— Allora moriremo.
— Moriremo comunque. Non ci tengo ad avere un mio doppio che passeggia su Loris.
Ma io pensavo ad Anya. Lei sapeva che recandosi a Loris si sarebbe trovata nelle mani di Aton; sapeva che arrendersi alla Suprema Alleanza avrebbe potuto significare la sua morte. Eppure aveva insistito per quell’ultimo, disperato tentativo di pace, perché voleva che quella guerra finisse. Avevo creduto che, come gli altri Creatori, fosse preoccupata solo della sua salvezza, ma ora capivo che anche a lei stavano a cuore i miliardi di esseri umani coinvolti in quella carneficina. Voleva affrontare Aton e fermare la guerra, anche a costo della propria vita.
E io avrei fatto qualunque cosa per aiutarla.
Guardai la consolle dei comandi. Magro giaceva ai suoi piedi, in una pozza di sangue.
— Non sappiamo neanche più dov’è il pianeta —insistette Frede. —Non si può andare alla cieca!
— È la nostra unica speranza.
— Orion, no! —mi ammonì lei.
— Siamo già morti —gridai per farmi sentire al di sopra del frastuono della battaglia. —Che differenza fa?
— Ucciderò tutti gli Skorpis che potrò, ma quanto a fuggire… no!
Era per questo che era stata programmata, lo sapevo bene. “Combatti fino alla fine. Uccidi più nemici che puoi. Non arrenderti mai.”
— Devo tentare —dissi.
Lei mi appoggiò la canna della pistola sotto il mento. Bruciava. —Resta e combatti, Orion.
— Mi spareresti?
— Sparerei a qualunque vigliacco che cercasse di scappare.
Con la coda dell’occhio, vidi tre Skorpis avvicinarsi, facendosi scudo con i corpi dei compagni morti.
— Laggiù! —gridai e sparai. La pistola laser di Frede abbatté un guerriero, io ne uccisi un altro e il terzo trovò rifugio dietro ai suoi compagni.
Abbandonai la protezione della criocapsula, strisciai accanto al corpo ormai freddo di Magro e mi riparai dietro alla consolle. Ma appena sollevai la testa per esaminare la strumentazione, vidi Frede puntarmi contro il fucile.
Il tempo sembrò fermarsi. Non potevo biasimarla se voleva uccidermi. Per quel che mi riguardava, io volevo fare lo stesso con lei. Il teletrasportatore distruggeva tutto ciò che veniva inviato attraverso esso, per assemblarne una copia esatta altrove. Che fossero gli Skorpis a ucciderci o il teletrasportatore, che differenza faceva? Premetti il pulsante di attivazione, gli occhi fissi su Frede. Non aveva staccato il dito dal grilletto.
Ma non sparò.
Di colpo tutto divenne buio. Riconobbi il gelo mortale che mi avviluppò. E per la prima volta compresi che tutte le traslazioni attraverso il continuum a cui ero stato sottoposto erano forme di trasmissione di materia. I teletrasportatori di questa era non erano, in realtà, che rozzi precursori dei prodigi tecnologici usati da Aton e dagli altri Creatori.
Anch’io li avevo usati. Ignorandone i principi di funzionamento: capace soltanto di dirigere certe energie, mi ero spostato nel continuum più di una volta.
Ora, in quel momento di nulla assoluto, mi resi conto che avrei dovuto coordinare non solo la mia traslazione, ma anche quella degli altri. E compresi un’altra cosa: dopo ogni mia morte, il Radioso non mi aveva resuscitato, ma aveva semplicemente realizzato una mia copia. Ogni volta, la mia morte era definitiva e irreversibile, così com’è per ogni essere sulla Terra. Era un nuovo Orion quello che il Radioso ricreava perché eseguisse i suoi ordini e a cui concedeva ricordi da lui selezionati. Scoppiai a ridere nel silenzio infinito del nulla. Non ero immortale; ma semplicemente riproducibile.
Ma questo significava che neppure Aton e gli altri Creatori erano immortali. Si poteva ucciderli. E Anya sarebbe morta, a meno che non avessi trovato il modo di salvarla.
E potevo trovarlo solo su Loris, capitale della Suprema Alleanza, il pianeta da cui Aton seguiva l’andamento della guerra.
L’immagine di Loris si materializzò nella mia mente, un pianeta simile alla Terra con oceani azzurri e nuvole candide. Con il pensiero raggiunsi Frede e gli altri miei compagni. E Anya, congelata nel sonno all’interno della criocapsula.
Percepivo la presenza di osservatori. I Creatori? Aton? No, non avvertivo lo scherno che il Radioso sempre mi riservava, né lo sdegnoso distacco dei suoi amici. Erano gli Antichi. Sentii il calore della loro approvazione e la forza del loro aiuto. Questa volta avevano rinunciato alla loro neutralità per aiutarmi.
— Loris —dissi senza parlare, senza emettere alcun suono. Nell’insondabile vuoto tra le varie dimensioni dello spazio-tempo, ritrovai Anya e i miei soldati, e insieme ci dirigemmo verso il pianeta Loris.
30
Voci intorno a me.
— Che cos’è?
— Ma come può essere?
— Sono comparsi all’improvviso! Plop! Ed erano qui!
Aprii gli occhi, felice di essere di nuovo vivo, di esistere.
Eravamo in una grande piazza illuminata dal sole, tutti quelli sopravvissuti. Frede era ancora china sulla criocapsula, la pistola puntata contro di me. Gli altri stavano accasciati contro i fianchi curvi del sarcofago. La parte raggiunta dai laser degli Skorpis era ancora calda e fumante.
I palazzi che delimitavano la piazza, pavimentata con piastrelle colorate, erano eleganti torri di cristallo e acciaio lucente. Una fontana sprizzava acqua poco lontano dal punto in cui eravamo atterrati. E intorno a noi, uomini e donne vestiti con eleganza che ci guardavano a bocca aperta, quasi fossimo fantasmi o alieni. Il gruppo di curiosi si faceva sempre più numeroso, e si bisbigliavano frasi sommesse all’orecchio o ci indicavano col dito.
E certo non eravamo uno spettacolo rassicurante, una manciata di disperati, coperti di sangue e sudore, le uniformi sporche e lacere. Solo in diciotto eravamo scampati alla morte.
— Ma chi sono? —domandò un’anziana signora.
— Come osano mostrarsi proprio qui?
— Devono essere “soldati”.
— Soldati? Gente dell’esercito?
— Ma che ci fanno qui?
— Devono essere proprio soldati. Guardate, sono armati.
— Le armi non sono autorizzate nella capitale —ci apostrofò un uomo dall’espressione irritata. —Ho chiamato la polizia.
— Come puzzano!
— Sì, puzziamo e abbiamo un aspetto orribile! —gridai. —Abbiamo combattuto e molti di noi sono morti per salvarvi da un’invasione!
Li sentii sussultare.
— È pazzo!
— Ma guardateli! Sono pazzi, è evidente.
— Dov’è la polizia? L’ho chiamata più di un minuto fa.
Non riuscivo a credere alle mie orecchie. —Non sapete che c’è una guerra in corso, sopra le vostre teste? Non sapete che siete in guerra?
— Dev’essere uno scherzo.
— Una sperimentazione teatrale. Le nuove generazioni si divertono a choccare i più anziani.
Mi si avvicinò una donna dai capelli grigi. Mi arrivava appena alla spalla. —È inutile che cerchi di spaventarci. La guerra viene combattuta a migliaia di anni luce da qui.
Scossi la testa, diviso tra lo sgomento e il disgusto, poi le voltai le spalle e tornai dai miei compagni.
Che non erano meno sorpresi dei civili. Frede abbassò la pistola, si appoggiò con le spalle alla criocapsula e scivolò sulla schiena fino a ritrovarsi seduta per terra. Gli altri si distesero sulle piastrelle colorate.
— Questa è Loris? —domandò Frede.
Annuii. —La capitale della Suprema Alleanza.
Si accostò un uomo. —Non potete stare qui. Questa è una pubblica piazza, non un campo militare.
Dovevo restare calmo. —Dove ci suggerisce di andare, allora?
— Come posso saperlo io? Ma… Ah, ecco che arriva la polizia, finalmente!
La folla si aprì per lasciar passare una coppia di lucidi robot che, grazie ai volazaini, si muoveva a pochi centimetri da terra. Privi di gambe, avevano sei braccia, corpo cilindrico e testa conica munita di sensori e microfoni.