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— Di notte dormono —commentò con disprezzo, mentre attraversavamo il campo, dove l’attività ferveva come in qualsiasi suo corrispondente umano. —Non saranno contenti di essere svegliati.

Ma non sembrava preoccupata. Neanche un po’. Gli uomini occupavano un complesso separato dal resto della base da un rete d’energia. Due sentinelle scattarono sull’attenti al nostro arrivo, La mia accompagnatrice ordinò alla scorta di restare lì. —In caso di bisogno vi chiamerò.

All’interno, tutto era tranquillo. Gran parte delle costruzioni erano immerse nel buio, ma la luce filtrava dalle vetrate di un edificio lungo e basso.

— Gli umani mangiano insieme —mormorò l’ufficiale. —Mangiano piante e composti di carboidrati prodotti da macchine. —Il suo tono era decisamente disgustato.

Fui tentato di dirle che alcuni umani cacciavano per procurarsi il cibo, ma mi trattenni.

Senza bussare, aprì la porta della sala mensa ed entrò. Le tavole del pavimento cigolarono sotto il suo peso. La seguii.

Ventidue persone, tra uomini e donne, tutti vestiti con tute malconce, smisero di mangiare e si voltarono a guardarci, le posate a mezz’aria e gli occhi sgranati per la sorpresa.

La Skorpis mi afferrò per la nuca con tale impeto da sollevarmi quasi da terra.

— Questo qui sostiene di appartenere al vostro gruppo —esordì con voce tonante che fece tremare i vetri. —È vero?

Un tizio barbuto, seduto a capotavola, deglutì prima di rispondere: —Certo, fa parte del nostro gruppo. —Ma la sua voce tradiva la sorpresa.

L’ufficiale mollò la presa. —Quando è arrivato? E come?

Prima che qualcuno potesse raccontare una storia diversa dalla mia, intervenni: —Alcuni giorni fa, con il volo di cui ho già detto. —Speravo con tutto me stesso che nessuno mi smentisse.

— Non sono stata informata di nessun volo speciale.

— La nave si è fermata pochissimo —spiegò l’uomo con la barba.

— Forse lei non si trovava alla base —azzardò una delle donne con fare esitante.

— Posso controllare tutti i voli in arrivo sul nostro computer —ribatté la Skorpis. —Se quest’uomo mente, morirà. E se vi renderete suoi complici, morirete con lui.

L’uomo barbuto balzò in piedi. —Non potete minacciarci in questo modo. Siamo stati mandati qui dall’alto comando dell’Egemonia. Il nostro lavoro è troppo importante per l’andamento della guerra perché i guerrieri Skorpis possano permettersi di angariarci.

La reazione fu un soffio carico d’ira. Poi, con calma glaciale, l’ufficiale disse: —L’Egemonia vuole che vi proteggiamo. Se questo umano è una spia o un sabotatore, dev’essere trattato come tale. Aiutandolo, vi metterete contro l’Egemonia e dovrete subirne le conseguenze.

— Lasciate che siamo noi a occuparci di lui —replicò l’altro. —Non rappresenta una minaccia per nessuno.

— Garantisci per lui? È uno scienziato come te?

L’uomo cominciò ad annuire, ma prima che potesse parlare una delle donne sedute a tavola esplose: —Non lo abbiamo mai visto prima d’ora! Non sappiamo chi sia.

— Randa!

— Non serve a niente, Delos —lo rintuzzò lei. —Il nostro obiettivo è troppo importante per consentire a una spia di mandare tutto all’aria!

— Dunque è davvero una spia? —tuonò l’ufficiale.

— Nessuno di noi lo ha mai visto prima! —gridò Randa. —Portatelo via. Apritegli il cervello e scoprite chi è e perché si trova qui!

10

Calò il silenzio. Sui volti di tutti si leggevano choc, paura, sconcerto. Persino la mia feroce carceriera si irrigidì, sorpresa non meno degli altri dall’esplosione di Randa.

E in quel breve momento agii. Se non lo avessi fatto, sarei morto… E non avevo alcuna intenzione di morire.

Con una mossa fulminea, assestai un violento calcio al mento della Skorpis, che barcollò e cadde all’indietro. Prima che potesse risollevarsi, saltai sul tavolo, e tra le urla atterrite degli umani mi catapultai verso una delle finestre, fracassandone il vetro. Le grida dell’ufficiale, simili ai ruggiti di una leonessa in calore, mi seguirono mentre correvo verso la rete d’energia.

Era alta oltre due metri ma, si sa, la paura fa miracoli. Mentre correvo fra le tende e i fabbricati, sentivo alle mie spalle grida eccitate. Il campo brulicava di enormi Skorpis intenti ai lavori più disparati. Sembrarono più sorpresi che allarmati dalla mia corsa disperata verso il mare.

Sapevo che l’ufficiale avrebbe ordinato via radio di fermarmi, e già vedevo sciami di guerrieri uscire dalle baracche allestite in fondo ai due moli gemelli. Altre urla, poi una rossa freccia di energia mi sfiorò sibilando l’orecchio. Un colpo d’avvertimento. Non mi volevano morto, dunque, ma vivo e vegeto per potermi interrogare, ma per fermarmi non avrebbero certamente esitato a ferirmi alle gambe.

Saettai dietro un prefabbricato, poi spiccai nuovamente la corsa in direzione della spiaggia. I moli brulicavano di sentinelle, ma se fossi riuscito a tuffarmi, ragionai, avrei potuto attendere qualche minuto e quindi tornare a nuoto là dove avevo lasciato armi e volazaino. Sempre che gli Skorpis non mi acciuffassero prima.

Sbucando da dietro l’angolo di un’altra costruzione, mi trovai di fronte a una squadra di sei Skorpis, armati fino ai denti e dall’espressione minacciosa. Non detti loro il tempo di sparare: afferrai un macigno e lo lanciai con forza verso di loro. L’adrenalina mi scorreva rapida nelle vene. Crollarono a terra. Li vidi tentare di rimettersi in piedi aggrappandosi l’uno all’altro, e li udii imprecare. Strappai il fucile dalle mani di uno di loro, e cominciai a sparare all’impazzata, piroettando su me stesso.

Non avevo il tempo di verificare quanti ne avessi uccisi o feriti. Ripresi la mia fuga verso la spiaggia. Un’altra squadra stava convergendo su di me da sinistra. Dovevo arrivare all’acqua prima che mi vedessero.

Troppo tardi. Al buio ci vedevano molto meglio di me, e parecchi colpi mi sfiorarono le gambe e andarono a conficcarsi a terra, sollevando nubi di polvere. Quando mi fermai, la sparatoria cessò e i guerrieri si precipitarono verso di me.

Sparai tenendo il fucile con una mano sola, e vidi cadere i due più vicini, poi fui pronto a gettarmi a terra, per schivare i colpi dei loro compagni.

Non potevo indugiare ancora. Ancora pochi minuti, e avrei avuto addosso tutti gli Skorpis della base. Non avevo scelta. Saltai in piedi e, sparando come un forsennato in tutte le direzioni, corsi a perdifiato verso il mare.

Avevo percorso solo pochi metri quando un raggio laser mi trapassò l’anca. Feci pressione sui vasi sanguigni per chiudere i circuiti del dolore e continuai a correre.

Fu il secondo colpo a farmi cadere. Ero stato ferito a una gamba. Puntellandomi sulla canna del fucile, mi risollevai da terra, disperatamente proteso verso il mare, e la salvezza, mentre un nutrito gruppo di Skorpis correva verso di me.

— Vivo! —sentii che gridava uno di loro. —Prendetelo vivo!

Era la mia unica speranza. Riuscii ad abbatterne due, ma ormai parecchi raggi mi avevano raggiunto alle gambe e al petto. Ormai non si preoccupavano più di risparmiarmi: avevo ucciso troppi dei loro.

Mi tuffai che ancora sparavo e altri colpi mi raggiunsero. A dispetto del rigido autocontrollo che mi imponevo, il dolore alle gambe era insopportabile. Un raggio mi attraversò la spalla, costringendomi a mollare il fucile.

Il mondo girava vorticoso intorno a me. Le onde frustavano le mie gambe sanguinanti, e altri raggi mi passavano sibilando sopra la testa. Gli Skorpis sparavano per uccidere.

Scivolai in acqua. Era fredda e il sale bruciava nelle ferite. Come un granchio, cercai rifugio sul fondo. Non c’era un solo centimetro della mia pelle che non fosse ustionato, e a dispetto del controllo che esercitavo sui segnali di dolore, sapevo di essere allo stremo. Avevo le gambe fuori uso, un braccio bruciato fino all’osso e un ampio squarcio nel petto.