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— Potremmo firmare un trattato di pace perpetua — disse Walton.

— Parole. Mere parole.

— Ma non capisce che non possiamo nemmeno "atterrare" sul vostro pianeta? È troppo grande, troppo pesante per noi. Quali danni potremmo fare?

— Esistono razze — disse il dirnano, con fermezza — che la violenza considerano quale atto sacro, e professione di fede ne fanno! Missili a lunga gittata avete, e poderosi alquanto. Come dunque potremmo fidarci di voi?

Walton sobbalzò, poi ebbe un'improvvisa ispirazione.

— C'è un pianeta, in questo sistema solare, che è adatto al suo popolo, come Labura è adatto al nostro. Intendo parlare di Giove. Potremmo offrirvi il diritto di colonizzare Giove, in cambio del privilegio di colonizzare Labura!

Lo straniero tacque per qualche istante. Stava riflettendo? Era impossibile dire quali emozioni passassero su quel volto. Alla fine lo straniero disse, nel suo bizzarro linguaggio: — Non soddisfacente. Il popolo nostro già da gran tempo raggiunse la stabilità della popolazione. Bisogno non abbiamo di colonie. Son passati molte migliaia di vostri anni dal dì in cui ci avventurammo nello spazio profondo.

Walton provò un brivido. — Molte migliaia di anni! — Capì di trovarsi di fronte a una forma di vita formidabile.

— Abbiamo appreso a stabilizzare nascite e morti — continuò sonoramente il dirnano. — È legge fondamentale dell'universo intiero, e legge che voi terragni apprendere dovrete pria o appresso. Come e qualmente scegliate di ciò fare, riguarda solo gli affari vostri e di nessun altro. Ma noi bisogno non abbiamo di pianeti del sistema vostro, e grande timore ci pervade al pensiero di farvi entrare nel nostro. La materia è semplice di affermazione, difficile di soluzione. Ma siamo aperti a suggerimenti di parte sua forniti.

Walton aveva la mente vuota. Suggerimenti. Ma che razza di suggerimenti avrebbe potuto avanzare?

Sbalordì, pensando a una cosa.

— Abbiamo qualcosa da offrire — disse. — Potrebbe essere di grande valore per una razza che ha raggiunto la stabilità di popolazione. Ve la potremmo dare in cambio dei diritti di colonizzazione.

— Qual è quest'utile merce? — chiese il dirnano.

— L'immortalità — disse Walton.

19

Ritornò a New York da solo, a tarda sera, troppo stanco per dormire e troppo sveglio per rilassarsi. Si sentiva come un giocatore di poker che aveva trionfalmente battuto quattro re con quattro assi, e adesso stava cercando nella mano per trovare alcuni di quegli assi, da mostrare allo scettico avversario.

Lo straniero aveva accettato la sua offerta. Questo era l'unico fatto solido al quale poteva aggrapparsi, nel lungo viaggio solitario notturno da Nairobi a New York. Il resto era un pantano di sabbie mobili, pieno di "se" e di "forse".

"Se" Lamarre poteva essere trovato…

"Se" il siero aveva davvero qualche valore…

"Se" era ugualmente efficace sui terrestri e sui dirnani…

Walton cercò di non pensare alle alternative. Aveva fatto un'offerta folle e disperata, una mossa pazzesca dettata dal panico, e l'offerta era stata accettata. Nuova Terra era aperta alla colonizzazione, "se"…

Il mondo, fuori del jet, era una macchia scura e confusa. Aveva lasciato Nairobi alle 5 e 18, tempo di Nairobi; attraversando otto fusi orari diversi, sarebbe arrivato a New York verso la mezzanotte. Il passaggio a bordo dei jet ultrarapidi rendeva simili cose possibili; avrebbe vissuto per due volte le prime ore del mattino del diciannove giugno.

New York aveva una pioggia di quindici minuti prevista per l'ima di notte. Walton raggiunse il suo appartamento proprio quando la pioggia venne iniziata dai seminatori di nuvole. La notte era un po' calda; si fermò davanti all'ingresso dell'edificio, lasciandosi bagnare dalle gocce. Dopo qualche minuto, sentendosi un po' stupido e molto stanco, entrò, si asciugò, e. andò a letto.

Non dormì.

Quattro tavolette di caffeina lo aiutarono a cominciare la giornata, il mattino dopo. Arrivò al Cullen Building molto presto, verso le otto e trentacinque, e passò qualche tempo ad aggiornare il suo diario privato, spiegando in tutti i particolari il peso della sua trattativa con l'ambasciatore straniero. Un giorno, pensò Walton, uno storico del futuro avrebbe scoperto il suo diario e avrebbe saputo che per un breve periodo, nel 2232, un uomo chiamato Roy Walton aveva agito come assoluto dittatore dell'umanità. La cosa più strana, pensò Walton, era che lui non era affatto spinto da sete di potere, cosa della quale era del tutto privo: era stato messo a forza in quella posizione, e tutti i suoi passi successivi, censurabili dal punto di vista legale, erano stati fatti in piena onestà, per il bene dell'umanità.

Stava razionalizzando? Forse. Ma era necessario. I dittatori erano necessari, pensò Walton, ma dovevano essere aiutati a sopportare il loro carico. L'umanità, senza dittatori, non avrebbe mai potuto andare avanti neppure d'un passo.

Alle nove Walton fece un profondo sospiro e chiamò Keeler della sicurezza. L'uomo della sicurezza fece uno strano sorriso e disse: — Stavo per chiamarla io, signore. Finalmente abbiamo qualche notizia.

— Notizia? Quale?

— Lamarre. Abbiamo trovato il suo cadavere stamattina, circa un'ora fa. Assassinato. L'abbiamo trovato a Marsiglia, in condizioni pessime, in stato avanzato di decomposizione, ma abbiamo fatto un controllo accurato e l'impronta della retina ci ha confermato al di là di ogni dubbio che si tratta di Lamarre.

— Oh — disse Walton, a bassa voce. La testa gli girava. — Al di là di ogni dubbio — ripeté. — Grazie, Keeler. Buon lavoro. Buon lavoro.

— Qualcosa non va, signore? Ha un aspetto…

— Sono molto stanco — disse Walton. — Ecco tutto. Stanco. Grazie, Keeler.

— Lei mi aveva chiamato per qualcosa, signore — gli ricordò gentilmente Keeler.

— Oh, la chiamavo per Lamarre. Penso che sia inutile… grazie, Keeler. — Tolse il contatto.

Per la prima volta Walton provò la disperazione totale, e, dalla disperazione, nacque un senso di calma mortale. Con Lamarre morto, la sua unica speranza di ottenere il siero era di liberare Fred e di recuperare gli appunti dello scienziato dei quali suo fratello si era impadronito. Ma il prezzo di Fred, in cambio degli appunti, sarebbe stato il lavoro di Walton. Il circolo si chiudeva, era sempre stato un circolo chiuso, e lui era come quel serpente che si ritrovava sempre a mordersi la coda.

Forse Fred poteva essere indotto a rivelare dove si trovavano gli appunti. Non era probabile, ma era possibile. E in caso contrario? Walton si strinse nelle spalle. Un uomo poteva fare tanto, e poi doveva cedere le armi. Il "terraforming" si era rivelato un fallimento, l'equalizzazione era un palliativo ridicolo, di valore limitatissimo, e l'unico pianeta extrasolare degno di essere colonizzato apparteneva agli stranieri. Circolo chiuso. Vicolo cieco.

— Ho tentato — disse Walton. — Che tenti un altro, adesso. Io ho fatto la mia parte.

Scosse il capo, cercando di schiarire la nebbia di nulla che d'un tratto l'aveva circondato. I suoi pensieri erano sbagliati, terribilmente sbagliati; lui doveva continuare a tentare, doveva investigare ogni possibile via d'uscita prima di rinunciare, prima di conoscere il sapore amaro della resa.

Le sue dita indugiarono per qualche istante sopra una pillola di tranquillante, poi si ritirarono. Rigidamente, si alzò dalla poltrona e abbassò il pulsante dell'intercom.

— Lascerò l'ufficio per qualche tempo — disse, raucamente. — Inoltri tutte le chiamate al signor Eglin.

Doveva vedere Fred.

La prigione della Sicurezza era un edificio grande e massiccio che sorgeva fuori dei limiti veri e propri della città, una torre senza finestre vicina a Nyach, New York. Il jetcottero privato di Walton scese silenziosamente sul piano di atterraggio, sull'ampio parapetto dell'edificio. Contemplò l'aspetto cupo e metallico dell'edificio per qualche istante.