Dormì rannicchiata contro di me, quella notte, accanto al fuoco che languiva. La sera seguente, mi prese per mano e mi condusse tra gli alberi, lontano dal campo.
— È giunto il momento, Orion —disse, sedendosi con la schiena contro un tronco. Con un gesto mi invitò a sedermi accanto a lei.
— Sì —risposi, lanciando uno sguardo verso il campo. Eravamo protetti da una fitta schiera di alberi, lontani da occhi indiscreti. —Immagino di sì.
Cominciammo con un pizzico di esitazione, ma di lì a poco Frede ridacchiava piano, mentre si spogliava e aiutava me a fare altrettanto. Ero sorpreso dall’intensità del mio desiderio. Avevo pensato di limitarmi a compiacere Frede, ma ben presto mi resi conto di essere eccitato almeno quanto lei. L’immagine di Anya mi balenò davanti agli occhi e sognai che fosse lei la donna con cui stavo facendo l’amore: Anya, calda, dolce, adorabile, irraggiungibile Anya, la donna che avevo cercato in tutto lo spazio-tempo, la dea che aveva assunto sembianze umane per amor mio.
Le stelle brillavano attraverso le chiome degli alberi. Frede e io giacevamo vicini, sudati e rilassati, e guardavamo la luna levarsi oltre il profilo delle montagne. Era una luna lontana, fredda, che non gettava luce sullo spoglio paesaggio.
— A che cosa stai pensando? —bisbigliò Frede.
Mi strinsi nelle spalle. —A niente.
— Balle. Stavi pensando a lei, non è così? Alla donna a cui ti sei promesso.
Negare non avrebbe avuto senso. —Sì, è vero —mormorai.
— Anche mentre lo stavamo facendo?
— Sì.
— Bene.
— Bene?
— Durante l’addestramento non te lo dicono, ma non è consigliabile, tra soldati, restare coinvolti emotivamente. Anche se dovessimo sopravvivere a questa missione, verremmo di nuovo ibernati in vista di nuove missioni che ci vedrebbero assegnati a partner diversi.
— Vi cancellano la memoria durante il criosonno?
— Dipende. Nella maggior parte dei casi, si limitano a sottoporci a un nuovo addestramento e ad aggiungere altri dati nella nostra memoria riguardanti la nuova missione.
Più o meno come Aton faceva con me, pensai.
— Quindi, bando ai coinvolgimenti —concluse Frede con molta chiarezza.
Il suo tono era distaccato e mi chiesi se fosse davvero persuasa di quanto mi stava dicendo. Sembrava piuttosto che cercasse prima di tutto di convincere se stessa.
Restammo distesi a lungo. Poi Frede mi fece scorrere una mano lungo la coscia.
— Sei pronto per rifarlo?
Lo ero, come lo era lei.
Più tardi, le chiesi con voce assonnata: —Che cosa succede se una donna soldato resta incinta?
Lei restò in silenzio per qualche istante, poi rispose con un filo di voce: —Non succede mai, Orion. Noi siamo stati tutti sterilizzati. Per un soldato il sesso è soltanto un modo per scaricare le tensioni. Non avremo mai figli.
E per i loro signori, lo sapevo, il sesso era lo strumento per mantenere integri negli uomini gli istinti di aggressività e protezione. Ricordai le parole amare di un vecchio cantore, accecato da Agamennone dopo l’assedio di Troia: “Più miserabili degli schiavi, ecco che cosa siamo, Orion. Vermi sotto i loro piedi. Cani. È così che ci trattano”.
Scossi la testa. Ai cani, almeno, era permesso riprodursi.
Quella notte dormii abbracciato a Frede. E sognai.
O forse, più che un sogno, a visitarmi fu uno dei messaggi del Radioso. Spesso Aton o uno degli altri Creatori mi chiamava dallo spazio-tempo in un altro luogo nel continuum per parlarmi, per darmi ordini, oppure per rimproverarmi.
Nel sogno, sempre che di sogno di trattasse, non apparve nessuno dei Creatori. Ero solo e camminavo su un’ampia striscia di sabbia bianca; le onde che si infrangevano, mi lambivano i piedi nudi. Il sole era caldo, bruciante, in un cielo di bronzo colato.
Sul limitare della spiaggia, cresceva una fila di cespugli, alcuni coperti di fiorellini rossi e blu. Dietro, le sagome di costruzioni somiglianti a candele disciolte, informi e annerite. Costruzioni antiche. Per un qualche motivo, sapevo che erano abbandonate da un tempo inenarrabile. Abbandonate, esattamente come lo ero io.
Una voce mi chiamò. Non la udii, ma echeggiò nella mia mente. Non pronunciò il mio nome, non usò parole. Ma avvertivo una presenza che cercava di raggiungermi, di stabilire un contatto mentale con me. Percepii un’intelligenza, una curiosità… e poi un senso di paura, collera e disgusto insieme. Un rifiuto. La presenza scomparve di colpo, come un delfino che si tuffa nelle onde.
Restai solo sulla spiaggia, travolto dalla tristezza e da un disperato bisogno di capire chi e che cosa fossi, dolorosamente consapevole di un vuoto nel cuore stesso della mia esistenza.
— Anya! —gridai. —Anya, dove sei?
Nessuna risposta. Le onde continuavano a inseguirsi. Il vento mi schiaffeggiava il volto. Il sole mi bruciava. Per quel che potevo dire, ero solo su quella spiaggia, solo su quel pianeta, solo nell’universo.
Piansi.
Frede mi scosse per svegliarmi. —Orion, che cosa c’è? Svegliati!
Di colpo balzai a sedere. Eravamo al campo, sotto gli alberi, e i primi bagliori dell’alba diradavano le nubi che incombevano basse e grigie sopra di noi. Gli altri dormivano ancora, da soli o in coppia. Solo le sentinelle continuavano a camminare lungo la riva del fiume.
Frede mi cinse le spalle nude. —Nel sonno gemevi.
— Sognavo.
— E chiamavi una donna, Anna.
— Anya —la corressi.
Lei si infilò la maglietta. —È quella a cui sei promesso?
Abbozzai un sorriso per quell’espressione così antiquata. —È la donna che amo.
Frede annuì. —Se usciremo vivi da questa missione, tornerai da lei?
— Non lo so. Lo vorrei, ma non so se mi sarà possibile.
— L’esercito non ti rimetterà in una cella frigorifera fino alla prossima missione?
Scossi la testa e ammisi: —Non lo so. Davvero.
— Ecco tutto quello che possiamo sperare: il criosonno o la battaglia —mormorò Frede. —E, negli intervalli, gli addestramenti. È una gran vita, Orion, quella dei soldati! Bisogna esserci nati.
Dunque era questo il senso di quel motto. Bisogna esserci nati. Una battuta amara, ma valida per me, così come per tutti quei soldati clonati. Bisogna esserci nati. Oppure creati. E così era per noi.
— Coraggio —sospirai alzandomi. —È ora di muoversi.
Lei si alzò, ma mi guardò dritto negli occhi mentre chiedeva: —Perché?
— Che vuoi dire?
— Perché dobbiamo muoverci?
— Lo sai bene quanto me…
— Per attaccare la base degli Skorpis? E perché dovremmo? A che servirebbe? Forse solo a farci uccidere tutti.
Sapevo che le truppe erano state condizionate a ubbidire, a combattere, a eseguire gli ordini. Durante quella missione il condizionamento si era indebolito notevolmente, ma era possibile rafforzarlo con una sequenza di parole chiave che tutti gli ufficiali di grado superiore a quello di tenente avevano memorizzato. Mi venne di pensare che i gradi superiori utilizzassero con i loro subalterni altre analoghe sequenze di frasi. Aton le aveva inserite nella mia memoria e ora mi tornavano tutte in mente, come se lui fosse al mio fianco a suggerirmele.
“Tu sei la punta della lancia, la punta della freccia.” Una semplice frase, ma sufficiente a travolgere il nascente senso di indipendenza di Frede, a trasformare una donna impaurita e dubbiosa in un soldato ligio agli ordini. Un soldato brontolone e lamentoso, forse, ma che non avrebbe più messo in discussione la missione a cui era stato assegnato né vacillato al pensiero della sua impossibilità.
Non me la sentivo di pronunciare quelle parole. Non ancora. Non a Frede. Condannata a una vita che non aveva chiesto, in cui le era stata negata ogni possibilità di scegliere, stava cominciando a manifestare i primi segni di una volontà libera… non era tanto la morte che temeva, quanto una morte inutile.