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Lo schermo impallidì. Walton tornò alla scrivania e si gettò come un disperato sul normale lavoro di routine, cercando di restare occupato per non pensare troppo alle altre cose.

Pochi minuti dopo lo schermo tornò a illuminarsi. Era Fred.

Walton fissò freddamente l'immagine del fratello.

— Be', cosa vuoi? Fred ridacchiò.

— Perché sei così pallido e smunto, fratellino mio? Delusioni d'amore?

— Cosa diavolo vuoi?

— Un'udienza da Sua Altezza il Direttore ad Interim, se così aggrada a Vostra Grazia. — Fred sorrise, e fu un sorriso odioso quant'altri mai. — Una, udienza, privata, se, non, vi, dispiace, mio, signore — disse, scandendo bene le parole.

— Bene. Vieni su.

Fred scosse il capo.

— Spiacente, non mi va. Ci sono troppi dannati impianti-spia nel tuo ufficio. Troviamoci da qualche altra parte, che ne dici?

— Dove?

— Il club al quale appartieni, per esempio. La Sala di Bronzo.

Walton balbettò.

— Ma non posso lasciare l'edificio in questo momento! Non c'è nessuno che…

— Immediatamente — disse Fred, seccato. — La Sala di Bronzo. È nella San Isidro, vero? Nel grattacielo Neville?

— Va bene — disse Walton, rassegnato. — C'è un fabbro che deve salire quassù per fare un certo lavoro. Lasciami il tempo di annullare l'ordine e sarò da te.

— Tu scenderai subito — disse Fred. — Io arriverò cinque minuti dopo di te. E non avrai bisogno di annullare l'ordine. Ero "io" il fabbro.

Neville Avenue, dove sorgeva il grattacielo Neville, era la strada più elegante di tutta New York, un'ampia striscia di ferrocemento che attraversava il West Side, tra l'Undicesima Avenue e la West Side Drive, tra la Quattordicesima e la Quindicesima Strada. Era fiancheggiata da enormi edifici ad appartamenti nei quali i grandi capitalisti dell'epoca potevano avere appartamenti di quattro e perfino cinque stanze; e proprio in fondo alla Avenue, di fronte al grattacielo Neville, c'era la poderosa San Isidro, una fortezza di splendente metallo e di pietra i cui sostegni di berillio e acciaio descrivevano archi possenti di centocinquanta metri e più.

Al centocinquantesimo piano della San Isidro si trovava la riservatissima Sala di Bronzo dalle cui finestre di quarzo si poteva vedere la distesa di Manhattan e la confusione frenetica di New Jersey, dall'altra parte del fiume.

Il jetcottero fece scendere Walton sul piano di atterraggio della Sala di Bronzo; diede una mancia troppo alta al conducente, ed entrò nell'edificio. Una porta di bronzo gli si parò dinnanzi. Toccò con la chiave la piastra segreta; la porta si aprì silenziosamente, e lo fece entrare.

Lo schema colorifico, quel giorno, era il grigio; luce grigia usciva dalle pareti luminescenti, tappeti grigi soffocavano i passi, tavoli grigi con piatti grigi si vedevano nella vasta distesa grigia e discreta. Un cameriere vestito di grigio, alto non più di un metro e trenta, si avvicinò silenziosamente a Walton.

— Lieto di rivederla, signore — mormorò. — Il signore non è venuto qui da tempo.

— No — disse Walton. — Sono stato troppo occupato, purtroppo.

— Terribile tragedia, la morte del signor FitzMaugham. Era uno dei nostri membri più famosi e degni. Il signore desidera la sua solita stanza?

Walton scosse il capo.

— Ho un ospite… mio fratello Fred. Avremo bisogno di una stanza per due. Fred si farà identificare, al suo arrivo.

— Naturalmente. Mi segua, prego.

Lo gnomo lo guidò, attraverso la penombra grigia, fino a un'altra porta di bronzo, e poi lungo un corridoio che pareva un'antica galleria d'arte, tanti erano gli antichi quadri che vi erano appesi. Poi, passando attraverso una sala interna decorata in maniera lussuosa, e oltrepassando una finestra di quarzo così limpida da apparire invisibile, i due salirono un paio di gradini, e videro una porta stretta e alta, sulla quale si trovava una placca rossa.

— Per lei, signore.

Walton accostò la chiave alla placca rossa; la porta si aprì, o meglio si contrasse, come una fisarmonica. Walton entrò, con aria grave passò al cameriere una banconota di grosso taglio, e chiuse la porta.

La stanza era arredata con gusto squisito, sempre in grigio, naturalmente; la Sala di Bronzo era sempre uniformemente monocroma, benché la tonalità variasse sempre durante la giornata e a seconda dell'umore della città. Walton si era continuamente chiesto quale sarebbe stato l'aspetto del Club, senza la rigida regola del colore.

In realtà, sapeva benissimo che nessuna delle pareti della Sala di Bronzo aveva un colore, se non c'era la mano di qualche addetto ai comandi a premere un pulsante. Il Club conteneva molti segreti. Era stato FitzMaugham a sostenere la causa di Walton, proponendo il suo nome per l'ammissione al circolo, e Walton gli era stato profondamente grato.

Si trovava in una stanza abbastanza ampia per contenere comodamente due persone, con una finestra di fronte all'Hudson, un tavolino, un piccolo schermo incastonato discretamente in una parete, e un bar. Walton formò sul disco la combinazione, e ordinò un rum speciale, il suo liquore preferito. Il liquido uscì immediatamente dalla macchina.

Lo schermo emanò d'un tratto una breve, palpitante luce verde, rompendo l'uniformità grigia della stanza. Poi il colore verde fu sostituito dalla testa calva e dal viso arcigno di Kroll, il portiere della Sala di Bronzo.

— Signore, c'è un uomo, fuori, che afferma di essere suo fratello. Dichiara inoltre di avere un appuntamento con lei.

— Ha ragione, Kroll; lo mandi qui. Fulks lo accompagnerà nella mia stanza.

— Solo un momento, signore. Prima è necessario verificare. — Il viso di Kroll svanì e fu sostituito da quello di Fred. — È lui? — domandò la voce di Kroll.

— Sì — disse Walton. — Può fare entrare mio fratello.

Fred pareva un po' stordito dall'opulenza del luogo. Sedette impacciato sulla bassa e comoda poltroncina, evidentemente desideroso di apparire "blasé", e altrettanto evidentemente consapevole dell'insuccesso dei suoi sforzi.

— Davvero un posticino di lusso — disse Fred, finalmente. Walton sorrise.

— Un po' troppo grandioso, per i miei gusti. Non ci vengo spesso. Sai, la differenza tra il mondo esterno e questo posto balza subito agli occhi, e ferisce.

— È stato FitzMaugham a farti entrare qui, non è vero?

Walton annuì.

— Lo pensavo — disse Fred. — Be', forse un giorno, e non troppo lontano, anch'io sarò membro del Club. Allora potremo incontrarci qui più spesso. Sai, non ci vediamo abbastanza, fratellino.

— Ordinati quello che preferisci — disse Walton. — E poi dimmi cos'hai in mente… o stavi solo cercando di ottenere un invito per entrare qui dentro?

— No, c'era molto di più… ma lasciami bere, prima di andare avanti.

Fred si ordinò un Weesuer, e cominciò a sorseggiarlo, prima di voltarsi di nuovo a fissare Walton. Disse: — Una delle piccole abilità che ho imparato nel corso dei miei vagabondaggi è stata l'arte di fare il fabbro. Le porte, per me, non hanno segreti. Sai, in realtà non è molto difficile imparare. Certo, bisogna applicarsi. Come in tutte le cose.

— Sei stato tu a riparare la porta del mio ufficio, allora?

Fred gli strizzò l'occhio. — Ero proprio io. Indossavo una maschera, naturalmente, e avevo preso in prestito la divisa. Le maschere sono molto utili. Oggi le producono molto convincenti. Come, per esempio, quella indossata dall'uomo che fingeva di essere l'amico Ludwig.

— Che cosa ne sai tu di…

— Niente. E questa è la pura verità, Roy. Io non ho ucciso FitzMaugham e non so chi l'abbia fatto. — Vuotò il bicchiere e se ne ordinò un altro. — No, la morte del vecchio è un mistero per me come lo è per te. Ma devo ringraziarti per avere rovinato completamente la porta, quando sei entrato nell'ufficio. Così ho avuto l'occasione di compiere qualche riparazione proprio nel momento in cui ne avevo il maggiore bisogno.