— Questo è il pianeta del sistema di Jilbert oppure sono tornato a Lunga? —volli sapere.
— Che differenza fa? —fu la risposta. —In un certo senso, noi siamo in entrambi i mondi, così come in molti altri.
Pensai di aver capito. Gli Antichi che mi nuotavano accanto provenivano ciascuno da un pianeta diverso. Erano lì per incontrarmi; ognuno di noi era ad anni luce dagli altri e al tempo stesso nuotavamo insieme in quel limpido oceano.
— Avete parlato di un ammonimento —dissi. Percepii la risposta come corale, benché udissi una sola voce.
— Orion, la vostra guerra sta diventando sempre più cruenta e feroce, e questo ci turba.
— Uno dei miei Creatori mi ha chiesto di incoraggiarvi a entrare nella Suprema Alleanza —spiegai. —Pensano che, con voi al loro fianco, potrebbero mettere rapidamente fine al conflitto.
— Sancendo la vittoria della Suprema Alleanza sull’Egemonia.
— Sì.
— Da quando è iniziato questo massacro, ci siamo mantenuti neutrali, come tutti gli altri che hanno raggiunto il nostro grado di maturità.
— Altri?
— Molte, molte razze vivono tra le galassie, Orion. Voi umani avete conosciuto e interagito con quelle che hanno conseguito il vostro stesso elementare stadio di sviluppo. Interagite con i vostri pari. Commerciate con loro, combattete contro di loro.
— Mentre voi, le razze più antiche, restate in disparte.
— Da voi, così come dagli Skorpis, dai Tsihn, da quelli che chiamate Aracnidi, e da tutte le altre ancora prive della saggezza che rifiuta l’autodistruzione.
Mi balenò alla mente l’immagine di un gruppo di anziani intenti a osservare una masnada chiassosa di ragazzini che si contendevano una palla colorata.
— Ma questa vostra guerra sta diventando sempre più violenta —riprese la voce in tono di rimprovero.
— Sembra non avere fine —convenni.
— Avete massacrato miliardi di vostri simili, eliminato ogni forma di vita da interi pianeti, riducendoli a semplici ammassi di roccia. E la violenza è aumentata ancora. Interi pianeti fatti esplodere, come è accaduto ai due mondi esterni del sistema di Jilbert.
— Lo so —mi limitai a dire.
— La violenza sta toccando vertici inauditi. La Suprema Alleanza ha perfezionato un’arma in grado di distruggere una stella. Un’arma capace di provocare il collasso del suo nucleo, creando una supernova.
Avvertii una sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco.
— Questo non può essere permesso.
— Se la Suprema Alleanza utilizzerà questa nuova arma —intervenni —l’Egemonia non avrà pace fino a quando non ne avrà messa a punto una ancora più micidiale.
— Non consentiremo che le stelle vengano distrutte.
— Non consen…?
— Riferisci questo messaggio ai tuoi Creatori, ai capi delle due fazioni. Di’ loro che se tenteranno di distruggere una stella, saranno eliminati dal continuum.
— Eliminati?
— Uomini, Skorpis, Tsihn… tutte le razze impegnate nel conflitto verranno eliminate.
— Come? Che cosa intendete fare?
— Le razze più antiche si sono mantenute neutrali durante le vostre carneficine, ma non possiamo permettere che distruggiate le stelle da cui dipende il continuum. Attaccate una sola stella, e vi spazzeremo via tutti.
Ora la voce si era fatta dura, implacabile.
— Torna dai tuoi Creatori e riferisci le nostre parole, Orion. Il destino di molti dipende da come accoglieranno il nostro ammonimento.
Balzai a sedere sulla branda. Frede dormiva tranquilla al mio fianco. Sul viso le aleggiava un sorriso quasi infantile.
Ancora una volta, gli Antichi mi stavano usando come messaggero. Non era abbastanza che Aton mi manipolasse a suo piacimento? Adesso gli Antichi volevano usarmi per manipolare lui e gli altri Creatori!
Ma poi sorrisi. Forse gli Antichi conoscevano i miei pensieri più nascosti, i miei progetti più segreti? Avevo sperato di impiegare la nave per trovare Anya, e ora loro mi fornivano una ragione per cercarla. Dovevo avvertirla del progetto distruttore della Suprema Alleanza.
Mancava ancora un’ora al termine del terzo turno di guardia quando entrai in sala-comandi e mi offrii di sostituire Dyer, responsabile della logistica. Di fatto, i turni erano poco più di una semplice formalità; finché avessimo viaggiato nell’iperspazio non c’era nulla di cui preoccuparsi, tranne eventuali problemi dovuti al malfunzionamento di qualche apparecchiatura.
Setacciai la memoria del computer in cerca di informazioni sull’Egemonia. Qual era il suo pianeta capitale? Com’era difeso? Avrebbero tenuto conto della bandiera bianca issata su una nave della Suprema Alleanza?
Ovviamente, il computer non era in grado di dirmi se Anya si trovava nella capitale dell’Egemonia. Seppi comunque che il pianeta, chiamato Prime si trovava nel sistema di Zeta. Vidi le immagini delle sue città, e lessi cifre e dati relativi alla popolazione, alla storia, all’economia, ai costumi, alla politica e alla potenza militare. Una miriade di dati, e pochissime interpretazioni.
Le immagini di Prime mostravano una massiccia città di pietra grigia e incombente, eretta su tetre rupi e sormontata da un cielo plumbeo. Le strade, battute da scrosci di pioggia e grandine, erano quasi deserte, ma con giganteschi guerrieri Skorpis di guardia a ogni angolo. Forse svolgevano servizio di polizia o di guardie miliziane. Gli abitanti di Prime avevano un aspetto cupo, arcigno; non uno di loro sorrideva.
— Perché ti interessi a Prime?
Mi girai a incontrare lo sguardo incuriosito di Frede. Premetti un tasto e l’immagine sparì.
— È lì che siamo diretti —risposi.
— A Prime? —strillò quasi lei. —Ma è la capitale dell’Egemonia!
Gli altri quattro uomini di guardia si voltarono a guardarci.
— Ho ricevuto nuovi ordini, segreti —spiegai, senza specificare da chi. —Ci aspetta una missione diplomatica a Prime.
— Ci faranno saltare in aria appena lasceremo l’iperspazio —protestò Frede.
— Auguriamoci di no.
Non fu senza riluttanza che Frede obbedì all’ordine di fare rotta verso la capitale dell’Egemonia. Contavo di inviare messaggi-capsula non appena fossimo entrati nel sistema di Zeta, così da informare i difensori della città della natura pacifica della nostra missione, ma Frede e gli altri erano convinti che prima ci avrebbero bombardato e soltanto dopo verificato la nostra storia. La calma che aveva caratterizzato le nostre giornate fino a quel momento svanì.
C’era qualcos’altro che potevo fare. Quella notte, mentre Frede dormiva, cercai con tutte le mie forze di raggiungere Anya. Invano. Era come stare davanti a un muro troppo alto per essere scalato, o troppo largo per essere aggirato.
Così mi rivolsi ad Aton. Concentrandomi sui miei ricordi della città dei Creatori, mi trasportai nella sua sospensione del continuum. Mi ritrovai in cima a una piramide Maya, nel cuore stesso della città, e così alta da offrirmi una panoramica dei grandi viali vuoti e, in lontananza, del mare. Il calore del sole era mitigato dallo scudo dorato di energia che proteggeva la città.
Aton e altri Creatori erano impegnati in un’animata fitta conversazione proprio lì, in cima alla scalinata di pietra. Stavano in piedi davanti all’altare dei sacrifici: Aton in uniforme bianca e oro; l’uomo dalla barba scura che ritenevo fosse Zeus con indosso una comoda tunica e pantaloni larghi; Ares dai capelli rossi; Hermes, asciutto e dallo sguardo tagliente; e una bella donna dai capelli tiziano che in un’epoca precedente si era presentata sotto le sembianze di Era.