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— Ti stai comportando molto bene, Orion —fu il suo saluto.

— Questo pianeta è così importante per i tuoi fini, perché tutti i miei soldati vengano sacrificati?

— È ovvio —rispose. —Perché pensi che ti abbia mandato qui? Ho grande fiducia nelle tue capacità. Dopotutto, sono stato io a crearle.

In quel momento, eravamo fuori dal continuum spazio-temporale, avvolti in una nube di energia che né i miei uomini né gli Skorpis erano in grado di vedere.

— Hai creato anche i miei soldati? —volli sapere.

— Quelle cose? Oh, no! Devi avere una pessima opinione di me, se pensi che avrei potuto costruire strumenti così limitati. No, sono stati concepiti dalla loro stessa specie, dagli umani di questa era.

— E che cosa c’è di tanto importante in questa era?

Lui accennò a una smorfia di derisione. —Come spiegare il tempo a una creatura che lo percepisce in modo così lineare? Vedi, Orion, per quelli di noi che “comprendono”, il tempo è come un oceano, come quell’immenso mare che si stende oltre il vostro ridicolo accampamento. Che tu ti trovi da una parte o dall’altra, l’oceano è sempre lo stesso. Puoi attraversarlo, oppure perderti nelle sue profondità.

— Ci sono correnti nell’oceano. —dissi.

— È così! E ci sono correnti anche nello spazio-tempo.

— E dove, in questo oceano di spazio-tempo, si trova Anya?

Lo vidi rabbuiarsi. —Non pensare a lei. È impegnata altrove. Il tuo compito, invece, è qui.

— Questa è la crisi definitiva di cui parlavi, vero? Qui, su questo pianeta?

— Qui se ne sta svolgendo una parte, Orion. Solo una piccola parte. Piccola ma importante.

— E ti aspetti che distrugga la base degli Skorpis con cinquantadue uomini, senza rinforzi né armi pesanti?

Aton si strinse nelle spalle. —Vorrei poterti aiutare, Orion, ma devi cavartela con i mezzi di cui disponi. Non abbiamo rinforzi da inviarti.

— Allora falliremo. Saremo tutti uccisi, senza speranza di successo.

— Forse ti resusciterò. Se mi sarà possibile.

— E gli altri?

— Non sono affar mio. Non sono stato io a crearli. È stata la loro stessa razza a concepirli.

— Che li considera carne da macello. E in più sono meno costosi dei robot.

Ancora una scrollata di spalle. —Strumenti, Orion, sono solo strumenti. Non puoi pensare che qualcuno si prenda cura di semplici strumenti. Si usano solo per lo scopo per cui sono stati creati.

— E quando il loro scopo si sarà esaurito?

— Si rimettono a posto, fino a quando non se ne avrà nuovamente bisogno.

— Oppure si gettano via perché sono stati danneggiati mentre facevano il proprio dovere.

Aton scosse la chioma dorata. —Come sei sensibile, Orion. Le emozioni servono a motivarti, lo so, ma diventa noioso parlare con te.

— Voglio vedere Anya. Parlare con lei.

— Impossibile.

— Allora andrò a cercarla.

Scoppiò a ridere. —Ma certo, Orion! Fatti spuntare le ali e vola via!

— Ho viaggiato attraverso il continuum da solo —dissi.

— Da solo, dici? Senza l’aiuto della tua adorata Anya? Oppure senza il mio?

— Da solo —insistetti. Ma dentro di me mi chiedevo se era stato davvero così.

— Fa’ il tuo lavoro, Orion. —disse aspro Aton. —Distruggi la base degli Skorpis, anche solo parzialmente, prima che il tuo piccolo esercito venga annientato. Poi, forse, ti porterò da Anya. Se tutto andrà bene.

— Ma i miei soldati…

— Saranno tutti morti, Orion. E non sarai più costretto a preoccuparti per loro.

E scomparve, come una stella eclissata da una nuvola. Restai solo, sulla riva del fiume che scorreva veloce verso il mare.

7

Era mezzogiorno quando raggiungemmo il punto in cui il letto del fiume si allargava in un’ampia baia tranquilla. Verso la metà del pomeriggio, eravamo alla spiaggia e lì ci fermammo per un breve riposo e una breve ricognizione.

Da dove ci trovavamo, accovacciati dietro agli alberi e ai grossi cespugli che fiancheggiavano il corso d’acqua, non riuscivamo a vedere la base nemica, da cui ci separava l’antica città abbandonata. Quanto a me, speravo che loro non vedessero “noi” mentre attraversavamo la spiaggia in direzione delle rovine.

— Nessun segno di pattuglie nemiche —riferì Manfred. Era arrivato di corsa, e sudava. Avevo espressamente vietato ogni comunicazione radio per paura di essere intercettati.

— Sono sicura che hanno messo in funzione i satelliti —brontolò Frede, e Quint manifestò il suo assenso con un cenno preoccupato del capo.

— Se anche è così, restare qui non servirà a nulla —replicai. —Quelle rovine saranno una protezione migliore in caso di combattimento.

Grazie ai volazaini, percorremmo parecchi chilometri di spiaggia, sempre in attesa di un attacco degli Skorpis. Frede continuava a guardare il cielo, quasi sperasse di vedere i satelliti.

Era divertente volare a quella velocità, a pochi centimetri dalla sabbia, con il mare da un lato e i cespugli in fiore dall’altro. Una cosa si stemperava nell’altra, fino a creare un’unica indistinta macchia di colore.

Avvicinandoci alle rovine, rallentammo, e infine, uno alla volta, col fiato corto e sorridenti, planammo sulla spiaggia. Il sole era una palla infuocata sospesa all’orizzonte e proiettava lunghe ombre violacee sulle mura cadenti delle rovine. Ci inoltrammo fra di esse, felici della protezione offerta da quelle vecchie mura, dopo essere stati a lungo all’aperto.

Era stata una città di dimensioni considerevoli: ampi viali si snodavano per chilometri, fiancheggiati da edifici che dovevano essere stati altissimi. Quanto era antica? E che cosa l’aveva distrutta?

— Il residuo radioattivo è irrilevante —mormorò Frede mentre ci facevamo strada tra i mucchi di pietre che ingombravano una delle vie principali. Dalla rete aveva prelevato lo scanner, e ora lo teneva davanti a sé con i gesti rigidi di un cieco che maneggi il bastone bianco.

— La città non è stata bombardata da testate nucleari —dissi.

I soldati si erano automaticamente divisi in due colonne, una a ogni lato del viale, e distanziati tra loro, in modo da offrire un bersaglio ridotto all’eventuale fuoco nemico. Manfred marciava in testa, in compagnia di quattro elementi scelti; Quint si era autoassegnato alla retroguardia. Il suo atteggiamento cominciava a preoccuparmi. La paura è un sentimento naturale nell’uomo, ma in lui stava prendendo il sopravvento sul senso del dovere.

— Che cosa l’ha rasa al suolo, allora? —obiettò Frede, che camminava al mio fianco.

Pensavo di saperlo. —C’è stata una battaglia. Una lunga, atroce battaglia che si è spostata da una strada all’altra, da un edificio all’altro. Un massacro che è durato settimane. Mesi, forse.

Frede scosse il capo. Non capiva. —Ma questo significa che l’intera popolazione era coinvolta. Civili, bambini… tutti, insomma.

I ricordi affluivano alla mia mente. Troia. Stalingrado. L’assedio di Gerusalemme da parte dei Crociati e il bagno di sangue che ne era seguito.

— Civili, bambini, tutti —le feci eco. —Nell’assedio di Stalingrado la maggior parte della popolazione morì di fame, tanto che la gente arrivò al punto di nutrirsi di topi e degli animali dello zoo.

— Santo cielo! —mormorò Frede.