— Questa è la navetta di ricognizione della Blood Hunter —disse. —E tu sei l’umanoide di nome Orion.
— Esatto.
— Bene. Subito dopo averti agganciato alla nave, lasceremo questo settore. Un velivolo dell’Egemonia potrebbe intercettarci.
Restai a bordo, mentre una squadra di emergenza Tsihn provvedeva ad agganciare i due mezzi. A operazioni ultimate, la nave accelerò e ben presto superò la velocità della luce.
Il comandante dei Tsihn non mi invitò a bordo. Sembrava che non volesse avere nulla a che fare con me. Aveva avuto ordine di inoltrarsi nel settore in cui avevo lasciato la Blood Hunter, trovarmi e condurmi alla base Tsihn più vicina. Non era tenuto a mostrarsi ospitale, neppure civile.
La base Tsihn non era un pianeta, ma una enorme stazione mobile distante un centinaio di anni luce dalla regione di Lunga. Sospesa nel vuoto dello spazio interstellare, era circondata da un anello di gas e polvere, acceso di rosso e di blu enfatizzati da un grappolo di neonate stelle azzurre, lontane pochi anni luce.
La stazione conteneva un’area destinata agli umani, e lì fui condotto da una scorta di Tsihn, senza sapere se mi aspettava una medaglia o la condanna a morte.
Nessuna delle due. Il capo-area era un vecchio generale ingrigito di nome Uxley, con protesi alle gambe e un’espressione di costante ottundimento sul viso flaccido. Le sentinelle Tsihn lasciarono il suo ufficio senza una parola e senza fare il saluto. Io rimasi davanti alla scrivania, sull’attenti.
— Prenderai il comando di un battaglione, Orion —esordì il generale Uxley, senza tanti preamboli. —E non chiedermi perché. Qualcuno nelle alte sfere deve avere una sconfinata fiducia in te, oppure vuole vederti morto. O, forse, entrambe le cose.
Era evidente che non era entusiasta di me. Non avevo un grado e neppure uno stato di servizio. Per lui, ero solo il protetto di qualche alto ufficiale o di un politico, senza una nessuna autentica esperienza militare. E aveva ragione, più di quanto credesse.
— C’è un pezzetto di roccia, Bititu —riprese, mostrandomi un asteroide nerastro sullo schermo a parete. —Nessuno dei capintesta si è preso la briga di spiegarmi qual è il suo valore strategico, ma tu e tuoi soldati dovete impadronirvene. E in fretta, perdipiù.
— Signore —dissi ancora sull’attenti —vorrei che i sopravvissuti alla missione su Lunga facessero parte del mio battaglione.
Lui mi fissò con gli occhi iniettati di sangue. —Perché?
— Perché li conosco, signore, e loro conoscono me. Lavoriamo bene insieme.
— Davvero? —Per qualche istante Uxley tenne lo sguardo abbassato sul display incassato nella sua scrivania. Non potevo vedere ciò che stava guardando, ma dai riflessi luminosi che giocavano sul suo viso avrei giurato che stesse esaminando un numero considerevole di dati.
Alla fine sollevò il mento. —Li hai tirati fuori da una base Skorpis? Da solo?
— Ho negoziato per la loro liberazione, signore. Di colpo si ammorbidì. Abbandonandosi contro lo schienale della poltrona imbottita, mi puntò contro un dito fermo come la roccia. —Tu non fai parte di un esercito regolare, giusto?
— No, signore.
— Tuttavia, sei tornato alla base degli Skorpis per riavere i tuoi uomini.
Non risposi.
— Bene, li avrai con te. Li accorperò al tuo battaglione. Il sergente che aspetta fuori ti mostrerà la tua stanza. Ti consiglio di studiare a fondo Bititu e le difese dell’Egemonia.
— Sissignore. —Salutai e lasciai l’ufficio.
Andai dritto al centro crionico dove i miei soldati venivano riportati in vita. Era uno stanzone enorme, molto simile a quello in cui io stesso mi ero risvegliato in quest’era. Gli ufficiali medici avevano estratto dalle casse metalliche le capsule contenenti i corpi dei soldati e le avevano deposte a terra, collegate tramite sottili cavi ai comandi ambientali e al computer. Frede era in una di quelle capsule, e così Quint, Jerron e tutti gli altri.
— Non si risveglieranno prima di sei ore, almeno —mi spiegò l’ufficiale di servizio. La sua voce rimbombò contro le pareti metalliche della sala.
— Così tanto? —mi stupii.
Lei agitò una mano. —È meglio che il processo avvenga lentamente, una volta che le cellule sono state scongelate. Bisogna somministrare sostanze nutrienti, stimolare il funzionamento del cervello, lasciare loro il tempo di sognare ed evocare eventuali ricordi di poco precedenti all’ibernazione.
Dovevano essere ricordi orribili, pensai. L’ultima cosa che rammentavano erano certamente gli Skorpis che li trascinavano nelle casse. Avevano lottato? Cercato di resistere? Oppure erano andati incontro al loro infelice destino rassegnati, convinti di essere stati abbandonati dal loro comandante?
— Inoltre —proseguì il medico —abbiamo appena ricevuto ordini di inserire nel loro cervello nuove tecniche di addestramento. Grazie a un risveglio graduale, avremo la possibilità di programmare queste nuove nozioni nel sistema nervoso.
Non mi preoccupai di interrogarla circa quelle nuove nozioni. Erano certamente informazioni su Bititu. Decisi invece di tornare nel cubicolo che mi avevano assegnato e cominciare a studiare l’asteroide. Era assurdo che fossi meno informato dei miei soldati sulla missione assegnataci.
— Chiamami, quando cominceranno a svegliarsi —dissi.
— A quell’ora avrò finito il turno —mi rispose lei.
— Be’, quanto ci vorrà? Quando cominceranno a riprendere conoscenza?
— Tra sei ore, te l’ho già detto.
Non avendo alcuna reale necessità di dormire, trascorsi quelle sei ore studiando Bititu. Ciò che appresi non era incoraggiante.
Bititu era un asteroide del sistema di Jilbert, una massa di roccia nuda a forma di rene, lunga una decina di chilometri. Lo stesso Jilbert era una stella nana rossastra con un solo pianeta, un gigante gassoso che descriveva un’orbita così vicina da formare con essa un sistema binario. Il resto del sistema era composto da asteroidi, circostanza inconsueta per una stella nana.
A quanto sembrava, l’Egemonia aveva fortificato Bititu, perché dai rapporti risultava che l’interno dell’asteroide era percorso da diversi tunnel difesi da un intero reggimento di creature simili a ragni di cui si parlava soltanto come degli Aracnidi. Di loro si sapeva pochissimo, e si dubitava perfino che fossero dotati di intelligenza. Alcuni scienziati sostenevano che gli Aracnidi non erano intelligenti individualmente bensì parte di un’intelligenza collettiva, come accadeva anche in altre razze.
L’aspetto più deprimente era che di quegli esseri si ignorava quasi tutto poiché non ne erano mai stati catturati vivi. Combattevano fino allo stremo… una prospettiva non troppo allettante per chi doveva affrontarli.
Il comitato scientifico della Suprema Alleanza chiedeva che prendessimo quanti più prigionieri possibili, da utilizzare a fini di studio. Dalla formulazione della richiesta, risultava evidente la convinzione che i soldati massacrassero deliberatamente gli Aracnidi.
“Nonostante la loro apparenza non umanoide” diceva testualmente “gli Aracnidi devono essere trattati come esseri sensibili e intelligenti. L’uccisione indiscriminata di queste creature è punibile secondo quanto stabilito dal codice militare.”
Spensi il video, disgustato. La missione su Bititu si prospettava massacrante. Non c’era modo di prendere l’asteroide se non con un attacco diretto, ma ci saremmo trovati di fronte a un avversario pronto a combattere fino alla morte. Dubitavo, inoltre, che gli Aracnidi si sarebbero fatti prendere prigionieri per soddisfare la curiosità di qualche scienziato.
Con la mente in subbuglio, tornai al centro crionico.
L’ufficiale medico era cambiato; questo era un uomo dai capelli grigi e il colorito cereo di chi non ha mai visto il sole.
— Si stanno riprendendo —bisbigliò, gli occhi fissi sui display incassati nella parete curva davanti a lui, e tanto fitti da ricordare gli occhi sfaccettati di un enorme insetto.