— E ora che l’abbiamo scacciata dal sistema, tu vuoi tentare di raggiungere gli Antichi.
Aton mi spronava come un paziente insegnante. —È così. E dato che tu sei l’unico con cui gli Antichi hanno accentato di parlare…
— Vuoi che cerchi di contattarli di nuovo —conclusi io.
— Esatto.
La mia mente lavorava a pieno regime, sforzandomi di inserire il nuovo elemento nel mio piano senza far capire ad Aton quale fosse il mio vero obiettivo.
— In tal caso, avrò bisogno di una nave e di uomini.
— Posso mandarti laggiù molto più leggero.
— Lasciandomi in balia di un oceano sconfinato, in attesa, e senza averne la certezza, che gli Antichi si degnino di parlarmi? —replicai. —Posso respirare l’atmosfera di quel pianeta? I pesci che popolano le sue acque sono commestibili?
Lui annuì. —Capisco a che cosa stai mirando, Orion. Vuoi che i sopravvissuti della tua squadra d’assalto vengano riaddestrati per venire con te. È toccante questa tua lealtà verso simili creature.
— Sono esseri umani —lo corressi.
— Sono soldati. Armi. Niente di più.
— I tuoi antenati —volli ricordargli.
La sua risata era piena di sarcasmo. —Non diversamente dai topiragno, Orion. La coscienza ti rimorde anche per loro?
E senza darmi il tempo di rispondere svanì. Ero di nuovo nella mia stanza, chino sul computer.
Digitai alcuni tasti e le informazioni che avevo richiesto comparvero sul video: al comando di una navetta da ricognizione sarei tornato nel sistema di Jilbert e lì avrei contattato gli Antichi per invitarli a entrare a far parte della Suprema Alleanza.
Mi assicurai che ai miei uomini venissero forniti tuti i dati necessari alla missione, e io stesso passai gran parte del tempo nel centro di addestramento, con una serie di elettrodi collegati alla testa, mentre il computer mi bombardava di informazioni. Era forse in quel modo che Aton mi aveva preparato alle varie missioni attraverso lo spazio-tempo?
Di lì a una settimana, i miei soldati erano tornati in vita e la nostra nave era arrivata: sottile, a forma di disco, si chiamava Apollo. Un nome che non suonava gradito alle mie orecchie: proprio nelle sembianze di Apollo, il Radioso si era presentato ai Greci e ai Troiani ammutoliti dal terrore. Ma a parte questo particolare, scoprii che la navetta era dotata di ogni comfort e che l’addestramento aveva trasformato i miei soldati in una squadra efficiente e abile.
Frede era ancora comandante in seconda nonché ufficiale addetto alla navigazione. Jerron era ingegnere-capo. Soldati semplici, che a Lunga e Bititu erano stati solo carne da macello, adesso erano ufficiali, addetti a settori quali armamenti, logistica e servizi medici. Parlavano con ironia di quegli avanzamenti, ma prendevano con molta serietà i nuovi doveri.
E nessuno trascurò di venire a ringraziarmi per aver migliorato le loro posizioni. Emon, l’addetto agli armamenti, fu quello che espresse forse in modo migliore la sua riconoscenza: —Più a lungo resteremo con lei, signore, meglio staremo. Se sopravviviamo anche questa volta, cioè.
E credo che parlasse sul serio.
Passammo due giorni a coordinare i robot addetti alle operazioni di carico; quindi lasciammo la base sei del settore diretti al sistema di Jilbert.
Solo che non ci arrivammo mai.
22
Frede e gli altri erano felici di essere vivi e al comando di un’astronave invece che a combattere da truppe sacrificabili.
— Questo ci rende più importanti agli occhi della Suprema Alleanza —mi disse Frede.
— E il lavoro è più facile —aggiunsi Emon che, da sergente, era stato ferito due volte su Bititu. Quanto a Frede, ora il suo titolo ufficiale era “prima compagna” perché ancora una volta aveva brigato per dividere la branda con me.
Il ponte di comando era compatto, concepito più in ossequio ai principi dell’efficienza che della comodità, e con cinque postazioni soltanto. Tutta la strumentazione era assemblata nelle consolle e negli schermi che ci circondavano. Dalla mia poltrona, potevo vedere tutto ciò che avevo bisogno di vedere, richiamare qualunque file del computer e attivare tutti i sistemi presenti a bordo.
Effettuammo il passaggio nell’iperspazio con l’efficienza di un equipaggio che avesse trascorso anni a bordo della nave. E per quanto riguardava il bagaglio mnemonico e i riflessi, era davvero così. L’addestramento neurologico, sia in stato di veglia sia durante il sonno, lascia sul cervello e sul sistema nervoso un’impronta analoga a quella dell’esperienza.
— Se solo potessimo restare a bordo per sempre! —sospirò Frede una notte. —Dimenticare la guerra e vagare tra le stelle per il resto della vita.
— Ti piacerebbe? —le chiesi.
— Sì! —Mi cinse le spalle nude. —Mai più sonno crionico. Liberi… sarebbe meraviglioso.
— Liberi —ripetei io. In tutte le ere dello spazio-tempo in cui ero esistito non lo ero mai stato.
— Ce ne sono altri —bisbigliò Frede. —Ne hai sentito parlare anche tu.
— Chi sono?
— Disertori. Intere unità scomparse… si sono inoltrate nella giungla e non sono più tornate. Navi che si sono staccate dalla flotta e mai più rientrate alla base.
Sapevo tutto sui disertori. Lukka e la sua squadra di mercenari, che combattevano per sopravvivere dopo il crollo dell’impero ittita; Harkan, che con una banda di ladri batteva i monti dell’Anatolia alla ricerca dei figli ridotti in schiavitù; guerriglieri di migliaia di guerre in migliaia di ere diverse.
— E la guerra? —le domandai con dolcezza. —Il nostro dovere nei confronti della Suprema Alleanza?
Lei esitò per un istante, consapevole di stare davanti a un superiore, benché giacessimo entrambi nudi nello stesso letto.
— Da quanto tempo sei al servizio della Suprema Alleanza, Orion?
Evitai una risposta diretta. —Il tempo finisce col perdere di significato.
— Io da tutta la vita. Come gli altri, del resto. L’esercito è tutto quello che conosciamo. Ed è tutto quello che possiamo aspettarci, fino al giorno in cui saremo uccisi.
C’era una frase chiave, naturalmente, che avevo ricevuto insieme con le istruzioni. Ogniqualvolta i soldati avessero mostrato segni di umanità, o propensione a pensare più a se stessi che alla Suprema Alleanza, avrei dovuto pronunciare le parole: “Ricorda Yellowflower”.
Il pianeta Yellowflower, secondo la versione data dalla Suprema Alleanza, era stato attaccato senza preavviso dalle forze dell’Egemonia e ridotto a uno squallido strato di roccia. Quattro milioni di uomini erano stati uccisi, e la biosfera del pianeta distrutta. Proprio Yellowflower aveva segnato l’inizio della guerra, tre generazioni addietro.
Questo, secondo la versione della Suprema Alleanza. Secondo gli scienziati di Lunga, invece, erano stati i Tsihn, attaccando i mondi dell’Egemonia, a fare scoppiare il conflitto.
Accarezzai i corti capelli di Frede. —Non va poi tanto male, ora. Abbiamo una bella astronave e fino a quando viaggeremo alla velocità della luce nessuno potrà toccarci.
— Ma prima o poi dovremo tornare alla velocità relativistica e alla guerra.
— Forse —mormorai. Non era ancora il momento di metterla a parte delle mie speranze.
Rimasi sveglio a lungo, quella sera. Frede aveva ragione: la galassia era enorme e per una nave non era difficile scomparire tra le stelle. Ma che ne sarebbe stato di tutte le altre navi, le altre squadre d’assalto, dei reggimenti, degli eserciti e delle flotte? Che diritto avevamo di fuggire, quando altri combattevano fino alla morte, umani e alieni, Suprema Alleanza ed Egemonia?
Doveva pur esserci un modo per arrestare quel massacro, mi dissi.
“Un ammonimento, Orion.”
Era la voce degli Antichi, la riconobbi all’istante. Chiusi gli occhi, e per qualche istante avvertii una sensazione di freddo intenso, poi mi parve di affondare nel nulla e infine mi ritrovai a nuotare nelle tiepide acque del loro oceano. Una dozzina o più di Antichi nuotavano al mio fianco, facendo ondeggiare i tentacoli come per salutarmi.