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Strisciò in mezzo agli arbusti che crescevano sotto agli alberi, e si preparò una specie di nido. C’era qualche sasso da spostare, un ramo spezzato da togliere di mezzo. Muovendosi a tentoni nell’oscurità, radunò un mucchio di foglie, e soltanto quando ebbe finito di raccoglierle pensò ai serpenti a sonagli. Comunque, si disse, la stagione era già un pò troppo avanzata perché ci fossero in giro molti serpenti a sonagli.

Si raggomitolò sul mucchio di foglie, ma non stava comodo come aveva sperato. Ma era una sistemazione passabile, e poi non sarebbe rimasto lì per molte ore. Fra non molto sarebbe sorto il sole.

Giacque tranquillo nell’oscurità, e gli avvenimenti di quella giornata incominciarono a marciare spietatamente sullo schermo della sua coscienza… un riassunto mentale che lui tentava di fermare, ma senza riuscirvi.

Incessantemente, le interminabili bobine giravano: squarci e impressioni d’una giornata che era stata molto piena, carichi dell’irrealtà di tutte le analisi a posteriori.

Se almeno fosse riuscito a interrompere quel flusso di ricordi, se fosse riuscito a pensare a qualche cosa d’altro…

E c’era qualche cosa d’altro… la mente di Lambert Finn.

Vi frugò, impacciato, e quella mente lo colpì in piena faccia: un freddo, indomabile groviglio di odio e di paura e di complotti che fremeva e si agitava e brulicava come un barattolo pieno di vermi. E al centro di quella massa c’era l’orrore puro… l’orrore dell’altro pianeta, quel pianeta che aveva trasformato il suo osservatore umano in un pazzo furioso, uscito dalla macchina delle stelle con la bava alla bocca e gli occhi sbarrati, e le dita piegate ad uncino, come artigli.

Era osceno, ripugnante. Era spoglio e crudo. Era tutto ciò che rappresentava l’opposto dell’umanità. Balbettava e squittiva e ululava. Sogghignava come un teschio alieno. Non v’era nulla di chiaro o di pulito: non vi erano particolari che si potevano distinguere, ma la sensazione travolgente di un male abissale.

Blaine si ritrasse con un grido che gli esplodeva nel cervello, e quel grido spazzò via il nucleo centrale di orrore.

Ma c’era un altro pensiero… un pensiero fuggevole e stranamente incongruo.

Il pensiero di Halloween.

Blaine l’afferrò con forza, lottando per impedire che il nucleo dell’orrore alieno si insinuasse in quella specie di film interminabile.

Halloween… la dolce notte di fine ottobre, con le sottili spirali di fumo delle foglie bruciate che aleggiavano per le strade, illuminate dai lampioni o dalla grande luna piena librata proprio al di sopra dei rami più alti degli alberi spogli, più grande di quanto sembrava possibile ricordare, come se si fosse avvicinata un poco di più alla Terra per spiare. Le voci alte e stridule dei bambini risuonavano per le strade, e c’era il ticchettare continuo dei piedi minuscoli, mentre le bande di ragazzini camuffati da folletti facevano il girotondo, gridando di gioia e lanciandosi richiami. Sopra le porte, le lampade erano accese in un bonario invito, e le figurette incappucciate o avvolte nei lenzuoli andavano e venivano, stringendo sacchi che diventavano sempre più pesanti e più colmi per le offerte fatte dai grandi, via via che il tempo passava.

Blaine ricordava tutti i particolari… come se fosse soltanto ieri, come se lui fosse ancora un bambino che correva felice attraverso la città. Ma in realtà, pensò, era stato molto, molto tempo prima.

Era stato prima che il terrore si facesse più denso e più fetido, quando la magia era ancora una moda e nient’altro, e tutti la trovavano ancora divertente, e Halloween era una festa gaia e spensierata. E i genitori non avevano paura che i bambini se ne andassero in giro di notte.

Ma oggi un Halloween sarebbe stato qualcosa di impensabile. Adesso Halloween era un giorno in cui bisognava mettere doppie spranghe alle porte, e chiudere bene il camino, e inchiodare sulla cappa segni cabalistici potentissimi.

Peccato, pensò Blaine. Era stato così divertente. Come quella notte che lui e Charline Jones avevano incominciato a bussare alla finestra del vecchio Chandler, e il vecchio era uscito fuori, ruggendo di indignazione simulata, con un fucile in mano, e loro erano scappati via di corsa, così in fretta che erano caduti nel fosso, dietro alla casa dei Lewis.

E poi quell’altra volta… e quell’altra volta… e si aggrappò a quei ricordi, per non pensare a nient’altro.

XXVIII

Si svegliò tutto indolenzito, e infreddolito e confuso, e non ricordava neppure dov’era. I rami si intrecciavano, sopra la sua testa, ed erano diversi da tutto ciò che lui ricordava di avere visto. Giaceva con il corpo indolenzito dalle asperità del suolo e dal freddo, e fissava quei rami; lentamente ricordò… chi era e dove era.

E perché.

E il pensiero di Halloween.

Si rialzò a sedere, di scatto, e urtò con la testa contro quei rami.

Perché adesso c’era qualcosa d’altro, non il semplice pensiero di Halloween!

Rimase congelato e irrigidito, mentre il furore e la paura turbinavano dentro di lui.

Era diabolico e così semplice… era proprio il tipo di congiura che poteva escogitare un uomo come Lambert Finn.

Era qualcosa che non doveva assolutamente accadere, perché, se fosse accaduta, una nuova ondata di odio e di animosità si sarebbe scatenata contro i para, e, quando anche la reazione rabbiosa si fosse esaurita, ci sarebbero state nuove leggi restrittive. Ma forse non ci sarebbe stato neppure bisogno di nuove leggi, perché la congiura poteva scatenare un pogrom che avrebbe spazzato via migliaia e migliaia di para. La congiura di Halloween avrebbe suscitato una tempesta di indignazione e di rabbia quale il mondo non aveva ancora conosciuto, fino a quel momento.

C’era soltanto una possibilità, e lui lo sapeva bene. Doveva raggiungere Hamilton, perché era il posto più vicino in cui avrebbe potuto trovare aiuto. Senza dubbio gli abitanti di Hamilton lo avrebbero aiutato, perché Hamilton era un villaggio di para che sopravvivevano soltanto grazie alla sopportazione altrui. Se fosse accaduto ciò che era stato predisposto, allora per Hamilton sarebbe stata la fine.

E Halloween, se lui non aveva perduto il conto del tempo che passava era dopodomani. No, era sbagliato: era ormai domani. Se si fosse mosso subito, avrebbe avuto a disposizione due giorni per evitarlo.

Strisciò fuori dai cespugli e vide che il sole era poco più alto delle colline, a oriente. L’aria del mattino aveva un aroma pulito e pungente, e la collina era liscia, coperta dal manto biondo dell’erba conciata dal sole, e scendeva fino alla corrente scura del fiume. Rabbrividì per il freddo, e batté le mani, con forza, per riscaldarsele.

Hamilton doveva trovarsi a nord, lungo il fiume, perché il motel dove era stato ucciso Stone stava sulla strada che si dirigeva a nord, partendo da Belmont, e Hamilton distava dal motel solo tre o quattro chilometri.

Tagliò di traverso, giù per il pendio della collina, e il moto scacciò il freddo che gli intorpidiva il corpo. Il sole che saliva sembrava acquistare via via più forza, e irradiava un calore più intenso.

Raggiunse una barena di sabbia che si addentrava nel corso del fiume. L’acqua era scura per la sabbia e l’argilla in sospensione, e rombava incollerita schiumante attorno all’estremità della barena.

Blaine arrivò fino alla punta, e si accosciò. Tese le mani raccolte a coppa, le immerse, e l’acqua che riuscì ad attingere era piena di sabbia. Alzò le mani unite e bevve e l’acqua aveva un sapore scuro… il sapore dei sedimenti di argilla e di erba vecchia. Quando richiuse la bocca, i granellini di sabbia gli fecero digrignare i denti.