Per innumerevoli giorni, vagai per la città, protetto da una sfera invisibile piena d’aria. Non bevevo né mangiavo, eppure non avvertivo lo stimolo della fame, né della sete. Le mie ferite guarirono completamente, e intanto apprendevo tutto sugli Antichi, sulle loro origini e la loro storia, il loro posto nel continuum, i rapporti con i miei Creatori e la guerra che imperversava in quella regione della galassia.
Gli Antichi si erano evoluti da invertebrati simili a piovre che abitavano i mari del loro pianeta d’origine. Per una razza legata alla terra qual è la nostra il primo gradino dell’evoluzione sta nella capacità di produrre forme di energie diverse da quella muscolare. Per noi, quella prima fonte di energia fu il fuoco. E dal momento che il fuoco non può vivere sott’acqua, tendiamo a scartare l’ipotesi che esistano creature intelligenti nel mare. Persino i delfini non avrebbero mai raggiunto un livello intellettivo di una certa portata, se gli scienziati non avessero provveduto ad aumentare la loro massa cerebrale.
Gli Antichi erano dotati di organi prensili: dieci tentacoli che funzionavano esattamente come le mani umane. Avevano un cervello ben sviluppato e organi sensoriali estremamente raffinati. Invece del fuoco, avevano sfruttato le abbondanti fonti di energia scoperte in numerose specie di pesci e alghe. Mentre gli uomini costruivano strumenti e sviluppavano la tecnologia, gli Antichi studiavano la biologia e inglobavano le forme viventi di cui avevano bisogno in un’esistenza simbiotica all’interno dei loro corpi.
Studiavano il mondo intorno a loro. Nel corso dei millenni, avevano elaborato un corpus di conoscenze straordinario sul mare e sulla terra, persino sul sole e sulle stelle. Molto tempo prima che i dinosauri comparissero sulla Terra nel Mesozoico, gli Antichi avevano scoperto le energie dello spazio-tempo e imparato a spostarsi attraverso il continuum.
Quando sulla Terra le scimmie cominciarono a evolversi nei primi ominidi, gli Antichi avevano già esplorato la galassia. Quando Aton e gli altri Creatori decisero di creare strumenti umani e mandarli a massacrare i neanderthaliani, nell’Era Glaciale, gli Antichi restarono in disparte, accontentandosi di contemplare l’universo senza manometterlo.
Mentre noi umani, spinti dai nostri Creatori, interferivamo continuamente nel flusso dello spazio-tempo, cercando di alterare il continuum per adattarlo ai nostri bisogni e desideri, gli Antichi si erano rifugiati nel loro oceano e nei loro pensieri. Paragonati a noi, erano come una sequoia accanto a uno scoiattolo. Questo fu quanto imparai da loro.
— Amico Orion —disse la voce vellutata —è giunto per te il momento di tornare tra i tuoi simili.
L’antico che mi aveva parlato fluttuava accanto alla mia sfera, mentre percorrevamo un viale di luci blu e bianche tremolanti come lucciole. Per tutto il tempo che avevo trascorso con loro, non li avevo mai sentiti chiamarsi per nome. A quanto pare, per loro non era indispensabile. Riuscivo a distinguerli dalla diversa colorazione e dal suono della voce, anche se non capivo come facessero a emettere suoni.
— Ora sai chi e che cosa siamo —concluse il mio compagno e maestro. —Ti prego di dire ai tuoi Creatori che ci rifiutiamo di essere coinvolti nei loro massacri. Il nostro unico desiderio è vivere in pace.
— E se una delle nostre fazioni in guerra cercasse di obbligarvi a schierarvi dalla sua parte?
— Nessuno può forzarci, Orion. Siamo liberi di non ascoltarli. E se cercheranno di usare le armi contro di noi, queste non funzioneranno. Noi non minacciamo nessuno, ma neppure permetteremo che le nostre conoscenze e la nostra forza vengano usate a fini bellici.
Capii al volo il messaggio.
— Accetterete di conoscerci, di scambiare opinioni con noi, se porremo fine alla guerra?
Avvertii una sottile ironia nella sua voce, quando rispose. —Forse, Orion. Tra un milione di anni, o giù di lì, forse sarete pronti a comunicare con noi.
Mi scoprii a sorridere. —Attenderò con impazienza quel momento.
— Buona fortuna, ambasciatore Orion.
Mi ritrovai disteso sulla spiaggia, vicino alle rovine dell’antica città, dove avevo lasciato i miei soldati. Quanto tempo prima? Non ne avevo idea, ma a giudicare dalla posizione del sole era circa mezzogiorno.
Balzai in piedi e a passo rapido puntai in direzione delle rovine. Pochi minuti dopo, da dietro un muro semidemolito qualcuno chiamo: —Capitano? È lei?
— Sono io.
Il soldato fece capolino al di là del muro: era Jerron, il più basso della squadra. Lo vidi guardarsi alle spalle e fare un rapido movimento con le mani. Non era armato.
Stavo per domandargliene la ragione, quando al suo fianco comparvero quattro Skorpis, i fucili puntati contro di me.
— Si arrenda o spareranno.
La protezione più vicina era proprio il muretto su cui i quattro stavano in piedi. Ero disarmato, con addosso solo un paio di calzoncini e neppure un riparo degno di questo nome. Dovevo arrendermi.
— Sono arrivati la seconda notte dopo la sua partenza —mi raccontò Jerron mentre ci dirigevamo verso la base. —Sono sbucati tra le rovine improvvisamente. Non abbiamo avuto neppure la possibilità di reagire.
Dunque gli Skorpis avevano scoperto che i tunnel subacquei collegavano la loro base alle rovine. Sapevano dove ci trovavamo e avevano percorso quella strada per cogliere di sorpresa i miei uomini.
— Quante perdite —mi informai subito.
— È successo tutto così di fretta che non abbiamo neanche avuto la possibilità di combattere. Ma quelli che erano di guardia sono caduti: Manfred, Klon e Wilma.
Manfred, il sergente che avevo obbligato a diventare tenente. Un vero tenente non avrebbe mai dovuto fare il servizio di guardia. Le sue vecchie abitudini gli erano costate la vita. Rammentai l’ammonimento di Frede: per un soldato non era saggio farsi degli amici. Manfred non era stato esattamente un amico per me, ma ne avvertivo la perdita come se ne fossi il colpevole.
— Sono stato lontano a lungo? —chiesi ancora. —Ho perso la cognizione del tempo.
— Quattro giorni, signore. Gli Skorpis sono arrivati la seconda notte e la aspettavano da allora.
— Così, ora ci hanno tutti in pugno.
— Deve perdonarmi, se le notizie sono tanto cattive, signore. —Jerron aveva un’espressione contrita, mentre ci sforzavamo di tenerci al passo con i nostri carcerieri.
— Non hai nulla di cui vergognarti, soldato —lo rassicurai. —Questa missione è stata un disastro sin dall’inizio.
Gli Skorpis ci fecero attraversare le postazioni del perimetro fino a uno spazio situato al centro della base, protetto da un filo spinato attraversato dalla corrente elettrica e guardato da decine e decine di Skorpis. Era indubbio che quella gente era pronta a tutto per non farci fuggire.
Il tenente Frede corse verso di noi. —Orion! Capitano! Tutto bene? —La sua espressione era sinceramente preoccupata.
— Non sono ferito —risposi.
— Da quanto avevamo sentito, gli Skorpis l’avevano colpita non so più quante volte.
— Hanno esagerato le loro capacità di tiratori —mi limitai a rispondere.
Si fece avanti il tenente Quint. —Dicono che ha ucciso mezza dozzina dei loro —osservò con una vena di ammirazione nella voce.
— Non mi sono fermato a contarli.
— Non so che cosa intendano fare di noi, ma sicuramente non sarà niente di piacevole —riprese Frede.
— Come siete stati trattati finora?