«Quei ragazzi,» disse Carter, «vogliono giocare alle streghe. Spalancare le porte. Portare le macchine da qualche altra parte. Demolire e sfasciare piccoli edifici. Fare udire dappertutto voci e urli e gemiti.»
«Proprio,» disse Blaine. «Come un Halloween dei tempi andati. Ma per le vittime non si tratterebbe di uno scherzo, questa volta. Per loro, sarà come se tutte le forze delle tenebre si scatenassero sul mondo: vedranno folletti maligni e fantasmi e lupi mannari. Già in pratica sarebbe un brutto scherzo, ma nell’immaginazione delle vittime sarebbe una cosa terribile. E la mattina dopo tutti parlerebbero di budella appese alle staccionate, di uomini con le gole tagliate, di bambini rapiti. Non sul posto, non dove queste storie verrebbero raccontate, ma sempre altrove. E tutti lo crederebbero. Crederebbero a qualsiasi enormità sentissero raccontare.»
«Però,» disse Jackson, «non può criticare i ragazzi para se vogliono combinare questo scherzo. Posso assicurarle che lei non può nemmeno immaginare quante ne hanno passate. Sono stati snobbati ed esclusi, messi al bando. Proprio all’inizio della loro vita, si trovano segnati a dito, chiusi nei ghetti…»
«Lo so,» disse Blaine. «Ma bisogna fermarli egualmente. Deve esserci un modo per impedirlo. Voi sapete servirvi della telepatia per telefono. In un modo o nell’altro…»
«Un sistema molto semplice,» disse Andrews. «Ma ingegnoso. Messo a punto due anni fa.»
«E allora servitevene,» disse Blaine. «Chiamate quanta più gente potete. E dite a quelli con cui parlate di far passare la voce. Stabilite una comunicazione a catena…»
Andrews scosse il capo.
«Non riusciremo a metterci in contatto con tutti.»
«Potete tentare!» gridò Blaine.
«Tenteremo, naturalmente,» disse Andrews. «Faremo tutto il possibile. Non ci creda ingrati. Tutt’altro. Le siamo molto riconoscenti. Non potremo mai sdebitarci. Ma…»
«Ma cosa?»
«Lei non può restare qui,» disse Jackson. «Finn le sta dando la caccia. E forse anche l’Amo. E verranno tutti qui a cercarla. Immagineranno che si sia precipitato a rifugiarsi qui.»
«Mio Dio,» gridò Blaine. «Ero venuto per…»
«Ci dispiace,» disse Andrews. «Sappiamo quello che deve provare. Potremmo tentare di nasconderla, ma se la trovassero …»
«E allora? Sulle colline?»
Andrews annuì.
«Mi darete qualcosa da mangiare?»
«Vado a prenderlo,» disse.
«E lei potrà ritornare qui,» disse Andrews, «quando questa faccenda sarà finita, saremo felici di averla con noi.»
«Grazie di tutto,» disse Blaine.
XXX
Stava seduto sotto un albero solitario che sorgeva su di un piccolo sperone d’una collina e guardava l’altra riva del fiume. Uno stormo di anitre stava scendendo lungo la valle, una linea nera profilata contro il cielo, sopra le colline a oriente.
Un tempo, pensò, in quella stagione dell’anno il cielo era annerito dagli stormi che scendevano dal Nord, fuggendo davanti alle avanguardie dei temporali invernali. Ma ormai erano molto pochi… Parecchi erano stati abbattuti dai cacciatori, o erano morti via via che si inaridivano le zone in cui erano abituati a nidificare.
E un tempo, quel territorio era pieno di bisonti, e vi erano castori in quasi tutti i corsi d’acqua. Adesso i bisonti erano completamente scomparsi, ed i castori erano molto rari.
L’Uomo li aveva spazzati via, tutti quanti: gli uccelli selvatici, i bisonti, i castori. E aveva spazzato via anche molte, molte altre cose.
Pensò alla straordinaria capacità che l’Uomo possedeva: spazzare via le altre specie… qualche volta per la paura o per l’odio, qualche volta per puro e semplice interesse.
E la stessa cosa, pensò, stava per accadere anche ai para, se il piano di Finn si fosse realizzato. Quelli di Hamilton avrebbero senza dubbio fatto del loro meglio, naturalmente: ma sarebbe bastato? Avevano a disposizione trentasei ore per stabilire una rete efficiente di comunicazione. Avrebbero ridotto il numero degli incidenti: ma avrebbero potuto evitarli completamente? Gli sembrava veramente impossibile.
Eppure, si disse, lui avrebbe dovuto essere l’ultimo a preoccuparsene, perché l’avevano buttato fuori, lo avevano scacciato. Era la sua gente, in una città che sentiva come casa sua… Eppure lo avevano scacciato.
Si piegò e regolò le cinghie dello zaino in cui Jackson aveva riposto i viveri. Lo sollevò e lo depose accanto a sè, vicino alla borraccia.
Verso sud, poteva vedere il fumo lontano che usciva dai comignoli di Hamilton: e nonostante il senso di collera che sentiva per essere stato scacciato, gli parve di provare ancora quella strana sensazione di essere a casa, che aveva avvertito quando aveva percorso le strade del villaggio. In tutto il mondo dovevano esserci molti villaggi come quello… ghetti moderni, dove i paranormali vivevano cercando di farsi notare il meno possibile. Se ne stavano ammucchiati agli angoli della Terra, in attesa del giorno, che forse non sarebbe mai venuto, in cui i loro figli o i figli dei loro figli sarebbero stati liberi di andarsene in giro, eguali a coloro che erano ancora soltanto normali.
E in quei villaggi, si disse, chissà quante facoltà geniali potevano essere nascoste: facoltà geniali che sarebbero state utili al mondo, ma che sarebbero rimaste ignorate per sempre, a causa dell’intolleranza e dell’odio più ingiustificati.
E la cosa più terribile era che quell’odio e quell’intolleranza non sarebbero mai neppure nati, non sarebbero mai esistiti, se non ci fossero stati uomini come Finn… i bigotti e i fanatici e gli egomaniaci… i puritani duri e intransigenti, gli individui meschini che avevano bisogno del potere per innalzarsi al di sopra della loro piccolezza.
Non c’era molta moderazione nell’umanità, pensò. O era con te o era contro di te. Non c’erano vie di mezzo.
La scienza, per esempio. Poiché la scienza non era riuscita a realizzare il sogno dello spazio interstellare, era caduta dal suo piedistallo. Eppure, gli scienziati continuavano ancora a lavorare come avevano sempre lavorato, per il bene di tutta l’umanità. Fino a quando l’Uomo fosse esistito, ci sarebbe stato bisogno della scienza. All’Amo c’erano schiere di scienziati che lavoravano sulle scoperte e sui problemi che spuntavano in tutta la galassia… eppure, agli occhi delle masse, la scienza era superata e decaduta.
Ma adesso doveva andarsene, si disse. Era inutile rimanere ancora lì. Era inutile pensare. Doveva proseguire, perché non gli restava altro da fare. Aveva dato l’allarme, ed era stato tutto quello che gli uomini di Hamilton gli avevano consentito di fare.
Sarebbe andato a Pierre e avrebbe cercato Harriet al ristorante con le corna d’alce appese sopra la porta. Forse avrebbe trovato qualcuno degli uomini di Stone, che gli avrebbero trovato un posto dove sistemarsi.
Si alzò, e si appese alla spalla lo zaino e la borraccia. E si scostò dall’albero.
Dietro di lui vi fu un fruscio improvviso. Si girò di scatto, mentre i capelli gli si rizzavano sulla nuca.
La ragazza si stava posando al suolo, i suoi piedi sfioravano l’erba proprio in quel momento: ed era aggraziata come un uccello, bella come il mattino.
Blaine la guardò, preso da quella bellezza, perché era la prima volta che la vedeva bene. L’aveva scorta una volta nel chiarore pallido dei fari del camion, e un’altra volta, la sera prima, per pochissimi attimi, in una stanza semibuia.
Lei posò i piedi al suolo e si avviò nella sua direzione.
«L’ho appena saputo,» gli disse. «È una vera vergogna. Tu eri venuto per aiutarci…»
«Non importa,» disse Blaine. «Non nego che mi sia dispiaciuto, ma posso capire il loro punto di vista.»
«Hanno faticato tanto,» disse lei, «per impedire che attirassimo l’attenzione. Hanno cercato di farci vivere in un modo decente. Non possono correre rischi.»