«Appena in tempo», disse Blaine.
«Il cadavere?»
«Là», disse lui.
Entrarono a precipizio.
La sirena era molto più vicina.
«Era un nostro amico», disse Harriet, con voce incerta. «Mi sembrava un modo orribile di …»
«Mia cara», disse Anita, «penseremo noi a tutto. Gli renderemo gli onori dovuti».
La sirena era diventata un ululato ininterrotto che sembrava riempire la stanza.
Presto! disse Anita. Volate bassi. Altrimenti vi vedranno profilati contro il cielo.
Non aveva ancora finito di parlare e già la stanza si stava vuotando, e non c’era più il cadavere sul pavimento.
La ragazza esitò un attimo, guardandoli tutti e due.
Un giorno mi direte che cos’è successo?
Un giorno, disse Blaine. E grazie.
Di niente, disse Anita. Noi para dobbiamo aiutarci fra noi. Altrimenti ci schiacceranno.
Si girò verso Blaine, e lui sentì il suo tocco, mente contro mente, e all’improvviso vi fu una sensazione di lucciole che volavano nell’ombra della sera, e il profumo di lillà che aleggiava nella foschia dolce, sul fiume.
Poi anche lei scomparve, e la porta si stava richiudendo, e qualcuno bussava violentemente all’altro uscio.
Siediti, disse Blaine a Harriet. Comportati nel modo più naturale che puoi. Mostrati tranquilla, rilassata. Ce ne stavamo qui in pace, a parlare. Godfrey era arrivato con noi, ma se ne è andato in città. Sono venuti a prenderlo, e lui è andato in città con loro. Non sappiamo chi fossero. Dovrebbe essere di ritorno fra un paio d’ore.
D’accordo, disse Harriet.
Sedette su una poltrona e incrociò le mani sulle ginocchia, tranquillamente.
Blaine andò alla porta e fece entrare le forze dell’ordine.
XXII
Belmont stava incominciando a chiudersi. Quando passarono, videro che le finestre delle case erano già state sbarrate, e nel quartiere commerciale, quando vi arrivarono, le luci dei negozi incominciavano a spegnersi.
Più avanti, a circa un isolato di distanza, l’insegna di un albergo splendeva ancora vivida nel crepuscolo, e vicino c’era un’altra insegna lampeggiante: annunciava che il Wild West Bar era ancora disposto ad accogliere qualche cliente.
«Non credo», disse Harriet, «che siamo riusciti a convincere quei poliziotti».
Blaine annuì.
«Può darsi di no. Ma li abbiamo bloccati. Non sono riusciti a trovare niente».
«Per un po’ ho avuto paura che ci arrestassero».
«Anch’io. Ma tu te ne stavi tranquilla, e li prendevi delicatamente in giro. Non riuscivano a sopportarlo, e sono stati felicissimi di togliersi di torno. Devono essersi resi conto che stavano facendo la figura degli stupidi».
Indicò l’insegna lampeggiante del bar.
«Potremmo incominciare da qui», disse.
«È un posto come un altro. E per giunta, è l’unico che sia ancora aperto».
Quando entrarono, la sala del bar era deserta. Il barista stava appoggiato al banco con un gomito e asciugava con lo straccio alcune macchie immaginarie.
Blaine e Harriet si issarono su due sgabelli, proprio in faccia all’uomo.
«Cosa prendete?» chiese lui.
Ordinarono. Il barista prese i bicchieri e le bottiglie.
«Serata fiacca», osservò Blaine.
«È quasi ora di chiudere», disse l’uomo. «Alla gente non piace starsene in giro. Non appena fa buio, corrono al coperto. Tutti quanti».
«Una città turbolenta?»
«No, non particolarmente. È la legge del coprifuoco. Qui è molto rigorosa. Pattuglie dappertutto, e quei poliziotti sono dei duri. La fanno rispettare».
«E lei, allora?» chiese Harriet.
«Oh, io sono a posto, signorina. I poliziotti mi conoscono bene. Sanno come vanno le cose. Sanno che resto qui caso mai capitasse qualche cliente ritardatario, proprio come voi due. Vengono soprattutto dall’albergo. Sanno che devo chiudere bene il locale e spegnere le luci. Mi lasciano sempre qualche minuto di respiro».
«Sembra proprio una legge molto rigorosa», osservò Blaine.
Il barista scosse il capo.
«È per il vostro bene, signor mio. La gente non ha molto buon senso. Se non ci fosse il coprifuoco, se ne starebbero fuori a tutte le ore, in posti dove potrebbe capitargli qualunque cosa».
Si interruppe bruscamente.
«Mi è venuta in mente una cosa», annunciò. «Ho una novità. Magari vorrete assaggiarla».
«Che roba è?» chiese Harriet.
Il barista allungò una mano e prese una bottiglia, e la sollevò per mostrarla.
«Una novità», disse. «Appena arrivata dall’Amo. L’hanno pescata in un posto lontano, chissà dove. È linfa di albero, o qualcosa del genere. Probabilmente piena zeppa di idrati di carbonio. Ho preso un paio di bottiglie dal gestore della Stazione di Scambio. Tanto per provare, sapete. Ho pensato che magari poteva piacere a qualcuno».
Blaine scosse il capo.
«Preferisco di no. Dio sa cosa c’è dentro».
«Lo stesso vale anche per me», disse Harriet.
Il barista ripose la bottiglia, con aria dispiaciuta.
«Non vi biasimo, sapete», disse mentre serviva i cocktails che aveva preparato. «Ho provato ad assaggiarne un sorso. Proprio per sentire che sapore ha, vedete, non ho l’abitudine di bere».
«Non che abbia qualcosa contro questa roba», si affrettò ad aggiungere, quasi fra parentesi.
«No di certo», fece Harriet, comprensiva.
«Ha un sapore abbastanza strano», disse. «Non cattivo, badate bene. Ma neanche molto buono. Ha gusto di muffa. Magari può piacere, quando ci si abitua».
Restò in silenzio per un momento, con le mani piantate solidamente sul piano del bar.
«Sapete cosa penso?» fece poi.
«No», disse Harriet.
«Per tutto il pomeriggio ho continuato a chiedermi se per caso il gestore della Stazione di Scambio non ha combinato lui, questo liquore. Per fare uno scherzo, capite».
«Oh, non avrebbe il coraggio».
«Beh, penso che abbia ragione lei, signorina. Ma tutti quei gestori sono tipi così strampalati. La gente preferisce non avere a che fare con loro… come amicizia, voglio dire, ma quelli riescono egualmente a tenersi informati meglio di chiunque altro, in città. Non devono fare altro che stare ad ascoltare perché sono sempre al corrente dell’ultimo pettegolezzo.
«E poi», disse il barista, sottolineando con il tono di voce quel delitto orribile, «a noi non dicono mai niente».
«Ma che roba!» esclamò Harriet, con entusiasmo.
Il barista sprofondò in un silenzio meditabondo.
Blaine sparò, alla cieca.
«C’è un sacco di gente, in città», fece. «C’è in aria qualcosa di grosso?»
Il barista si mise comodo, in vista di una lunga conversazione, e abbassò la voce, confidenzialmente.
«Vuol dire che non lo sa?»
«No. Siamo arrivati un paio d’ore fa».
«Beh, signor mio, lei magari non ci crederà… ma abbiamo una macchina delle stelle».
«Una che?»
«Una macchina delle stelle. Uno di quegli aggeggi che i para adoperano per andare fra le stelle».
«Non ne ho mai sentito parlare».
«È logico, che non ne abbia mai sentito parlare. Sono permesse soltanto all’Amo».
«Vuol dire che questa è illegale?»
«Non potrebbe essere più illegale di così. La polizia statale l’ha portata al vecchio deposito dell’autostrada. Sa, quello al confine occidentale della città. Magari ci siete passati davanti, quando siete arrivati».