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Fummo costretti a bloccare i lavori di assemblaggio non appena fece buio. La sorveglianza doveva essere incessante e non volevo che le luci utilizzate per lavorare servissero al nemico per intercettarci. Non che avessero bisogno di illuminazione per questo. Grazie ai loro antenati felini, gli Skorpis vedevano abbastanza bene al buio.

Ma, almeno, avevamo montato e reso operativi i laser antimissili. Se il nemico avesse tentato di sorprenderci con un attacco missilistico, saremmo stati pronti ad accoglierlo. O almeno lo speravo.

L’attesa era spossante. La notte era buia; non c’era luna e una fitta coltre di nubi faceva da scudo al bagliore delle stelle. Gli insetti erano tornati alla carica, tempestandoci di punture. Gli uccelli notturni emettevano strani richiami a intervalli regolari. Di tanto in tanto, si udiva qualche ululato.

Nessun animale più grande di un lemure era stato identificato su Lunga, rammentai a me stesso. Ma quegli ululati sembravano provenire da bestie decisamente più grosse dei lemuri.

Ci grattavamo le punture, borbottavamo qualcosa tra i denti e aspettavamo.

Io mi ero rannicchiato in una trincea poco profonda sulla destra del canale, con la tuta addosso e il fucile appoggiato su un monticello di terra davanti a me. La retina assicurata alla cintura era piena di granate e confezioni di polvere. La pistola mitragliatrice mi premeva contro il fianco e avevo un pugnale infilato nello stivale. Ripensai a quello donatomi da Ulisse; mi mancava la sua presenza rassicurante, anche se mi sarebbe stato di scarsa utilità sotto la tuta.

Attraverso i sensori della visiera, la foresta appariva tranquilla. Nessun segno del nemico. Vidi un lemure, o un animale simile, arrampicarsi pigramente sul tronco di un albero, fermarsi a guardare nella mia direzione con gli occhioni sgranati, e quindi riprendere la sua corsa fino a scomparire tra il fitto fogliame.

“Devono attaccare questa notte” mi dissi. “Vogliono mettere fuori uso il ricetrasmettitore prima che funzioni. Non ha senso che aspettino fino a…”

— Movimenti sospetti nel quarto settore —bisbigliò al microfono uno dei sergenti.

Era la zona alla mia sinistra. Lanciai un’occhiata oltre il canale: nulla.

Ma nel voltarmi, intravidi qualcosa muoversi tra gli alberi, proprio di fronte a me. “Sono lì” pensai “pronti ad attaccarci.”

E se avessero usato armi nucleari? Quella possibilità mi aveva tormentato per tutto il giorno. I componenti del ricetrasmettitore erano protetti e non sarebbero stati danneggiati neanche da esplosioni ravvicinate. Le nostre tute erano in grado di assorbire le radiazioni, ma una granata nucleare ci avrebbe uccisi quasi tutti in pochi secondi, permettendo così al nemico di avanzare e smantellare la stazione. Non avevamo difese contro armi nucleari tattiche.

E neppure ne possedevamo. La nostra missione era principalmente logistica, e non prevedeva azioni di attacco. Se qualcuno avesse cominciato a lanciare granate nucleari, sarebbe stato il nemico, e per noi sarebbe stata la fine.

Notai altri movimenti tra gli alberi. Certo, noi avevamo i laser telecomandati in grado di intercettare un missile e distruggerlo in alcuni microsecondi. Ma sarebbero riusciti a farlo attraverso il fitto reticolato formato dalle chiome degli alberi? E intercettare una granata a breve distanza e distruggerla? Ne dubitavo.

All’improvviso, tutto si illuminò e un boato scosse la terra. I sensori della mia visiera, sovraccaricati, smisero di funzionare, ma gli occhi mi bastarono per vedere le granate a razzo lanciate contro di noi, rasenti il terreno. I nostri laser risposero, colpendone molte e facendole esplodere in aria come fiori di fuoco.

Tutti i sergenti si misero immediatamente in collegamento con me. Gli Skorpis ci stavano attaccando su circa la metà del perimetro, andando a mettersi proprio sulla nostra linea di tiro.

E ora stavano colpendo anche il mio settore. Uscivano a frotte dalla foresta, sparando ed emettendo spaventose grida di battaglia. Presi il fucile e risposi al fuoco. Erano esseri enormi, persino visti a distanza, con muscoli possenti e occhi da gatto che brillavano sinistri tra i bagliori delle armi.

Mi chinai a regolare il dispositivo antimissile che avevo al polso, in modo che i raggi laser colpissero orizzontalmente. I miei uomini ne sapevano abbastanza per restare incollati al suolo. E intanto gli Skorpis avanzavano inesorabilmente. Vidi corpi divisi a metà, teste scomparire in una nube di vapore, alberi in fiamme. Per un momento l’avanzata parve arrestarsi.

Li tempestammo di granate e vidi il terreno intorno a loro sgretolarsi. Ma non cedevano. Strisciando sugli addominali, continuavano a muoversi verso di noi, incuranti di chi restava indietro, morto o orribilmente ferito. Un’ondata inesorabile e inarrestabile.

E l’allarme che avevo all’altro polso si era attivato. Guardando alla mia sinistra, vidi che i fucili laser telecomandati avevano intercettato qualcosa su cui sparare. Intere squadre di Skorpis stavano scivolando lungo il canale, proprio come avevo previsto. L’attacco alla nostra postazione era stato solo un’azione diversiva.

Un’azione puramente diversiva. Uomini e Skorpis cadevano attorno al perimetro del campo. La foresta era in fiamme. I razzi tagliavano l’aria. Esplosioni violente scuotevano il terreno. I raggi laser lampeggiavano ovunque, in un assurdo fuoco incrociato. Le grida dei miei soldati si mescolavano a quelle disumane degli Skorpis.

E il loro contingente più numeroso stava percorrendo il canale. Avevano superato la barriera delle armi telecomandate ed erano convinti di essersi lasciati alle spalle la difesa nemica. Si muovevano con maggiore rapidità, ora, strisciando sulle ginocchia, in direzione del punto in cui Manfred e i suoi dieci uomini li aspettavano.

Premetti il pulsante collegato alle mine; l’intero canale esplose in una fiammata e cominciò a eruttare polvere e pietre. Vidi corpi smembrati saltare in aria e stagliarsi contro le fiamme che divoravano gli alberi.

Per un istante, fu la quiete. Oppure era stato il tremendo boato della detonazione a rendermi sordo?

— Eccoli di nuovo! —Sembrava la voce del tenente Vorl, appostato a metà strada tra il perimetro e me. Altri Skorpis avanzavano verso la mia postazione, tenendosi chini per evitare i raggi laser. Avanzando, tuttavia.

— Indietreggiare! —gridai al microfono. —Indietreggiare e restringere il perimetro. —Dovendo coprire un raggio inferiore, avremmo potuto intensificare il fuoco.

Per quella che mi parve un’eternità, continuammo a indietreggiare mentre gli Skorpis avanzavano. Il loro numero sembrava sterminato. Ne vidi centinaia smembrati a terra, tuttavia continuavano la loro marcia inarrestabile. Il fucile, ormai incandescente, non funzionava più. Lo buttai da una parte e afferrai la mitragliatrice.

— Ci pisci! —mormorò un soldato al mio fianco. Anche lui doveva avere problemi con il fucile.

— Ci pisci sopra! —ripeté. —Signore.

Dopodiché passò a dimostrarmi quello che intendeva. Mentre i raggi dei laser quasi ci sfioravano la testa, estrasse il pene dalla tuta e orinò sulla canna della pistola. Poi si appiattì sul ventre e riprese a sparare.

— Serve a raffreddarla —spiegò, senza distogliere lo sguardo dal nemico che avanzava. —Un vantaggio che abbiamo sulle donne, signore.

Fu con un certo imbarazzo che lo imitai, ma il fucile riprese a funzionare.

Piano piano, stavamo arretrando verso il centro del nostro campo. Gli Skorpis, evidentemente, erano pronti a sacrificarsi fino all’ultimo uomo pur di distruggerci. Non era una battaglia di logoramento, quella; si combatteva per fare tabula rasa. O noi, o loro.

Come ogni battaglia, tuttavia, ebbe una tregua. Eravamo indietreggiati fino a formare un cerchio compatto attorno al campo. La maggior parte delle tende erano ridotte a brandelli e i laser antimissili erano stati ripetutamente colpiti, ma gli schermi che circondavano il ricetrasmettitore non avevano subito danni. Fino a quel momento, almeno. I numerosi incendi divampati tra gli alberi a ridosso del campo si stavano lentamente spegnendo, lasciando nell’aria un fumo denso e acre.