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Secondo tutte le leggi dell’onestà, la cinetica paranormale apparteneva all’Uomo, e non ad un gruppo esclusivo di uomini, non ad una corporazione, e neppure ai suoi scopritori o agli eredi dei suoi scopritori… perché la sua scoperta, o la sua realizzazione, in qualunque modo si preferisse chiamarla, non poteva essere in nessun caso l’opera di un solo uomo o di un solo gruppo di uomini. Era qualcosa che doveva diventare di dominio pubblico. Era un fenomeno naturale… una risorsa naturale come lo erano il vento e i boschi e l’acqua.

Alle spalle di Blaine i ceppi, ormai completamente arsi, crollarono in un tonfo fiammeggiante. Lui si voltò per guardarlo…

O cercò di voltarsi.

Ma non riuscì.

C’era qualcosa che non andava.

In un modo o nell’altro, la vestaglia lo aveva avviluppato troppo strettamente.

Fece per scostare le mani dai fianchi, per allentarla, ma non riuscì a scostare le mani, e la vestaglia non si allentò.

Anzi, si strinse. Poté sentire che gli si stava stringendo addosso.

Terrorizzato, cercò di sollevarsi, spingendo verso l’alto il proprio corpo, tentando di mettersi a sedere.

E non ci riuscì.

La vestaglia lo teneva avvinto in una stretta delicata ma infrangibile.

Era immobilizzato efficacemente, come se fosse stato legato con una corda. La vestaglia, senza che lui se ne fosse reso conto, era diventata una camicia di forza che lo teneva bloccato: senza fargli male, ma lo teneva bloccato.

Rimase immobile, disteso sul dorso, e un brivido gelido gli corse lungo la spina dorsale, il sudore gli corse dalla fronte e gli ricadde negli occhi.

C’era stata una trappola.

Lui aveva temuto una trappola.

Era stato in guardia.

Eppure, senza sospettare di niente, di sua spontanea volontà, la trappola se l’era sistemata addosso.

XXV

Rand aveva detto «Ci vediamo», quando gli aveva stretto la mano ed era entrato nel transo. L’aveva detto in tono allegro e molto sicuro. E aveva avuto proprio tutti i motivi, pensò tristemente Blaine, perché aveva già provveduto a ogni cosa. Sapeva esattamente quello che stava per succedere, perché aveva preparato un piano perfetto… l’unico sistema per catturare un uomo di cui si aveva un po’ paura, perché non si sapeva esattamente che cosa ci si potesse aspettare, da lui.

Blaine giaceva sul pavimento, lungo, disteso, tenuto disteso e immobile dalla vestaglia che lo avvolgeva… Però, naturalmente, non era una vestaglia. Era, c’era da giurarlo, una di quelle bizzarre scoperte che l’Amo, per propria comodità, preferiva tenere accuratamente nascoste: perché prevedeva, senza dubbio, di utilizzarle in casi molto speciali.

Blaine frugò la propria memoria e non vi trovò nulla… nulla che alludesse neppure lontanamente ad una cosa di quel genere, forse una specie di parassita, capace di starsene immobile, tranquilla e silenziosa per un tempo indeterminabile, magari, ma che ritornava viva e pericolosissima se veniva posta in contatto con qualche cosa di caldo e di vivo.

Adesso l’aveva catturato, e forse fra un po’ avrebbe cominciato a nutrirsi di lui. o a mettere in pratica ciò che intendeva fare di lui. Era inutile dibattersi e lottare, lo sapeva, perché da ogni movimento del suo corpo, quella cosa lo avrebbe avvinto più strettamente.

Frugò di nuovo nella propria mente, cercando qualcosa che si riferisse alla mostruosità che lo avvolgeva. E all’improvviso trovò un luogo (poteva vederlo, quel luogo), un pianeta cupo e sconvolto, con foreste aggrovigliate e abitanti bizzarri che svolazzavano e strisciavano e si trascinavano. Era un luogo di orrore, quello che lui scorgeva soltanto vagamente attraverso le nebbie del ricordo: era assolutamente certo che quel ricordo non era suo.

Non era mai stato là, e non aveva mai parlato con qualcuno che c’era stato, anche se forse, poteva trattarsi di qualcosa che ricordava di avere visto nel dimensino… in qualche ora oziosa di molti anni prima: ed il ricordo era rimasto sepolto profondamente nella sua memoria insospettato fino a quel momento.

L’immagine diventò più vivida e più chiara, come se da qualche parte, dentro al suo cervello, qualcuno stesse regolando una lente per offrirgli una visione più limpida: e adesso poteva vedere tutti i particolari che agghiacciavano la mente, le forme di vita che popolavano quella giungla caotica. Erano orrende e oscene e strisciavano e serpeggiavano e avevano una ferocia fredda e studiata, la crudeltà dell’indifferenza e dell’ignoranza, spinte soltanto da una fame e da un odio egualmente primordiali.

Blaine fu agghiacciato dall’orrore abissale di quel luogo, perché gli sembrava quasi di essere veramente lì, come se una parte di lui continuasse a giacere sul pavimento, davanti al camino, mentre l’altra metà si trovava, nella realtà più autentica, dentro a quella giungla orribile.

Gli parve di udire un rumore: o meglio, quell’altra metà di lui ebbe l’impressione di udire un rumore, e alzò lo sguardo verso qualcosa che avrebbe potuto essere un albero, anche se era troppo nodoso, troppo irto di spine e troppo maligno per essere un albero vero e proprio; e nell’alzare lo sguardo vide la vestaglia, che pendeva da un ramo, con la polvere di diamanti triturati che scintillava sulla pelliccia, e si accingeva a lasciarsi cadere su di lui.

Urlò, o almeno gli sembrò di urlare, e il pianeta ed i suoi abitanti sbiadirono e scomparvero, come se la mano che stava dentro al suo cervello avesse mosso la lente in modo da mettere fuori fuoco la visuale.

Blaine era ritornato, intero, nel mondo del camino e del magazzino, con il transo che stava là, in un angolo. La porta che dava sul negozio si aprì, ed entrò Grant.

Grant chiuse la porta dietro di sè, lentamente e con cura. Poi si voltò di scatto e rimase lì, in silenzio, immenso e massiccio, a guardare l’uomo sdraiato sul pavimento.

«Signor Blaine», disse, sottovoce. «Signor Blaine, è ancora sveglio?»

Blaine non rispose.

«Ha gli occhi aperti, signor Blaine. Le è successo qualcosa, a volte?»

«Niente», rispose Blaine. «Me ne stavo semplicemente qui sdraiato a pensare».

«Pensieri piacevoli, signor Blaine?»

«Sì, molto piacevoli».

Grant venne avanti lentamente, silenziosamente come un gatto, come se inseguisse qualcosa. Arrivò alla tavola e prese la bottiglia, se la portò alla bocca e bevve, gorgogliando.

Poi depositò la bottiglia.

«Signor Blaine, perché non si alza? Potremmo starcene seduti a parlare per un po’, e a bere un paio di bicchierini. Non mi capita spesso di fare quattro chiacchiere con la gente. Vengono qui a comprare, naturalmente, ma non parlano con me più di quanto sia strettamente indispensabile».

«No, grazie», disse Blaine. «Sto molto comodo, così».

Grant si scostò dalla tavola, e andò a sedersi su una delle poltrone accanto al cammino.

«È stato un vero peccato», disse, «che lei non sia ritornato all’Amo con il signor Rand. L’Amo è un posto molto interssante».

«Ha proprio ragione», rispose Blaine: rispondeva automaticamente, senza prestargli molta attenzione.

Perché adesso sapeva… Sapeva dove aveva trovato quel ricordo, dove aveva raccolto l’immagine mentale di quell’altro pianeta. L’aveva tratto dalle cataste disordinate di informazioni che aveva ricevuto dal Rosa. Lui in persona, naturalmente, non aveva mai visitato quel pianeta. Ma il Rosa l’aveva visitato.

E quel ricordo non era semplicemente l’immagine del luogo, proiettata come per mezzo d’una lanterna magica. C’era anche tutto uno schedario di dati relativi al pianeta e alle forme di vita che lo abitavano. Ma era ancora in disordine, non erano ancora stati suddivisi, ed era molto difficile orientarsi.