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Blaine rise e tese la mano.

«Sta bene,» disse. «E grazie.»

Grant gli consegnò la vestaglia, e Blaine la soppesò nella mano, e quasi non riusciva a credere che potesse essere tanto leggera.

«Ho ancora un pò di lavoro da fare,» gli disse il gestore. «Se non le dispiace, andrei a finirlo. Lei può sistemarsi qui, dove preferisce.»

«Vada pure,» disse Blaine. «Io finirò di bere e poi mi metterò a dormire. Vuol bere un bicchierino con me?»

«Più tardi,» disse il gestore. «Bevo sempre un goccio, prima di andare a letto.»

«Le lascerò la bottiglia.»

«Buonanotte, signore,» disse il gestore. «Arrivederci a domani mattina.»

Blaine tornò alla poltrona e vi sedette, con la vestaglia ripiegata sulle ginocchia. L’accarezzò con la mano, ed era così soffice e calda che dava l’impressione di essere ancora viva.

Riprese il bicchiere, sorseggiò lentamente il liquore, e continuò a pensare a Rand.

Era probabilmente l’uomo più pericoloso della Terra, nonostante ciò che Stone aveva detto di Finn… Era l’uomo più pericoloso, personalmente: mellifluo e irriducibile, un uomo che svolgeva la politica dell’Amo come se si fosse trattato di ordini divini. Nessun nemico dell’Amo poteva salvarsi da Rand.

Eppure non aveva insistito perché Blaine tornasse indietro con lui. Aveva pronunciato il suo invito senza dargli troppa importanza, come se fosse stata una faccenda di poco conto, e non aveva dimostrato il minimo risentimento, e neppure la minima delusione quando Blaine aveva rifiutato. E non aveva neppure accennato ad usare la forza, sebbene, si disse Blaine, probabilmente questo era dovuto al fatto che non sapeva bene con cosa aveva a che fare. Mentre era sulla sua pista, a quanto pareva, aveva scoperto quanto bastava per mettersi in guardia, per comprendere che l’uomo da lui seguito possedeva facoltà segrete, completamente nuove per l’Amo. Per questa ragione si era mosso lentamente, cautamente, e si era comportato con una disinvoltura che tuttavia non poteva ingannare nessuno. Perché Rand, e Blaine lo sapeva benissimo, era un uomo che non si arrendeva mai.

Doveva avere un asso nella manica, sicuramente, pensò Blaine… un asso così ben nascosto che non ne spuntava neppure un angoletto.

Quindi c’era una trappola pronta, con l’esca innestata. Di questo non c’era dubbio.

Blaine rimase seduto quietamente sulla poltrona, a finire il liquore.

Forse era una grossa sciocchezza restare lì, alla Stazione di Scambio. Forse sarebbe stato molto meglio alzarsi e andarsene. E forse era proprio questo che Rand aspettava da lui. Forse la trappola era piazzata fuori dalla porta, non all’interno della Stazione di Scambio. Era molto probabile, anzi, che quella stanza fosse l’unico posto sicuro dove passare la notte.

Aveva bisogno di stare al coperto: ma non doveva dormire. Forse la cosa migliore da fare era rimanere lì, ma non certo addormentarsi. Poteva sdraiarsi sul pavimento, avvolto strettamente nella vestaglia, e fingere di dormire: ma intanto doveva tener d’occhio Grant. Perché, se in quella stanza c’era veramente una trappola, toccava a Grant farla scattare.

Tornò a deporre il bicchiere sulla tavola, accanto a quello in cui aveva bevuto Rand, e che era ancora semipieno. Spostò la bottiglia in modo da allinearla per bene con i bicchieri. Si cacciò la vestaglia sotto il braccio e si avvicinò al camino. Prese l’attizzatoio e spinse i ceppi ardenti l’uno vicino all’altro, per ravvivare la fiamma che stava per spegnersi.

Si sarebbe sdraiato lì, decise, proprio davanti al fuoco: in questo modo avrebbe avuto la luce delle fiamme alle spalle.

Spiegò con cura la vestaglia. Era soffice e cedevole, quasi come un materasso, nonostante l’assenza di spessore. Se la tirò addosso, e la vestaglia lo coprì tutto, dolcemente, come un sacco a pelo. Non aveva mai provato un simile senso di comodità, dai tempi in cui era un bambino, e se ne stava al calduccio sotto le coperte, nel suo letto, nelle notti più fredde dell’inverno.

Se ne rimase lì disteso, a guardare nell’oscurità del magazzino, al di là della parte che era stata adibita ad alloggio. Riusciva a distinguere le sagome vaghe dei barili, delle casse, delle balle, degli scatoloni. E mentre se ne stava lì, immerso nel silenzio rotto soltanto, talvolta, dal crepitare e dallo scoppiettare del fuoco che ardeva nel camino alle sue spalle, poco a poco percepì il debole odore che aleggiava in quella stanza… l’odore indescrivibile di cose estranee alla Terra. Non era un odore spiacevole, e neppure esotico, e tanto meno sensazionale, ma un odore quale non esisteva, sulla Terra, l’odore composito di spezie e di tessuti, di legno e di viveri, e di tutte le moltissime altre cose che erano state raccolte fra le stelle. Eppure in quel magazzino c’era soltanto un campionario molto ridotto, lo sapeva: soltanto quello che poteva essere considerato necessario per una delle Stazioni di Scambio meno importanti. Ma una Stazione di Scambio che aveva a disposizione tutte le risorse dei giganteschi magazzini dell’Amo, grazie al transo che stava in quell’angolo, e che poteva fornire qualsiasi cosa venisse richiesta.

E questa era soltanto una parte piccolissima dell’immenso traffico con le stelle… era soltanto la parte su cui si potevano mettere le mani, quella minima parte che uno poteva acquistare e possedere.

Perché c’era anche quella parte assai più grande, invisibile, quasi totalmente ignorata dall’attività dell’Amo: procurare e raccogliere e accumulare idee e cognizioni carpite nelle profondità degli spazi.

Nelle università dell’Amo, studiosi provenienti da tutte le parti del mondo frugavano in quelle idee, in quelle conoscenze, e cercavano di stabilire correlazioni e di studiarle, e in qualche caso cercavano di applicarle praticamente, e negli anni futuri sarebbero state proprio quelle conoscenze e quelle idee che avrebbero foggiato il corso e il destino dell’umanità intera.

Ma non si trattava soltanto di questo. C’era, innanzi tutto, la conoscenza e le idee rivelate e poi, in secondo luogo, gli schedari di nozioni e di fatti che venivano tenuti sottochiave o, nella migliore delle ipotesi, riveduti e corretti e censurati da commissioni segrete.

Perché l’Amo, naturalmente, non poteva, per il bene dell’umanità ed anche per il proprio interesse, rivelare al mondo tutto quello che trovava.

C’erano certi punti di vista, filosofie, idee, comunque si potesse chiamarli, assolutamente nuovi che, sebbene fossero validissimi nel contesto delle loro particolari strutture sociali, non erano umani da nessun punto di vista, e non potevano venire adattati neppure con il massimo sforzo d’immaginazione, alla razza umana ed ai valori umani. E ve n’erano altri che, sebbene fossero in pratica applicabili, dovevano venire studiati con la più grande attenzione, per cercare di scoprire i possibili effetti secondari sul pensiero umano e sulla mentalità umana, prima che fosse possibile introdurli, magari obliquamente e per vie traverse, nella struttura culturale dell’umanità. E ve ne erano altri, infine, perfettamente applicabili, che non potevano venire divulgati se non, forse, dopo un centinaio di anni… idee così avanzate, così totalmente rivoluzionarie, che bisognava aspettare che l’umanità maturasse per essere in grado di riceverle…

E proprio in questo doveva esserci qualcosa di ciò che Stone aveva pensato, quando aveva incominciato ad intraprendere la sua crociata per infrangere il monopolio dell’Amo, per condurre gli individui paranormali di tutto il mondo, esclusi dall’Amo, a scoprire almeno in una certa misura l’eredità che era loro di diritto, in virtù delle loro stesse facoltà.

Su questo punto, Blaine poteva dichiararsi d’accordo con Stone, perché non era assolutamente giusto, si disse, che tutti i risultati ottenuti dalla cinetica paranormale venissero incanalati per sempre attraverso il rigido sistema di controlli di un monopolio che, in un secolo di esistenza, aveva perso gran parte della sua fede sincera e della forza delle sue finalità umane per diventare una gigantesca centrale commerciale, quale nessuno, in nessuna epoca, aveva mai avuto occasione di vedere.