Blaine afferrò la bottiglia nel pugno, e attraversò lo stanzone, si diresse verso le merci accatastate nella sezione destinata a magazzino.
Adocchiò una balla di merce, e la tastò: era morbida e secca. Vi versò sopra il contenuto della bottiglia, e poi scaraventò la bottiglia vuota in un angolo della stanza.
Ritornò al camino, sollevò il parafuoco e lo gettò via, prese la paletta e raccolse un mucchietto di braci fiammeggianti. Andò a scaricare quelle braci sulla balla di merce intrisa di liquore, poi gettò via la paletta, e indietreggiò.
Piccole fiamme azzurrine avvolsero la balla, lingueggiando. Si diffusero e ingrandirono, crepitando.
Tutto bene, pensò Blaine.
Entro cinque minuti, l’edificio sarebbe stato avvolto dalle fiamme. Il magazzino si sarebbe trasformato in un inferno, e niente avrebbe potuto impedirlo. Il transo si sarebbe sfasciato e fuso, e la strada che portava fino all’Amo sarebbe stata chiusa.
Si chinò afferrò Grant per il collo della camicia e lo trascinò verso la porta. Aprì l’uscio e tirò fuori l’uomo, lo portò in cortile, ad una decina di metri dall’edificio.
Grant gemette pesantemente e cercò di sollevarsi sulle mani e sulle ginocchia, poi tornò a ricadere, esausto, al suolo. Blaine si chinò, lo trascinò via, per altri tre o quattro metri: poi lo lasciò andare. Grant mugolò e gemette e si agitò, ma era troppo sfinito e dolorante per potersi rialzare.
Blaine si diresse verso il vicoletto e rimase lì, per un minuto, a osservare. Le finestre della Stazione di Scambio incominciavano a riempirsi del bagliore rosso delle fiamme, ed era una vista molto soddisfacente.
Blaine si voltò e si avviò a passi leggeri, per uscire dal vicoletto.
E adesso, si disse, era proprio il momento più adatto per fare visita a Finn. Fra pochi istanti la città sarebbe stata sconvolta per l’incendio della Stazione di Scambio, ed i poliziotti avrebbero avuto troppo da fare per perdere tempo con un uomo che se ne andava in giro nonostante il coprifuoco.
XXVI
Sui gradini dell’albergo c’era un gruppo di persone. Stavano guardando l’incendio, che saliva ruggendo nel cielo notturno, ad un paio di isolati di distanza. Nessuno prestò la minima attenzione a Blaine. Dei poliziotti, neppure l’ombra.
«Un’altra azione dei rifo, certamente», stava dicendo un tale ad uno che gli stava vicino.
L’altro annuì.
«Chissà mai in che modo funziona il loro cervello», osservò. «Di giorno vanno là a fare acquisti, e poi di notte ci tornano di nascosto e danno fuoco a tutto quanto».
«Ti giuro, in nome di Dio», disse il primo, «che non so proprio come mai l’Amo li sopporti. Potrebbe benissimo reagire e con la massima energia».
«All’Amo non importa un accidente», rispose il secondo. «Io ho passato cinque anni presso l’Amo, e posso garantirti che è un posto proprio strano».
Quelli erano giornalisti, si disse Blaine. L’albergo era pieno zeppo di giornalisti che erano accorsi per assistere al sermone che Finn avrebbe tenuto l’indomani. Guardò l’uomo che aveva detto di avere passato cinque anni presso l’Amo, ma non riusci a riconoscerlo.
Salì i gradini ed entrò: l’atrio era quasi completamente deserto. Infilò i pugni nelle tasche della giacca, perché nessuno vedesse le nocche spellate e sanguinanti.
L’albergo era piuttosto vecchio, e i mobili dell’atrio, a giudicare dal loro aspetto, non erano stati sostituiti ormai da molti anni. Tutto era antiquato e sbiadito, e c’era l’odore vago e acido delle molte persone che avevano vissuto per qualche ora sotto il tetto.
C’erano pochissime persone, sedute qua e là: leggevano il giornale, o se ne stavano semplicemente a guardare nel vuoto.
Blaine alzò lo sguardo verso orologio appeso sopra al bureau: erano le 11 e 30.
Passò davanti al bureau, dirigendosi verso l’ascensore e le scale.
«Shep!»
Blaine si girò di scatto.
Un uomo s’era sollevato pesantemente da una immensa poltrona di cuoio, e stava attraversando l’atrio per venire verso di lui.
Blaine rimase ad attendere che l’uomo si avvicinasse, e intanto aveva l’impressione che minuscole zampe di insetti gli corressero lungo la spina dorsale.
L’uomo tese la mano.
Blaine si tolse la destra dalla tasca, e gliela mostrò.
«Sono caduto», disse. «Ho inciampato, al buio».
«Faresti bene a lavarla», disse.
«È quello che ho intenzione di fare».
«Mi riconosci, non è vero?» domandò l’uomo. «Sono Bob Collins. Ci siamo incontrati un paio di volte all’Amo. Al Bar del Fantasma Rosso, ti ricordi?»
«Sì, certamente», rispose Blaine imbarazzato. «Adesso mi ricordo. In un primo momento mi eri sfuggito di mente. Come va?»
«Abbastanza bene. Mi secca molto che mi abbiano tolto dall’incarico di corrispondente presso l’Amo, ma in questa mafia del giornalismo te ne capitano di tutti i colori, per lo più i tiri più sudici».
«Sei qui per Finn?»
Collins annuì.
«E tu?»
«Sto andando da lui».
«Sarai proprio fortunato, se riesci a vederlo. È su al duecentodieci. E ha un gorilla grande e grosso che monta la guardia davanti alla porta».
«Credo che mi riceverà».
Collins piegò la testa.
«Ho sentito dire che te la sei squagliata. Una voce non ufficiale, naturalmente». «Ma è vero», disse Blaine.
«Mi sembri abbastanza mal conciato», disse Collins. «Non offenderti, ma se hai bisogno di un prestito…»
Blaine rise.
«Posso offrirti qualcosa da bere, almeno?»
«No, debbo andare subito da Finn».
«Stai dalla sua parte?»
«Beh, non precisamente…»
«Senti Shep, all’Amo eravamo buoni conoscenti. Puoi dirmi tutto quello che sai? Qualunque cosa andrà bene. Se faccio un buon servizio, stavolta, magari mi rimandano all’Amo. Ed è il mio desiderio più grande».
Blaine scosse il capo.
«Senti, Shep, qui corrono voci di ogni genere. C’è stato un camion che è finito fuori strada, lungo il fiume. E in quel camion c’era qualcosa, qualcosa che per Finn era terribilmente importante. Le voci sono arrivate fino a noi, e ha fatto sapere che avrà un annuncio sensazionale da fare alla stampa. Ha qualcosa che vuole mostrarci. E corre voce che si tratti di una macchina per le stelle. Dimmi, Shep, potrebbe essere davvero una macchina per le stelle? Nessuno lo sa con sicurezza».
«Io non so niente».
Collins si fece più vicino, e abbassò la voce ad un mormorio incalzante.
«È una faccenda molto grossa, Shep. Se Finn riesce a spuntarla adesso. È convinto di avere messo le mani su qualcosa che liquiderà i Para… tutti i para, e il concetto stesso di PK: lo cancellerà dalla faccia della Terra. Sai che da anni lavora per questo: in modo abbastanza odioso, naturalmente, ma ci sta lavorando da anni. Ha predicato l’odio a destra e a sinistra, in tutto il Paese. È un arruffapopoli di primissimo ordine. E adesso, ha bisogno di qualcosa di decisivo per sferrare il colpo mortale. Se la faccenda gli scoppia in mano, tutto il mondo gli si rivolterà. Se gli va dritta, il mondo chiuderà gli occhi sul modo in cui c’è riuscito, e si scatenerà addosso ai para».
«Hai dimenticato che anch’io sono un para».
«E lo era anche Lambert Finn… una volta».
«C’è troppo odio», disse stancamente Blaine. «Ci sono troppe etichette ingiuriose. I riformatori chiamano "para" i paranormali, e i paranormali chiamano "rifo" i riformatori. E a voi giornalisti non importa un accidente. Non vi importa niente di come si mettono le cose. Non andreste certamente a dare la caccia a qualcuno, a farlo fuori. Ma ci fareste sopra un bell’articolo: pagine e pagine scritte con il sangue. E non vi interessa neppure da che parte provenga, purché sia sangue».