di una macchina non può uccidere il genere umano.

— Sì, può farlo, grazie alla natura maniacale della tua razza. Quando il reattore a fusione esploderà…

— Non può esplodere! — esclamai.

— Certo che no. Non in circostanze normali. Ma io dispongo di mezzi straordinari. Posso creare uno sbalzo di energia improvviso nei laser. Posso provocare la detonazione della schermatura di litio che circonda la camera di combustione del reattore. Invece della fusione di un microgrammo di deuterio e dell’emissione di una minuscola quantità di energia, si avrà l’esplosione di decine di chili di litio e metalli pesanti.

— È impossibile che…

— Invece di una microscopica stella artificiale che irradia un flusso energetico controllato, io creerò una supernova artificiale, una bomba al litio. L’esplosione distruggerà Ann Arbor completamente. Il pulviscolo radioattivo ucciderà milioni di persone da Detroit a New York.

Mi afflosciai sul divano, allibito.

— Anche se i vostri capi saranno abbastanza saggi da capire che si sarà trattato di un incidente e non di un attacco nucleare, anche se non bombarderanno di missili i nemici, la gente reagirà in modo violento contro l’energia di fusione. Le proteste passate che hanno portato alla chiusura di tutte le centrali nucleari a uranio fissile sembreranno uno scherzo innocuo rispetto alle reazioni provocate da questo disastro. Per qualsiasi ricerca nucleare sarà la fine, ovunque. Non otterrete mai l’energia di fusione. Mai.

— Comunque, sopravviveremo.

— Davvero? Io dispongo di tutto il tempo che voglio. Posso pazientare. Col passare degli anni, la crescita della popolazione richiederà quantità sempre maggiori di energia. Le vostre grandi nazioni si scontreranno tra loro per il possesso del petrolio, del carbone, delle risorse alimentari. La guerra sarà inevitabile. E per la guerra, avete dei congegni a fusione che funzionano a meraviglia… le bombe H.

— L’apocalisse — dissi.

Ahriman annuì, trionfante. — Invece di espandervi nella galassia, vi distruggerete a vicenda con la guerra atomica. Su questo pianeta la vita verrà cancellata. La struttura spazio-temporale si spezzerà a tal punto che l’intero continuum crollerà e morirà. L’apocalisse, sì.

Volevo farlo smettere, ridurlo al silenzio. Volevo ucciderlo, come lui aveva ucciso Aretha. Ringhiando mi scagliai in avanti per stringergli la gola. Era vero, non un ologramma. Ed era mostruosamente forte. Mi respinse facilmente, atterrandomi quasi fossi un bambino.

Ritto su di me come la forza oscura di un destino funesto, sibilò: — Nonostante tutto quello che Ormazd ti ha detto, io riuscirò nella mia impresa. Tu morrai, Orion. Qui. Sarai intrappolato in questa camera, mentre io distruggerò l’impianto di fusione.