Выбрать главу

E, stranamente, la missione sembrava riuscita. Gli Antichi rifiutavano ogni forma di contatto con gli scienziati dell’Egemonia. Nuotammo nell’oceano per giorni e inviammo persino un sommergibile, ma per quanto profondamente ci immergessimo, degli Antichi nessuna traccia…

— Forse hanno lasciato il pianeta —ipotizzò Delos deluso, chino su uno dei display dell’angusto centro intercettazioni del sottomarino. Tutti gli schermi rimandavano la stessa immagine di fondali tranquilli, popolati dalla consueta fauna marina…

— Dici che avevano una città quaggiù? —mi chiese Randa. A bordo lo spazio era talmente scarso che vivevamo pressati come sardine. Sentivo il profumo dei suoi capelli e un odore muschiato di sudore.

Annuii. —Una grande città, benché fosse più un insieme di luci che un agglomerato di strutture.

— Be’, non si vedono né luci né strutture di sorta —biascicò Delos, prossimo all’esasperazione.

— Forse qualcosa blocca i sensori —azzardai. —Li scherma.

Uscii anch’io con un gruppo di sub, ma non trovammo nulla. Era come se gli Antichi non fossero mai stati lì. E tuttavia avevo la netta sensazione che si trovassero nelle vicinanze a osservarci, probabilmente divertiti dalla nostra frustrazione.

L’unica cosa utile che riuscii a fare in quello sconfortante periodo fu garantire una sistemazione migliore per i miei soldati. Mi rifiutai di dormire negli alloggi della comunità scientifica, sostenendo che, come soldato, dovevo ricevere lo stesso trattamento riservato agli altri prigionieri. E ogni volta che venivo condotto dal comandante della base, le chiedevo di fornire di un tetto il nostro recinto.

E una mattina, proprio mentre con la scorta mi apprestavo a lasciarlo per raggiungere gli alloggi degli scienziati, un veicolo si fermò davanti al cancello, carico di teli di plastica e pioli.

— Vi costruirete voi stessi un riparo —disse il sergente alla guida del mezzo. —Non avete bisogno di utensili, potete mettervi subito al lavoro.

Al mio ritorno, quella sera, era stata allestita una tenda del tutto simile alle altre sparse per l’accampamento. Dentro, c’erano anche i letti.

— Ora avremmo bisogno di qualche tramezzo —mi disse Frede in tono semiserio. —Per avere un minimo di privacy.

Ero sospreso dall’adattabilità dimostrata dai miei soldati. Avevano dormito sulla nuda terra nutrendosi una sola volta al giorno e ancora riuscivano a sentirsi riconoscenti di essere vivi.

— Ora dobbiamo fuggire —replicai in un sussurro. —Prima che ci schiaffino nella loro dispensa.

Mi guardò senza capire.

— Per gli Skorpis, i prigionieri sono solo una riserva alimentare. L’unico motivo per cui non siamo stati ancora ibernati è che gli scienziati vogliono la mia collaborazione, e in cambio io ho preteso che voi foste risparmiati.

— Ma fino a quando lavorerai con loro…

Dovevo dirglielo. —Non credo che durerà ancora a lungo. Presto concluderanno che i loro sforzi sono inutili e che non riusciranno mai a mettersi in contatto con gli Antichi.

— In questo caso, dobbiamo andarcene al più presto.

— Proprio così. Ma come?

Non era un problema di facile soluzione. Eravamo quarantanove, disarmati e sotto costante sorveglianza, nel bel mezzo di un campo che ospitava almeno un migliaio di Skorpis. Per giorni e notti mi spremetti il cervello, senza riuscire a mettere a punto un piano di fuga accettabile.

Fino a che una notte ebbi una folgorazione. Non dovevamo fuggire, bensì essere tratti in salvo.

Con indosso il solito paio di calzoncini, giacevo sdraiato sul pavimento di plastica della nostra prigione; Frede, accanto a me, guardava il soffitto. Chiusi gli occhi e in silenzio invocai Aton.

Nessuna risposta. Né ci avevo sperato, non così in fretta. Chiamai a raccolta volontà e ricordi, e ancora una volta mi trasportai nella città vuota dei Creatori. Ero di nuovo sulla collina che dominava la città e il mare, e il sole era caldo.

Per coloro che sanno manipolare lo spazio-tempo, trovarsi in un certo luogo per un breve istante o un millennio ha poca importanza. In qualunque momento, possono tornare al luogo e al tempo da cui si sono allontanati.

— Posso aspettare —gridai al cielo azzurro punteggiato di nubi. —Posso aspettare a lungo quanto te.

Ma l’attesa non fu lunga. Quasi immediatamente, una sfera argentea apparve davanti a me, e il suo chiarore era così abbacinante che non riuscivo a guardarla. Ma era una luminosità che non irradiava calore. Lentamente, la sfera si coagulò e assunse le sembianze di un uomo. Era il Creatore che io chiamavo Hermes: magro, scuro di capelli, e un’espressione di incredulità negli occhi color ebano.

— Orion, la tua interferenza nel continuum è più fastidiosa di un mal di denti.

— Che ne sai tu, del mal di denti? —ribattei.

Lui sogghignò. —Che cosa succede? Che cosa ti porta qui carico di impazienza?

— Sei coinvolto anche tu in questa guerra interstellare?

— Naturalmente. Come tutti.

— E da quale parte sei schierato?

Parve imbarazzato. —Fa differenza per te?

— Puoi condurmi da Anya?

Rifletté un istante, poi scosse il capo. —È meglio di no, Orion. Lei porta sulle spalle il peso del nostro futuro. Non sarebbe felice di vedere te o me.

— Dunque servi il Radioso.

— Io non sono servo nessuno. Ma sì, ho fatto la mia parte a fianco di Aton.

— In questo caso, digli che deve portare in salvo i miei uomini prigionieri nella base Skorpis su Lunga.

— “Deve”, Orion?

— Se vuole assicurarsi i miei servizi in futuro —replicai.

Hermes mi fissò allibito. —Vuoi proporre un patto al tuo Creatore?

Gli sorrisi. —No. Lo farai “tu” per me. Io devo tornare dai miei soldati.

Riaprii gli occhi nella prigione della base; Frede dormiva profondamente al mio fianco.

Il tentativo di salvataggio, quando si verificò, fu effettuato con la stessa approssimazione che aveva caratterizzato tutta la nostra missione su Lunga.

Era il primo pomeriggio. Io ero a bordo del sommergibile con nove degli scienziati, fra cui Delos… lui non mancava mai… e Randa, che continuava a manifestarmi la sua ostilità.

Il guerriero Skorpis che ci accompagnava era talmente imponente che riempiva quasi tutto lo spazio riservato all’equipaggio. Gli umani si sentivano sempre dei nani in mezzo alle attrezzature e agli arredi degli Skorpis, ma quel guerriero era ridicolo fino al grottesco, con gli auricolari. La cuffia era stata progettata per orecchie e dimensioni umane, ma in qualche modo lui era riuscito a infilare gli auricolari nelle sue enormi orecchie passandosi sulla testa un pezzo di nastro adesivo. Non sarebbe stato gradevole, quando lo avesse strappato via. Pallide cicatrici di precedenti auricolari si intravedevano tra la peluria verdastra.

— Si rientra alla base —biascicò a un certo punto.

Delos, chino sui dispay dei sensori, si sollevò con tanto impeto che urtò la testa contro il basso soffitto. —Rientriamo già? Perché?

— Ordini —fu la laconica risposta dell’altro.

Strofinandosi la testa dolorante, Delos allungò una mano verso la consolle della ricetrasmittente. —Passami l’altra cuffia —disse.

Il guerriero obbedì. Delos si infilò la cuffia. Gli stavo vicino, e potei sentire quanto stava dicendo l’operatore dall’altra parte.

— Flotta nemica in avvicinamento. Rientrate immediatamente alla base.

“La missione di salvataggio” pensai con il cuore in gola.