Per poco non inciampai nelle gambe del tenente Frede.
Mi affrettai a inginocchiarmi accanto a lei, e le mormorai: —Spero di non averle fatto male.
— Solo un po’ —replicò la donna.
— Come si sente?
— Stanca, soprattutto. Non ho dolori alle gambe, se è questo che voleva sapere.
— Bene.
— Temo che non sarò una brava partner sessuale per un po’ di tempo.
— Nessun problema. —Chissà perché, mi sentivo imbarazzato.
— Può chiedere una volontaria, sa. Abbiamo quattro donne nella truppa che hanno perso in battaglia il loro compagno.
— Non ne ho bisogno.
— Secondo il regolamento si può chiedere anche un partner maschile, anche se già impegnato con una donna.
— Conosco il regolamento —tagliai corto. Ma era vero solo in parte. Non mi ero neanche preso la briga di rivedere le regole, soprattutto quelle riguardanti le pratiche sessuali.
— Lei è scapolo? —chiese Frede.
Avrei desiderato lasciar cadere l’argomento, e fu con riluttanza che risposi: —Per il momento.
— Oh. Dunque c’è qualcuno che l’aspetta.
— Sì —risposi pensando ad Anya.
Ma Frede aveva altro per la mente. —Lei sa, naturalmente, che le regole riguardanti i compiti sessuali sono ugualmente vincolanti per entrambi i membri di una coppia.
— Lo so.
— Questo significa che, qualunque siano le sue preferenze, sarà legato a me per tutta la durata della missione.
— Le ho già detto che lo so.
— Può chiedere una volontaria per il periodo in cui resterò in convalescenza ma, una volta che sarò guarita, sarà vincolato a me.
— Già.
— E questo anche se ha qualcuno che l’aspetta nel posto da dove è venuto.
Alla fine mi resi conto a che cosa mirasse. —Oh, capisco!
Frede rise del mio improvviso disagio. —Non si preoccupi, capitano. Sarò buona con lei.
Si stava prendendo gioco di me!
Allungai una mano e le sfiorai delicatamente il collo. —Non vedo l’ora —le sussurrai.
Poi me ne andai, lasciandola seduta con le gambe spalancate e un’espressione sorpresa in volto.
Ma la ridicolaggine di quella situazione svanì dalla mia mente non appena mi distesi a terra e chiusi gli occhi. Anya. Dove, fra tutti gli spazio-tempo del continuum, si trovava? Perché non potevo stare con lei? Perché ero costretto lì con un gruppo di soldati clonati, tra mille difficoltà, abbandonato in un mondo dimenticato?
Dimenticato, davvero. Dimenticato dal sedicente dio Aton. Abbandonato dai Creatori, da tutti. Anche Anya mi aveva abbandonato? Oppure gli altri l’avevano costretta a starmi lontano?
Non riuscivo a dormire. Chiusi gli occhi e imposi al mio corpo di rilassarsi. Ma non potevo imporre alla mia mente di non pensare. Vidi vite passate, passate missioni che il Radioso mi aveva assegnato. Ero stato Osiride in Egitto molto tempo prima che venisse costruita la prima piramide. Ero stato Prometeo tra il gelo e i ghiacci dell’Era Glaciale. Avevo abbattuto le mura di Gerico e aiutato a scacciare i Neanderthaliani da questo flusso temporale del continuum.
E sempre al servizio di Aton, il Radioso. E con l’aiuto di Anya, la dea che amavo. Il Radioso mi odiava per questo: Aton mi odiava perché Anya mi amava. Spesso lei prendeva sembianze umane per restare al mio fianco. E, ogni volta, lui cercava di separarci. Avevo attraversato l’eternità e anni luce per stare con lei. Ma Aton aveva sempre fatto in modo di tenermene lontano.
Io sono Orion il Cacciatore, creato da Aton per eseguire i suoi ordini, innamorato senza speranza di uno dei Creatori compagni di Aton. Ed eccomi qui, solo, su un pianeta insignificante, nel mezzo di una guerra interstellare, smarrito e abbandonato, con un manipolo di soldati schiavi dei loro creatori esattamente come me.
Perché? Perché il Radioso mi aveva mandato lì e poi abbandonato? Per tenermi lontano da Anya? O per qualche altro scopo, per qualche suo stravagante disegno teso a forgiare il continuum a suo piacimento? Già una volta era impazzito, lo sapevo. Forse era impazzito di nuovo.
— Ma no, pensai; ciò che ha fatto ora ha tutte le caratteristiche di un piano deliberato, calcolato. Mi ha mandato sul pianeta Lunga per una ragione precisa. Semplicemente, non si è degnato di rivelarmela.
I primi raggi di sole cominciavano a filtrare attraverso le chiome degli alberi. Mi alzai a sedere, rinunciando definitivamente a ogni speranza di dormire.
“Bene” dissi a me stesso. “Se il Radioso non vuoi dirmi perché mi ha mandato qui, dovrò scoprirlo da solo.”
6
Riprendemmo il nostro cammino verso la base degli Skorpis. Mandai alcuni ricognitori in avanscoperta, ma nessuno rilevò segni di presenze nemiche.
Emergemmo dalla grande foresta il secondo giorno, e ci fermammo il tempo necessario perché io consultassi le mappe archiviate nel computer inserito nel casco. Il display sulla visiera mostrava una larga fascia di terra, poi una catena di aspre montagne. Non mi piaceva affatto l’idea di muovermi su un terreno aperto. Mi sentivo più al sicuro dietro alla fitta schiera di alberi. Benché consapevole che i sensori nemici potevano intercettarci anche attraverso la fitta vegetazione, l’istinto mi diceva che all’aperto era pericoloso.
Ci mettemmo in marcia, diretti a un fiume che sgorgava da quelle lontane montagne… così lontane che non se ne intravedevano neppure le cime. Il fiume era contornato da filari di alberi e il paesaggio era movimentato dall’abbondante presenza di selvaggina. Quanto all’acqua fresca, era una necessità, dato che le attrezzature di riciclaggio erano rimaste al campo.
Fedele al mio nome, insegnai ai soldati a cacciare. I fucili laser non sono le armi più adatte a questo sport, ma il nostro obiettivo era la sopravvivenza, e abbattemmo senza esitazione uccelli e conigli.
— Vorrei proprio che ci “fosse” qualcosa di più grosso di un lemure su questo pianeta —si lamentò uno dei soldati.
— Insomma, qualcosa con più carne intorno alle ossa —gli fece eco un suo compagno.
Ma passarono i giorni e le settimane senza che avvistassimo animali più grossi. Lentamente i nostri feriti guarirono, eccezion fatta per due che morirono durante la marcia. Li cremammo: accendevamo il fuoco ogni sera, dato che dei nemici non si era vista più traccia. Certo, gli Skorpis potevano aver messo in orbita satelliti spia, ma se anche ci avevano intercettato non avevano fatto nessuna mossa contro di noi. E comunque, non ce la sentivamo di rischiare mangiando carne cruda: la cottura, oltre a renderla più gradevole al palato, uccideva parassiti e microbi.
L’avanzata lungo il fiume si rivelò più ardua della marcia nella foresta. Gli alberi erano molto più bassi e i cespugli molto fitti, così che spesso decidevamo di volare sul pelo dell’acqua per evitare gli ostacoli.
— Ehi, ci sono cose vive nell’acqua! —esclamò una mattina una delle donne.
Le spiegai che l’uomo è solito pescare pesci e nutrirsene. Era un’informazione del tutto nuova per lei, come per tutti gli altri, ufficiali compresi, e ancora una volta mi stupii dei limiti della loro esistenza. Sapevano soltanto quello che era necessario per combattere.
Presto, però, feci di alcuni di loro dei pescatori provetti, e ogni sera, quando accendevamo il fuoco, c’era sempre pesce fresco a garantirci una dieta ricca di proteine.
E finalmente arrivammo in vista della catena montuosa. La roccia nuda, quasi violacea alla luce del tramonto, contrastava con il bianco azzurrino della neve che copriva le cime. Quella sera, il tenente Frede si tolse l’ingessatura rigenerante e azzardò qualche passo intorno al falò.
— È bello sentirsi di nuovo libera —esclamò, il volto illuminato da un sorriso. —Mi sento proprio bene!