I miei stivali scricchiolavano sui detriti che ingombravano il terreno. Frede e una dozzina di soldati mi seguivano, la visiera abbassata e il dito posato sul grilletto.
— Si direbbe il loro ultimo avamposto —commentò Frede.
Scossi il capo. —No, se sono furbi. Devono aver capito che il fuoco si sarebbe propagato fin quaggiù.
Quattro portelli mimetizzati nel soffitto si spalancarono simultaneamente, e decine e decine di Aracnidi ci piombarono addosso stridendo. Uno mi atterrò sulle spalle, tanto pesante da farmi cadere sulle ginocchia e con tale impeto da strapparmi il fucile di mano. Vidi due formidabili mandibole accostarsi alla visiera e un raggio laser mi ustionò una mano. Afferrai il ragno con tutte le mie forze e lo scaraventai contro la parete di roccia. Il suo duro carapace assorbì il colpo, parecchi artigli penetrarono nella manica della mia tuta, mentre con altre due zampe la creatura mi sparava al petto.
Indietreggiai, senza mollare la presa e sfilai la pistola dalla fondina. La mano mi pulsava, ma chiusi i recettori del dolore e sparai. Il raggio gli attraversò la testa mandandolo a spiaccicarsi contro la parete.
Mi girai: un altro ragno teneva imprigionato uno dei miei soldati e con la zampa libera armeggiava con il detonatore di una granata. L’esplosione li uccise entrambi e scaraventò a terra il resto di noi.
In preda a una furia crescente, uccisi altri due ragni, quindi un terzo che aveva aggredito Frede da tergo e con il raggio laser ripulii una buona metà della caverna.
L’attacco cessò con la stessa subitaneità con cui era cominciato. Quattro dei miei soldati giacevano a terra, morti o morenti. Ma neppure un ragno era rimasto vivo.
Attraverso l’auricolare sentivo Frede respirare a fatica. —Grazie —mi sussurrò. —Stavo per far esplodere una granata.
— Sono kamikaze —dissi io. —Non avremo prigionieri da offrire agli scienziati per i loro studi.
Lei scoppiò in una risata amara. —Che razza di sfiga.
Dopo quattro giorni di intensi combattimenti, potei finalmente comunicare all’ammiraglio Tsihn che Bititu era nelle nostre mani. Avevo perduto quasi l’ottanta per cento dei miei soldati e io stesso ero ferito al petto e al braccio destro.
L’ammiraglio si congratulò con me, sebbene l’immagine rimandata dalla visiera non mostrasse segni evidenti di soddisfazione.
— L’Egemonia non ha ritenuto necessario rinforzare Bititu —si lamentò. —La mia flotta ha aspettato per niente.
Mentre rientravamo sull’astronave madre, mi scoprii a domandarmi perché la Suprema Alleanza ritenesse quella massa di roccia nuda tanto importante da giustificare il massacro di centinaia di soldati. L’Egemonia non doveva pensarla nello stesso modo, visto che si era ben guardata dall’inviare aiuti agli Aracnidi.
Ero amareggiato. Tutte quelle morti significavano davvero qualcosa, oppure non era che un gioco ingaggiato dai Creatori che non esitavano a usare uomini e alieni per il loro divertimento?
Ma che differenza faceva? Seduto nello shuttle, sporco, insanguinato ed esausto, feci quello che facevano gli altri. Appoggiai la testa alla paratia e mi addormentai.
— Non è un gioco, Orion.
Il Radioso era circondato da una luce così intensa da ferirmi gli occhi. Sollevai la mano, ancora dolorante, per schermarli.
Era grave in volto e nel suo tono non vi era traccia del consueto sarcasmo.
— L’equilibrio delle forze pende dalla parte sbagliata —seguitò. —Anya e i suoi stanno lentamente sopraffacendo la Suprema Alleanza.
— Ma abbiamo preso Bititu —protestai, come un bambino in cerca dell’approvazione paterna. —Non è qualcosa?
— Non abbastanza. L’Egemonia non si è fatta trarre in inganno. La flotta aspettava, ma il nemico non è caduto nella nostra trappola.
— Inganno? Tutti quei morti per sostenere un inganno?
— Non del tutto, Orion. Un buon stratega ha sempre più di un obiettivo in mente. —Qualcosa dell’arrogante sicurezza di un tempo trapelò dalla sua voce. —Sul piano militare la vostra esercitazione non ha dato i risultati che mi aspettavo, ma su quello politico sarà forse più fruttuosa.
— Che cosa intendi dire? —volli sapere.
Lui incrociò le braccia sul petto. —Lo saprai, a tempo debito.
Aprii gli occhi e mi ritrovai al mio posto, in mezzo ai soldati addormentati. Ma si destarono quasi tutti quando lo shuttle atterrò con uno scossone.
— Casa, dolce casa —mormorò qualcuno.
— Già. Non puoi immaginare quanto mi sembri invitante ora una capsula per il sonno crionico —gli fece eco un altro.
Quello scambio di battute mi raggelò. Sonno crionico? Questo era tutto quello che aspettavano i miei uomini?
Ci lasciarono riposare per due giorni interi. I feriti gravi furono ricoverati in infermeria, mentre agli altri, me compreso, prestarono le cure necessarie i medici della base. Fummo quindi autorizzati a tornare nei nostri alloggi. Dormimmo, mangiammo e poi dormimmo ancora.
Il terzo giorno, ci vennero consegnate le nuove uniformi con l’ordine di radunarci nel più grande dei bacini di carico. Ufficiali umani che non avevo mai visto prima, in uniforme candida e carichi di decorazioni, ci fecero marciare accompagnati da una musica marziale diffusa da altoparlanti disposti un po’ dappertutto.
Irrigiditi sull’attenti davanti a una pedana improvvisata, ascoltammo parole che elogiavano il nostro coraggio e la nostra lealtà. C’era anche il generale Uxley, che lesse un discorso palesemente preparato.
— La cerimonia sarà trasmessa anche a Loris —mi bisbigliò Frede all’orecchio.
Loris. Il pianeta capitale della Suprema Alleanza, secondo quanto mi diceva la memoria. L’unico pianeta simile alla Terra del sistema di Giotto, distante da essa duecentosettanta anni-luce.
Infine l’ammiraglio Tsihn lesse una menzione d’onore e distribuì medaglie. Era una ricompensa miserabile per tutto quello che avevamo patito, ma i soldati si dimostrarono pateticamente grati del riconoscimento.
Al termine della cerimonia, Uxley ci sorrise amabilmente e annunciò: —Siete in licenza fino al nostro arrivo alla base sei del settore. Li verrete assegnati ad altre missioni. Rompete le righe!
Frede mi seguì, mentre gli altri soldati si raccoglievano in gruppetti, ridendo e chiacchierando animatamente.
— Pronto per un periodo di riposo e riabilitazione? —mi domandò.
— Non è che ci sia molto da fare su questa bagnarola —borbottai io.
— E se ci cacciassimo sotto le lenzuola?
Colsi un lampo malizioso nei suoi occhi. —Per tutto il viaggio?
Frede scoppiò a ridere. —La battuta è buona, Orion, ma di fatto abbiamo soltanto dodici ore.
Non capivo. —Uxley ha detto che eravamo sollevati da ogni incarico…
— Cioè che ci aspetta di nuovo il sonno cronico —Frede si era fatta seria —Non avrai pensato che ci avrebbero dato da mangiare per tutto il viaggio di ritorno? Qualche watt di elettricità per mantenere liquefatto l’azoto costa molto meno di un branco di soldati sempre tra i piedi.
— Ma io credevo…
Mi afferrò per il braccio, strappandomi un sussulto. —Mi dispiace —si affrettò a scusarsi. —Avevo dimenticato che la ferita non si è ancora rimarginata.
— Frede, mi stai dicendo che dopo quello che abbiamo passato, vogliono ficcarci di nuovo nei congelatori?
Lei ebbe un sorriso triste. —Abbiamo avuto la menzione d’onore e una medaglia ciascuno. Trasmetteranno le riprese della cerimonia nella capitale perché i civili possano vederla. Siamo eroi. Che cosa può chiedere di più un soldato?