Stavo in piedi sulla cima di una collina polverosa, dai fianchi percorsi da solchi profondi, che dominava una vallata deserta. Milioni di anni prima, quello era stato il fondo del mare, ma ora il bacino d’acqua più vicino distava migliaia di chilometri. Eppure, c’era vita: cactus e secchi cespugli marrone, lucertole velenose e minuscoli roditori con grandi occhi rotondi e code sottili e glabre. Gli uccelli cinguettavano fra i rami degli alberi quasi scheletrici. Gli insetti ronzavano nell’aria torrida.
C’era una grande macchia di verde nella vallata, alla periferia di un villaggio. Un grappolo di case fatte di mattoni e fango asciugato al sole con i tetti di rami intrecciati. Uomini e donne lavoravano nei campi vicini.
A prima vista, non notai alcun macchinario, nessun segno che indicasse un grado di evoluzione superiore a quello dell’Età della Pietra. Poi, però, vidi dei pannelli solari sul tetto di un edificio più grande. E uno scudo geodetico, piccolo ma sufficiente a contenere un’antenna per le comunicazioni.
Non c’erano strade, solo sentieri che costeggiavano i campi coltivati.
Non avevo con me che una vecchia uniforme e un antico pugnale legato intorno alla coscia. Con un sorriso soddisfatto, discesi il viottolo, diretto al villaggio.
Arrivai che il sole sfiorava l’orizzonte a ovest; i contadini tornavano dai campi.
Furono sorpresi di vedere un estraneo.
— Chi sei? —mi domandò la giovane donna che apriva il piccolo corteo. Vent’anni circa, capelli color sabbia, occhi blu cielo e una spruzzata di lentiggini sul naso.
— Mi chiamo Orion.
— Di dove sei? E come sei arrivato qui?
Feci un gesto vago verso la collina. —Ho camminato a lungo. Sono lieto di aver trovato il vostro villaggio.
La ragazza mi guardò con sospetto e curiosità insieme.
— Hai detto di chiamarti Orion?
— Questo nome ti dice qualcosa? —le chiesi.
Scosse il capo, incerta. Intanto, gli altri si erano radunati intorno a noi. Ne scrutai i volti familiari. Erano stati clonati da Frede, Magro, Jerron. Notai che la donna più anziana era incinta.
— Qui non viene quasi mai nessuno —mi spiegò la figlia di Frede. —Solo gli ispettori della Suprema Alleanza, una volta l’anno.
— Come si chiama questo pianeta?
— Il suo nome ufficiale è Krakon IV —rispose uno dei ragazzini.
— Sì, lo so. Ma voi, come lo chiamate?
Si scambiarono un’occhiata. —Soltanto Casa.
Sorrisi. Casa. Le loro facce erano stanche e rigate di sudore, ma avevano un aspetto sano e un’espressione felice. I loro genitori avevano trovato una Casa per loro stessi, lontano dalla guerra che avevano conosciuto e combattuto tempo prima.
— Vieni al villaggio con noi —mi invitò la figlia di Frede. —Mia madre e gli altri vorranno vederti.
Sani, felici e per nulla intimoriti da un estraneo. L’intero villaggio si riversò all’aperto per vedere il nuovo arrivato: adulti dai capelli striati d’argento, giovani donne con in braccio gli ultimi nati, bambini vivaci e chiassosi.
Frede sgranò gli occhi nel riconoscermi. Mi corse incontro a braccia aperte e mi strinse forte.
— Orion! —gridò. —Orion!
Riusciva ancora a mettermi in imbarazzo. Con garbo, mi liberai dalla sua stretta, mentre gli altri ci osservavano sorridendo.
— Perché sei qui? —mi domandò, improvvisamente allarmata. I suoi occhi erano sempre luminosi e vigili, nonostante tra i suoi capelli brillasse qualche filo d’argento.
— Volevo vedere come ve la cavate. Tutto qui.
Fui ricompensato da un sospiro di sollievo. Quella sera, ci fu una grande festa. L’aspetto primitivo del villaggio, avevo constatato, era il risultato di una scelta deliberata. I suoi abitanti avevano deciso di vivere in armonia con l’ambiente. Ricavavano l’energia dal sole, producevano particolari batteri per fissare l’azoto necessario ai raccolti e per tenere lontani gli insetti e avevano persino una pompa a energia atomica per l’acqua destinata all’irrigazione.
— Forse, un giorno costruiremo anche un aeromobile —mi disse Frede mentre eravamo a tavola. —Ma per il momento possiamo andare a piedi.
— Mi sembri soddisfatta.
Mi indicò una ragazza con una creaturina in grembo. —Quella bambina è mia nipote, Orion. La nostra seconda generazione procrea naturalmente.
Jerron era morto, mi disse. Di un attacco di cuore. —Magro è il nostro medico, ora. Dispone di tutte le apparecchiature più sofisticate, ma non sono state sufficienti per il povero cuore di Jerron. Lo abbiamo sepolto tra i campi. È stato il nostro primo morto.
Dopo cena, Frede e io facemmo una passeggiata sotto il cielo stellato.
— Hai fatto questo lungo viaggio solo per vedere noi? —volle sapere lei.
— Per quale altro motivo?
Per un attimo, ho temuto che fossi qui per reclutare uomini, —mi confessò.
— Cominciate a essere un po’ troppo in là negli anni per questo.
— Non i nostri figli.
— Non c’è bisogno di soldati. La pace tra l’Egemonia e la Suprema Alleanza dura da più di vent’anni, ormai.
— E in tutto questo tempo, tu non sei cambiato affatto.
— Invecchio più lentamente di te.
In silenzio, ci allontanammo dai campi.
— Stai andando a cercare lei, vero? La donna che ami.
Annuii, nell’oscurità del cielo senza luna. —Sì. Devo trovarla, e non mi importa quanto tempo impiegherò.
— Hai bisogno di aiuto? È per questo che sei venuto?
— No, no. Voi non potete aiutarmi. Devo farlo da solo.
— Non puoi restare qui, invece? Con me?
Guardai il suo volto su cui danzava la luce delle stelle e vidi che era terribilmente serio.
— Vorrei poterlo fare —dissi con tutta la tenerezza di cui ero capace. —Ma devo trovarla. Ovunque sia, devo trovarla.
Frede scosse il capo. —Hai fatto tanto per noi, Orion… Ora non potremmo fare noi qualcosa per te?
Le sorrisi. —Vivete in pace, Frede.
Per me, lo sapevo, non ci sarebbe mai stata pace. Anya era da qualche parte, fra le stelle, e io dovevo trovarla prima che tutti i flussi temporali dell’universo venissero travolti in un caos che avrebbe distrutto il continuum per sempre.
Non ero più una creatura di Aton, obbligato a eseguire i suoi ordini attraverso tutte le ere del continuum. “Ora sono solo un uomo” dissi a me stesso. “Ma resto pur sempre Orion, il Cacciatore. E la mia caccia è appena cominciata.”