Questo rettile era diverso. Aveva il muso simile a quello di una lucertola, con la bocca piena di denti e un’unica cresta ossuta sul capo. Gli occhi, in apparenza semplici fessure, erano piccole biglie lucide sporgenti e piene di intelligente disprezzo.
— Svegliatevi, forza! Avete dormito abbastanza! —disse. La sua voce proveniva da un medaglione sottile appeso a una catena d’oro che portava al collo.
— Chi è al comando, qui? —chiese di nuovo.
— Io —risposi e, mentre lo dicevo, mi resi conto che era davvero così. —Mi chiamo Orion e sono il responsabile di questo drappello.
Gli occhietti luccicanti indugiarono su di me. —Molto bene, Orion. Fa’ alzare i tuoi uomini, che si preparino…
Un’altra potente vibrazione percorse la sala. I soldati barcollarono, sul punto di cadere. Io mi afferrai saldamente il bordo della capsula.
Il rettile emise un sibilo leggero. —Dovete essere pronti entro un’ora. Questo è un ordine, soldato.
Indietreggiò. Mi resi conto che la sua rete era vuota, una pura decorazione. Noi avremmo partecipato all’azione. Lui no.
La nebbia si era quasi completamente diradata. Gli uomini erano in piedi e apparivano incerti sulle gambe, con la mente ancora annebbiata dal sonno crionico.
— Bene —dissi a voce alta e con tono deciso —avete sentito quello che ha detto la lucertola. Si va in combattimento. Allinearsi!
Mi guardarono sospettosi, quasi con astio, ma obbedirono, disponendosi in file ordinate. I sergenti si misero alla testa di ogni fila e tre tenenti, due dei quali donne, marciarono a piedi nudi verso di me e si fermarono sull’attenti. Nessuno sembrava a disagio per la propria nudità.
Non conoscevo quei soldati. Ero stato posto al loro comando prima che la spedizione avesse inizio, ricordai. Il loro capitano era stato sollevato dall’incarico per motivi che non mi erano stati spiegati. Avevo in mente tutti i dati riguardanti i miei uomini, ma si trattava di semplici informazioni ricavate dai loro dossier. Per me, erano dei perfetti sconosciuti.
Ma ricordavo! Mentre li guidavo verso gli armadietti contenenti armi e divise, mi rallegrai che questa volta il Radioso non avesse cancellato in me ogni memoria… Ma perché? Lo faceva sempre, dopo una missione. Talvolta avevo sconfitto quell’oblio indotto, talvolta esigevo i miei ricordi. Con un sorrisetto compiaciuto, Aton mi spiegava che era lui a permettermi di ricordare, che con i miei soli sforzi non ce l’avrei mai fatta. Io stesso pensavo che probabilmente era Anya che mi aveva aiutato.
Ma ora riuscivo a ricordare tutto o, almeno, molto. Anya. La amavo, e lei mi amava. Era uno dei Creatori, lontana da me come può esserlo una divinità rispetto a un mortale, ma mi amava. Aveva rischiato la propria vita per restarmi accanto in tutte le ere in cui ero stato mandato da Aton. Volevo trovarla e restare con lei. Per sempre.
Ma c’era una crisi, là fra le stelle, lontano dalla Terra. Anya era da qualche parte a combattere, così come gli altri Creatori. A combattere per la propria vita. Per la sopravvivenza della specie umana. Per la conservazione del continuum.
Contro chi? Non ne avevo idea. Era questo il momento della grande crisi nel continuum tanto temuta da Aton e dagli altri Creatori? Per questo io ero lì, con la memoria intatta?
Considerazioni che portarono con sé un altro interrogativo. Quanti dei miei ricordi avevo conservato? Impossibile dirlo. Come capirlo, se non si ricordano una vita o due? Sentivo la risata beffarda di Aton echeggiarmi nella mente. Sembrava dire che io ricordavo ciò che lui mi consentiva di ricordare. Niente di più. Ero la sua creatura, destinata attraverso tutte le vite del continuum a eseguire i suoi ordini.
— ORION SUL PONTE DI COMANDO. —L’ordine risuonò dagli altoparlanti dell’interfono. —A PASSO DI CORSA.
Le mie truppe mi lanciarono una rapida occhiata. Dalla disinvoltura con cui maneggiavano tute e armi, capii che, a dispetto della giovane età, erano veterani.
Mi diressi verso il ponte senza esitare, districandomi con facilità nel labirinto di corridoi dell’immensa nave come se ne conoscessi ogni segreto. Facevamo parte di una flotta d’invasione e il nostro avvicinamento al pianeta-obiettivo non stava avvenendo senza opposizione. C’era una battaglia in corso, tra la nostra flotta e i difensori del pianeta.
A ogni portello, dotato di doppie porte, c’era una sentinella, un rettile con le insegne dipinte sulle scaglie e un pugnale fermato con una fibbia intorno al busto. Ogni volta rabbrividivo, ricordando Set e i suoi servi e come avessero cercato di impadronirsi della Terra. Ogni sentinella scattava sull’attenti al mio passaggio e salutava con la mano munita di tre artigli.
Avevano una sola cosa in comune con la specie di Set: la taglia indicava l’età, e l’età il grado. Più erano alti, più erano vecchi e di grado elevato. Mi chiesi che cosa ne fosse dei rettili che, invecchiando, non venivano promossi.
Il ponte di comando era piccolo e angusto, stranamente tranquillo. Alle consolle dei comandi, solo rettili. Il comandante della nave stava al centro, e naturalmente era il più alto. Tutti erano impegnati a incamerare dati attraverso le prese a jack collegate alle tempie, gli occhi protetti da lenti ad ampio spettro in grado di mostrare qualunque cosa venisse intercettata dai detector.
Io, però, non vedevo altro che rettili con gli artigli premuti sulle tastiere incassate nei braccioli delle loro poltrone. Non c’erano schermi per occhi umani, solo paratie di metallo e consolle coperte di quadranti e indicatori di cui ignoravo l’uso e la funzione. Il caldo era insopportabile e l’aria satura di un odore acre di bruciato; sembrava di essere nel deserto sotto il sole cocente del mezzogiorno.
All’improvviso, un bagliore accecante esplose su un lato del ponte, penetrando le paratie come un raggio laser. Volli dare l’allarme, ma nessun suono mi scaturì dalle labbra. La luce crebbe di intensità, cominciò a espandersi. Gli scudi della nave erano stati certamente colpiti; di lì a pochissimo la nave sarebbe esplosa nel vuoto interstellare.
I rettili non si erano accorti di niente. Seguivano la battaglia. La luce diventò dorata, abbacinante, ma non riuscivo a distogliere lo sguardo. Già le lacrime cominciavano ad appannarmi gli occhi, quando il suo fulgore scemò lievemente e assunse le sembianze umane di Aton, il Radioso.
— Lacrime di gioia, Orion, nel rivedere il tuo creatore? —disse beffardo.
Appariva assolutamente magnifico, lì in mezzo al ponte innaturalmente silenzioso. Portava una splendida uniforme candida con il collo a listino, fregi dorati e un sole raggiato sul petto. La sua folta massa di capelli color oro risplendeva. Sul volto di una bellezza crudele aleggiava un gelido sorriso.
— O forse mal sopporti di non poter seguire le sorti della battaglia?
Di colpo, nella mia mente si materializzò un pianeta vicino, e dozzine di navi spaziali che sciamavano nella sua direzione. La flotta difensiva le bersagliava di raggi laser e missili, e ne vidi tre esplodere silenziose, fiori color porpora contro l’oceano intensamente blu del pianeta.
— La battaglia procede bene —osservò il Radioso.
La nave fu scossa da un’altra esplosione che per poco non mi fece cadere.
— Lo vedo —replicai secco.
Aton inarcò un sopracciglio dorato. —Umorismo, Orion? Ironia? La mia creatura sta ampliando il suo repertorio.
— Dov’è Anya? —chiesi.
La sua espressione si fece pensosa. —Lontano da qui.