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— E che ne faremo dei feriti? —domandò Frede. —Non tutti sono in grado di muoversi.

— Non possiamo lasciarli qui; morirebbero di fame. E gli Skorpis, quasi sicuramente, torneranno. Di certo sono intenzionati a mettere fuori uso il ricetrasmettitore.

— Anche se la flotta non ci manderà aiuti?

— La flotta potrebbe riuscire a inviarci rifornimenti, prima o poi. È questo che temono gli Skorpis, e torneranno per finire ciò che avevano iniziato.

Frede fece una smorfia. —Così, invece di aspettare che siano loro ad attaccarci, lei vorrebbe farci attraversare l’intero pianeta per sorprenderli nella loro base?

— Aspettarli qui sarebbe una sciocchezza. Preferisco che non sappiano dove siamo.

Quint scosse il capo. —Che differenza fa? Moriremo comunque.

— Che fegato! Questo è lo spirito giusto —commentai seccato.

L’improvviso ronzio dei laser antimissili ci costrinse a sollevare la testa: erano puntati contro il cielo.

— C’è qualcosa in arrivo —proruppi, scattando in piedi.

I laser fecero fuoco e l’eco secca dei loro colpi mi rimbombò nelle orecchie. Qualche secondo dopo, udimmo un’esplosione, come un tuono in lontananza. Un altro colpo sparato dai laser, poi un’altra esplosione, più vicina.

— La nostra base è diventata un bersaglio, ormai —dichiarai. —Dobbiamo andarcene.

Questa volta nessuno obiettò.

Bendati e con il passo incerto, chiamammo a raccolta le truppe e, recuperato ciò che restava delle scorte, ci inoltrammo nel paesaggio sconosciuto in direzione del campo nemico. Io guidavo il gruppo in avanscoperta, i dodici uomini che avevano riportato le ferite più leggere. Altri venti, che se l’erano cavata non troppo male, formavano un cordone attorno ai feriti più gravi. Volavamo a circa un metro dal suolo grazie agli zaini polivalenti telecomandati. A quelli appartenuti ai nostri compagni morti avevamo appeso armi e vettovaglie.

I loro corpi erano rimasti alla base. Era stata una decisione difficile e sofferta. Di solito, una squadra si prende buona cura dei corpi dei caduti, congelandoli se possibile, nella speranza di una futura rianimazione. Altrimenti, i corpi vengono cremati con tutti gli onori militari.

Ma non potevamo portare con noi quarantasei morti; non ne avevamo la forza. E, comunque, ero certo che presto sarebbero stati distrutti da un’esplosione nucleare. Gli Skorpis avevano tentato di impadronirsi della nostra postazione e avevano fallito. Ora erano decisi ad annientarla senza subire ulteriori perdite.

Mentre ci addentravamo nell’ombra della foresta, i laser antimissili continuavano a fare fuoco. Mi chiesi se i nemici si stessero realmente accanendo con tanta determinazione sulla nostra base, o se non stessero lanciando missili civetta nell’intento di esaurire le cariche dei laser. A quel punto, avrebbero potuto lanciarle contro una testata nucleare nell’assoluta certezza che non ci sarebbero state reazioni di sorta.

Cominciammo il nostro viaggio verso mezzogiorno, ora locale, sebbene la fitta coltre di alberi ci impedisse di vedere il sole. Solo qualche raggio filtrava attraverso i rami, formando chiazze più chiare sul terreno.

Da lontano udimmo l’insistente crac dei laser che sparavano a missili in arrivo. Avevo la sensazione che, con il passare delle ore, quel rumore si facesse più intenso e disperato. Era impossibile che i nemici stessero usando tutte quelle testate nucleari, mi dissi. Probabilmente si trattava di un’azione volta soltanto a farci esaurire le scorte di energia.

Finalmente, fummo abbastanza lontani per percepire solo l’eco degli spari. Forse il silenzio stava a significare che i laser non funzionavano più. Se fossimo stati lì, con armi e vettovaglie, avremmo potuto sostituire le ricariche e continuare la difesa della base. Ma non era quello il nostro caso.

Era quasi buio, quando udimmo l’esplosione di un tuono, secca come quella di un’arma in pieno viso. Era l’onda d’urto di un’esplosione nucleare, palpabile persino a distanza. Il cielo alle nostre spalle si incendiò e un ruggito basso, inquietante lacerò l’aria.

Ci fermammo a guardare indietro. Attraverso gli alberi, contro il cielo del tramonto, vedemmo levarsi una nube a forma di fungo, rosso sangue nella luce del sole morente.

— Ecco che la base se ne va —disse qualcuno.

— Aveva ragione —commentò Frede, che viaggiava al mio fianco. Le sue gambe penzolavano inerti a un metro da terra, come quelle di un burattino senza fili. —Se fossimo rimasti laggiù…

— Probabilmente gli Skorpis erano convinti che ci fossimo ancora —replicai. —Forse, pensano di averci uccisi tutti e che adesso non hanno più nulla di cui preoccuparsi.

— Forse —ripeté Frede. Dal tono della voce, però, capii che non era del tutto convinta.

L’esplosione nucleare aveva fatto divampare un incendio di vaste proporzioni nella foresta. Le fiamme lambivano i tronchi degli alberi e un fumo nero offuscava il flebile chiarore delle stelle. Cercammo di frapporre quanta più distanza possibile fra noi e il fuoco, e c’era qualcosa di spettrale nella nostra fuga, illuminata dalla luce dei sensori del casco. Ogni volta che mi voltavo, il vivido bagliore delle fiamme sovraccaricava temporaneamente i sensori, accecandomi. Era come fissare il sole.

Nel buio, vedemmo animali sgattaiolare tra i tronchi, alla ricerca di un rifugio sicuro, proprio come noi. Il terreno sotto di noi sembrava salire, a mano a mano che procedevamo, e diventare più arido. La sete di sangue degli insetti che ci avevano dato l’assalto durante le prime notti sul pianeta sembrava essersi placata. O, forse, ci eravamo semplicemente abituati alla loro fastidiosa presenza.

Finalmente, arrivammo nei pressi di un grande fiume dalle acque rapide. Lo attraversammo e decidemmo di accamparci sull’altra sponda. La mezzanotte era vicina e noi eravamo esausti.

Misi pochi uomini di guardia, perché non sentivo nell’aria odore di pericolo. Decisi, tuttavia, di non accendere il fuoco. Per cena aprimmo le lattine; il cibo era quasi insapore, ma fu piacevole ingoiare qualcosa di caldo.

— Ehi, Klon —sentii un soldato bisbigliare al suo compagno —ti do la mia 24-C/Mark 6 in cambio della tua 24-C/Mark 3.

— E perché? Sanno tutte di polvere.

— A me la Mark 3 piace di più.

— Santo cielo! Ecco, prenditi questa fottuta lattina. Che differenza ci trovi?

Un’altra voce ruppe il silenzio. —Branco di idioti, non sapete che queste razioni sono state preparate dai migliori dietologi dell’esercito per fornire tutte le vitamine e i sali minerali di cui un soldato ha bisogno quotidianamente? Così è scritto sull’etichetta.

— A lui la Mark 3 piace di più —insistette Klon, seccato.

— Gli “piace” questa schifezza?

— Sì, mi piace. Qualcosa da obiettare?

— Non saprei, Klon. Tu che ne pensi?

— Sai come si dice, amico…

Un coro di voci rispose: —Bisogna esserci nati!

Nel sentirli ridere, non potei fare a meno di chiedermi che cosa li rendesse tanto allegri.

Dopo aver mangiato, feci un giro di ricognizione nella zona, felice di potermi sgranchire le gambe dopo un’intera giornata passata a mezz’aria. Le guardie erano in stato di all’erta e la foresta vibrava di vita. Anche senza l’aiuto dei sensori della visiera, individuai diversi animali simili a conigli e altri più piccoli, intenti a mordicchiare le foglie. La selvaggina non doveva mancare, anche se molti animali non erano riusciti a scampare alle fiamme. No, non saremmo morti di fame.

Di solito, mi bastavano poche ore di sonno per recuperare le forze, ma la battaglia della sera precedente e la tensione di quel giorno mi avevano sopraffatto. Assicuratomi che non ci fossero pericoli in vista, passai il comando al tenente Quint e cercai un posto dove stendermi.