— E c’è un flusso, un flusso ben definito. L’arco di tempo esiste. L’entropia esiste. Anche se possiamo spostarci avanti e indietro nell’oceano dello spazio-tempo, non ci è possibile ignorare l’entropia. Il continuum tende a dipanarsi un poco ogniqualvolta ci muoviamo attraverso lo spazio-tempo. Più è esteso lo spostamento, maggiore è lo scompiglio.
— Ma che cosa ha a vedere tutto questo con il vostro aspetto?
— L’arco del tempo. Ci sono tempi antecedenti e tempi posteriori. C’è un punto nello spazio-tempo in cui il vostro pianeta Terra è spoglio e senza vita. E un altro in cui la razza umana viene…
— Creata dai Creatori e mandata a distruggere i neanderthaliani perché fossero le loro creature ad abitarla.
— Che a loro volta, attraverso i millenni, si evolvono fino a diventare Creatori.
— Sì. Essi ci hanno creato e noi abbiamo creato loro.
— C’è un momento nell’evoluzione della nostra razza —proseguì la voce —in cui eravamo privi di intelligenza, esseri più semplici che vivevano nel mare del nostro mondo d’origine.
— Che non è Lunga, dunque.
— Oh, no, niente affatto.
— Qual è, allora?
Avvertii una certa esitazione. —Ha importanza? Basti dire che una volta eravamo esseri ben più semplici di quelli che siamo ora.
— Esseri semplici —ripetei, con la sensazione di stare cominciando a capire. —Muniti di tentacoli?
— Sì.
— E chele capaci di squarciare una tuta spaziale?
— Credi di essere pronto a vederci?
Pensai alle mostruose creature della palude, alla loro stretta mortale, ai molti piccoli occhi. Trassi un lungo sospiro e risposi con voce incerta. —Sono pronto.
— Molto bene.
Il mare intorno a me si illuminò e io mi scoprii attorniato da dozzine di creature orribili a vedersi. Enormi, erano simili a gigantesche meduse, con lunghi tentacoli e bocche rotonde prive di labbra che si aprivano e si chiudevano senza posa. Le guardai avvicinarsi sempre di più, e il panico mi afferrò alla gola. Quei mostri immani, straripanti, avanzavano sempre di più, e allungavano i loro tentacoli e facevano pulsare le loro bocche…
— Sei in grado di superare le tue paure, Orion?
Volevo gridare. Quelle bocche enormi, aperte, come sul punto di divorarmi, quei tentacoli protesi ad afferrarmi… stavo per soffocare.
— Riesci a vedere oltre il terrore, Orion? A guardarci per ciò che realmente siamo?
Avevo chiuso gli occhi, e premevo le mani strette a pugno contro le tempie. “Ti hanno salvato!” gridai a me stesso. “Stanno curando le tue ferite. Sono esseri intelligenti. Vai oltre le apparenze. Guardali come loro si vedono.”
Tremando di paura, mi costrinsi a riaprire gli occhi. Stavano chini su di me, enormi, incombenti. Trassi un lungo sospiro tremulo. Le creature si erano fermate, e ora fluttuavano silenziose nell’acqua. Erano talmente grandi da riempire tutto il mio campo visivo. Non c’era modo di sfuggirle. Lottai contro il panico che sentivo crescere dentro di me, per controllare il battito impazzito del mio cuore e il respiro affannoso.
Le guardai a lungo. Piccole luci tremolavano all’interno dei loro corpi, miriadi di colori che splendevano e ondeggiavano ritmicamente al di sotto della pelle trasparente. Avevano dignità e compostezza, riconobbi infine con riluttanza. E sì, anche una certa bellezza, e il loro fluttuare era infinitamente aggraziato. Se solo avessi potuto dimenticare quelle enormi bocche protese.
Anche le creature mi osservavano, con i due grandi occhi pieni di solennità di cui ognuna era munita, fissi su di me.
— Siete… siete belli —riuscii a dire con voce strozzata.
— Siamo felici che lo pensi. Dopo l’esperienza nella palude, temevamo che fossi prevenuto nei nostri confronti. La xenofobia è uno dei tratti più marcati della vostra razza.
— Siamo stati creati per essere guerrieri —spiegai. —È più facile uccidere un nemico che ti ispira paura.
— Eppure, i delfini hanno garantito per te.
— I delfini? —biascicai. —Sono qui?
— Non in questa era —rispose la voce.
Compresi allora che gli Antichi potevano viaggiare attraverso il tempo non diversamente dai Creatori. E da come io stesso avevo fatto.
— La prima volta che ci siamo messi in contatto con te —continuò la voce —abbiamo percepito soltanto un guerriero determinato a uccidere i suoi nemici. Ma i delfini ci hanno detto che eri un loro buon amico, e per questo abbiamo voluto fare un ulteriore tentativo.
Era quella degli Antichi, dunque, la presenza che avevo avvertito tra le rovine della città. Ma ancora non ricordavo come fossi diventato buon amico dei delfini. Forse in un’altra era ero stato mandato in missione nell’oceano?
— Benché il tuo istinto primario sia quello del guerriero, crediamo che altri sentimenti si agitino nel tuo cuore.
— Ho una mia volontà —dichiarai —anche se il mio Creatore non mi considera che uno strumento al suo servizio.
— Questo è parte del problema che rappresenti per noi. —La voce sembrava turbata, benché non avesse perso nulla della sua dolcezza. —Studiamo la tua razza da quando siete arrivati. Voi umani siete assetati di sangue e malati di xenofobia.
— Così fummo concepiti —ammisi. —Tuttavia, alcuni di noi hanno cercato di innalzarsi al di sopra di questi istinti.
— E tu ci sei riuscito?
— Alcuni di noi sì. Ci sono umani alla base Skorpis che sono scienziati. Non sono guerrieri, né assassini.
— Perché non consideri umani gli Skorpis? —Sebbene udissi una sola voce, avevo l’impressione che a parlare fosse più di una creatura, e che quanto sentivo fosse una miscellanea di pensieri e domande individuali.
— Gli Skorpis vengono da un altro mondo —risposi. —Discendono dai felini.
— Mentre voi discendete dalle scimmie.
— Esatto —confermai.
— Che cosa ti fa credere che l’origine degli Skorpis sia diversa dalla vostra?
— Non possono… —Esitai. —Intendi dire che anche loro sono…
— Opera dei vostri Creatori? Ti riesce tanto difficile crederlo?
— Non difficile. È solo… un’interpretazione nuova. Non l’avevo mai considerata prima.
— L’universo è antico, Orion. E i tuoi Creatori si sono dati molto da fare.
— Ma se anche gli Skorpis sono un’opera dei Creatori, perché combattono contro di noi?
— Tutto ciò a cui i tuoi Creatori mettono mano degenera in violenza. Sono una calamità che si aggira fra le stelle.
— Ma voi —incalzai —chi siete? Che cosa avete a che fare con i Creatori?
— Noi siamo una razza infinitamente antica, Orion. Più vecchia dei tuoi Creatori di dieci milioni di anni. E non abbiamo alcun desiderio di avere parte nelle carneficine che la tua specie sta perpetrando.
— Perché dovreste?
— Perché i tuoi simili ci hanno scoperti. Hanno tentato di stabilire un contatto con noi. Ci vogliono come alleati contro i loro nemici.
— Io non so neppure chi siano i nostri nemici.
— Altri umani, naturalmente. E razze che presentano livelli analoghi di evoluzione, come gli Skorpis e i Tsihn.
Ero confuso, quasi sbigottito da quanto stavo apprendendo. Gli Antichi avvertirono il mio turbamento.
— Non lasciarti vincere dall’ansietà, Orion. Ti spiegheremo ogni cosa, in modo che tu possa capire.
“Perché?” mi chiesi. “Che cosa vogliono da me?” Come in risposta ai miei silenziosi interrogativi, la voce disse: —Tu sarai il nostro ambasciatore, Orion. Ti affideremo un messaggio da riferire ai tuoi Creatori.
12
La città degli Antichi, inabissata nelle profondità dell’oceano, era un luogo incantato. Definirla “città” era improprio, perché gli Antichi non avevano bisogno di palazzi o edifici di sorta. Ma si radunavano sul fondo del mare, in aggregazioni di luci e arabeschi di colori, e si scambiavano opinioni come vecchi e saggi filosofi. Aristotele sarebbe stato felice lì, e Platone vi avrebbe certamente fondato la sua Repubblica.