— Ma se si prepara una battaglia, saremo più al sicuro qui, in fondo al mare.
— Gli ordini sono di tornare alla base. Immediatamente.
Delos avrebbe voluto discutere, ma il guerriero che era alla consolle aveva già premuto le sue enormi dita sulla tastiera che attivava i comandi automatici. Il viaggio di ritorno era già cominciato.
E il Radioso stava arrivando a salvare i miei soldati.
Emergemmo in superficie a circa un chilometro dalla spiaggia e puntammo verso il molo. Mentre uscivo, guardai subito in direzione della base, ma era tutto tranquillo. Il cielo era limpido e sereno. Ma nell’aria si respirava una strana atmosfera di aspettativa che fu percepita da tutti, quando gli scienziati rimasti alla base corsero verso il sommergibile per aiutarci ad attraccare.
Ci precipitammo verso gli alloggi degli scienziati, scortati da due guerrieri armati fino ai denti che al nostro arrivo si erano affiancati alla nostra scorta.
— C’è un rifugio sotto l’edificio principale —ansimò Delos. —A me sembrava una sciocchezza, ma gli Skorpis hanno insistito per costruirlo. È schermato e tutto quanto.
La base era in stato d’allerta. In giro non si vedeva nessuno e tutti i lavori consueti erano stati sospesi. Ma tutte le piazzole di tiro erano occupate, e le batterie laser telecomandate erano state già puntate contro il cielo.
— Devo andare dai miei —dissi.
— Non fare lo sciocco —ribatté Delos. —Nel rifugio sarai al sicuro.
Ma io mi stavo già incamminando verso il recinto dei prigionieri. —Il mio posto è con loro —affermai.
Nessuno degli Skorpis tentò di fermarmi, nonostante Delos continuasse a gridare: —Portali tutti al rifugio, se te lo permettono.
Annuii senza fermarmi.
Il recinto era vuoto. Forse gli Skorpis avevano già trasferito i prigionieri in un luogo sicuro? Ero sorpreso, incerto.
Poi in un angolo scorsi una pila di scatole metalliche. —No! —gridai. —Non loro!
Un urlo, simile a quello di una sirena, lacerò l’aria. L’attacco era imminente.
Non ebbi bisogno di contare le scatole. Sapevo che cosa erano. Capsule crioniche. Nel corso della mattinata gli Skorpis avevano ibernato i miei soldati. La piccola gru ferma lì vicino si apprestava probabilmente a trasferire le cassette nei compartimenti alimentari quando la flotta nemica era stata avvistata.
Furente, sferrai alla parete della tenda un calcio così poderoso da farla vacillare, e in quel momento sentii una mano calarmi pesantemente sulla spalla. Mi voltai: era il capo del controspionaggio.
— Va’ nel rifugio —mi ordinò. —L’attacco sta per cominciare.
Stava ancora parlando quando un raggio laser si abbatté sullo scudo energetico che proteggeva la base. Di solito invisibile, sotto l’effetto del raggio la cupola di tramutò in una sorta di ombrello incandescente.
— Al rifugio —sibilò la Skorpis. —Subito! —Mi cinse la vita con un braccio e mi sollevò da terra con la facilità con cui avrebbe sollevato un sacchetto della spesa.
Altri raggi colpirono lo scudo e udii il crepitio delle armi Skorpis rispondere al fuoco. Il mondo tremava intorno a noi, e quando una testata nucleare colpì la base dello scudo fummo scaraventati a terra. Lo scudo assorbì gran parte dell’energia, ma la vibrazione cinetica fu simile a una scossa violenta di terremoto.
Mi rimisi in piedi. La mia compagna mi imitò con maggiore lentezza. Attraverso lo scudo, vedevo lampi di luce attraversare il cielo, come meteore. Le nostre navi, ancora in orbita, catturavano la luce del sole.
Esplosero altre testate mentre attraversavamo il campo, in mezzo a fabbricati che oscillavano pericolosamente a ogni detonazione. Lo scudo era incandescente, ormai. Ancora qualche minuto, e non sarebbe più stato in grado di assorbire energia. Un’altra esplosione ci costrinse a gettarci a terra. Polvere e fumo saturavano l’aria.
Mi passai una mano sul viso per ripulirlo dalla polvere. La Skorpis mi indicò gli alloggi degli scienziati. —Il rifugio —sussurrò.
— E tu?
— Sono di servizio. —Si alzò e mosse verso la direzione opposta, proprio nel momento in cui un altro missile colpiva lo scudo, annerendolo per un’eternità di secondi. La terra sussultò e parecchi fabbricati si sgretolarono. Una trave si staccò e si abbatté sulla schiena della Skorpis, schiacciandola sotto il suo peso.
Mi trascinai verso di lei, mentre altre esplosioni scuotevano la terra.
Era appena cosciente. La trave le aveva fracassato le costole, forse anche la spina dorsale. Chiamai a raccolta tutte le forze rimastemi, e spostai la trave. L’uniforme dell’ufficiale era impregnata di sangue dalle spalle alla vita e lei giaceva riversa, una guancia premuta nella polvere e l’altra sporca di terra e fuliggine.
Mi puntò addosso un occhio giallastro —Non hai obbedito al mio ordine —ansimò.
— Vado a cercare aiuto.
— Non verrà nessuno. Sto morendo. Va’ al rifugio, se non vuoi morire anche tu.
Chiuse gli occhi e il suo respiro si arrestò. Cercai una pulsazione sul polso, poi sulla gola. Nulla, Solo pochi giorni prima, quella cretaura sarebbe stata felice di dilaniarmi, e tuttavia ero restio a lasciarla lì, a riconoscere che non c’era niente che potessi fare per lei.
Un’altra esplosione, e la costruzione vicina a noi cominciò a vibrare. Balzai in piedi e mi allontanai di corsa. Quando mi voltai a guardare, la vidi spaccarsi in due e sgretolarsi sul corpo già martoriato dell’ufficiale.
Per un momento persi il senso dell’orientamento. Mi fermai, sforzandomi di vedere attraverso la polvere che mi turbinava intorno: ormai le esplosioni si susseguivano a ritmo incessante, lo schermo di energia crepitava e sibilava come un televisore difettoso.
Là! I fabbricati che ospitavano la comunità degli scienziati erano ancora in piedi, benché la recinzione elettrica sembrasse fuori uso. Evidentemente gli Skorpis avevano convogliato nello schermo tutta l’energia della base. “Finirà con il sovraccaricarsi e andare in corto” pensai. A quel punto, i nemici avrebbero potuto accanirsi a loro piacimento su di noi.
Ma a che cosa sarebbe servito? mi chiesi mentre entravo nell’edificio principale. La flotta era stata inviata per trarci in salvo, non per annientarci.
O così pensavo io.
Dov’era quel maledetto rifugio? Da qualche parte doveva esserci un porta, ma la polvere e il fumo nascondevano ogni cosa. Un’ennesima esplosione scosse l’edificio e io caddi sulle ginocchia.
— Dove siete? —gridai con quanta forza avevo. —Sono io, Orion!
Nel pavimento si aprì una botola. —Qui sotto —gridò una voce. —Presto!
Mi precipitai in quella direzione, e mi ero appena calato nell’apertura quando una luce verdastra riempì la stanza e un senso di vertigine nauseante, fortissimo, mi travolse.
Poi tutto si fece buio.
15
Quando ripresi i sensi, ero sospeso in aria, circa tre metri sopra il capannello di scienziati, che mi guardavano con la testa rovesciata all’indietro.
Atterrai tra loro con un tonfo, mandandone parecchi a cadere sulle lastre metalliche del pavimento. Mi bastò un’occhiata per capire che non ci trovavamo più nella base Skorpis.
— Che cosa è successo? —mi domandò qualcuno.
— Dove siamo?
— Trasportatore di materia —rispose Delos. Era seduto accanto a me e si massaggiava il collo con le mani. Era uno di quelli che avevo travolto nella caduta.
— Siamo a bordo di una delle navi della flotta, allora.
— Così sembrerebbe.
E davvero tutto lo dava a pensare. La sala in cui ci trovavamo, realizzata interamente in metallo, era perfettamente anonima, tranne che per una vetrata di osservazione posta in alto su una parete, e i contorni di un portello in quella di fronte. Percepii le vibrazioni di un motore appena acceso.