«Lo so,» disse Blaine. «Ho visto molti che non ce l’hanno fatta a vivere in modo decente.»
«Noi giovani siamo una grossa preoccupazione, per loro. Non dovremmo andarcene in giro a fare Halloween, ma non abbiamo nient’altro da fare. Dobbiamo starcene sempre chiusi in casa. E poi non lo facciamo molto spesso.»
«Sono contento che ve ne foste andati in giro, quella notte,» disse Blaine. «Se non ti avessi conosciuta, Harriet ed io saremmo caduti in trappola, con il cadavere di Stone sul pavimento…»
«Abbiamo fatto quello che abbiamo potuto, per Stone. Abbiamo dovuto fare in fretta, e così non è stato un rito ufficiale. Ma erano presenti tutti. L’abbiamo sepolto sulla collina.»
«Non abbiamo potuto mettere una lapide, non abbiamo neppure potuto fare un tumolo. Abbiamo rimesso a posto le zolle d’erba, esattamente come prima. Nessuno se ne accorgerà mai. Ma tutti noi abbiamo tatuato il punto esatto nelle nostre menti.»
«Stone ed io eravamo amici da molto tempo.»
«All’Amo?»
Blaine annuì.
«Parlami dell’Amo, Blaine.»
«Mi chiamo Shep.»
«Bene, Shep. Parlamene.»
«È molto grande (le torri sulla collina, le piazze e i marciapiedi, gli alberi e gli edifici possenti, i magazzini e i negozi, e la gente…)
Shep, perché non ci vogliono?
Non vi vogliono?
Certuni di noi hanno scritto all’Amo, e l’Amo ha mandato le domande di assunzione. I moduli in bianco, nient’altro. Noi li abbiamo compilati e li abbiamo spediti. E non abbiamo mai ricevuto risposta.
Ci sono migliaia e migliaia di persone che vorrebbero entrare nell’Amo.
E allora perché non ce lo permettono? Perché non ci prendono tutti? Una specie di riserva dell’Amo. Dove tutta questa gente spaventata potrebbe trovare finalmente un pò di pace.
Blaine non rispose, e chiuse la propria mente.
Shep! Shep, che cosa succede? Qualcosa che ho detto?
Ascolta, Anita. L’Amo non vi vuole. L’Amo non è quello che credete voi. È cambiato. È diventato una enorme impresa commerciale.
Ma noi abbiamo sempre…
Lo so. LO SO. LO SO. Era la terra promessa. Era la soluzione suprema. Il mondo di sogno. Ma non è niente di tutto questo. È un’azienda. Calcola i guadagni e le perdite. Oh, certo, aiuterà il mondo: farà progredire l’umanità. Teoricamente, e perfino in pratica, è la cosa più grande che ci sia mai stata al mondo. Ma non ha tenerezza né comprensione per gli altri paranormali. Se vogliamo quella terra promessa, dovremo conquistarcela da soli. Dovremo combattere la nostra battaglia: per esempio, fermare Finn e la sua Operazione Halloween…
È proprio questo che sono venuta a dirti. Non funziona.
Il telefono…
Ci hanno lasciato fare due telefonate in tutto. Detroit e Chicago. Poi abbiamo provato a chiamare New York. Immagina! Non riuscire a comunicare con New York! Abbiamo provato Denver, e la linea non funzionava. Così ci siamo spaventati e abbiamo desistito…
Non potete desistere!
Ci stiamo servendo di telepatici capaci di comunicare a grande distanza. Ce n’è qualcuno. Ma è difficile mettersi in contatto con loro. Di solito non si usa molto la telepatia a grandi distanze, e non siamo abituati.
Blaine si sentì prendere da una vertigine di stordimento.
Impossibile comunicare con New York! La linea di Denver non funzionava!
Era impossibile che Finn avesse un controllo così completo della situazione.
Non ha il controllo completo, gli disse Anita. Ha persone fidate piazzate nei punti strategici. Per esempio, potrebbe sabotare l’intera rete di comunicazione mondiale. E c’è sempre qualcuno dei suoi che sorveglia e spia gli insediamenti come il nostro. È un mese che non facciamo telefonate su lunghe distanze. Quando ne arrivano tre in un quarto d’ora, gli agenti di Finn capiscono al volo che c’è qualcosa in aria, e ci isolano.
Blaine si lasciò scivolare lo zaino e la borraccia dalla spalla, li depose al suolo.
«Torno indietro,» disse.
«È inutile. Non potresti fare di più di quello che stiamo facendo noi.»
«Naturalmente,» disse Blaine. «Hai ragione tu. Ma c’è una possibilità. Se riesco a raggiungere Pierre in tempo…»
«Stone abitava a Pierre?»
«Sì. Sapevi di Stone?»
«Ne avevo sentito parlare. Nient’altro. Una specie di Robin Hood dei para. Lavorava per noi.»
«Se potessi mettermi in contatto con la sua organizzazione, e credo di poterlo fare…»
«Anche quella donna abita là?»
«Harriet, vuoi dire? È lei che può mettermi in contatto con il gruppo di Stone. Ma può anche darsi che non sia a Pierre. Non so dove sia.»
«Se potessi aspettare fino a questa notte, potremmo portarti là in volo. Ma di giorno è troppo pericoloso. C’è troppa gente, anche in un posto come questo.»
«Deve distare al massimo una cinquantina di chilometri. Andrò a piedi.»
«Dovrebbe essere più facile andarci sul fiume. Sai portare una canoa?»
«Molti anni fa, sì. Credo di poterlo fare ancora.»
«Ed è più sicuro,» disse Anita. «Non c’è molto traffico, sul fiume. Mio cugino ha una canoa. È qui vicina. Ti mostrerò dov’è.»
XXXI
Il temporale si stava avvicinando, subdolante. Non c’erano stati segni premonitori, a parte l’ingrigirsi graduale del cielo. A mezzogiorno, le nuvole, muovendosi lentamente, nascosero il sole, e alle tre tutto il cielo era coperto, da orizzonte a orizzonte, da un grigiore lanuginoso.
Blaine si piegò sulla pagaia, remando furiosamente, per divorare la distanza. Erano passati molti anni da quando aveva portato per l’ultima volta una canoa: e da molti anni non compiva più sforzi fisici così pesanti, le sue braccia erano irrigidite e intorpidite, le spalle gli dolevano: una fascia d’acciaio sembrava serrargli la schiena, e si faceva sempre più stretta ad ogni colpo di pagaia. Le sue mani erano coperte da vesciche enormi.
Ma non rallentò il ritmo della voga, non attenuò lo sforzo, perché ogni minuto era prezioso. Appena fosse giunto a Pierre, forse non sarebbe riuscito a trovare immediatamente il gruppo dei para che lavoravano con Stone: e, anche se li avesse trovati, forse avrebbero rifiutato di aiutarlo. Avrebbero voluto una conferma della sua identità, avrebbero voluto controllare la storia che avrebbe raccontato, lo avrebbero sospettato di essere una spia di Finn. Se ci fosse stata Harriet, avrebbe potuto garantire per lui, anche se non sapeva bene che posizione avesse quella ragazza, in quel gruppo, e che valore poteva avere la sua parola. E non era neppure sicuro di trovarla a Pierre.
Ma quella era l’ultima speranza. Era la sua ultima speranza, e non poteva lasciarla cadere. Doveva arrivare assolutamente a Pierre, doveva trovare il gruppo di Stone, e doveva fare capire a tutti la gravità della situazione.
Perché, se non ci fosse riuscito, sarebbe stata la fine per Hamilton e per tutte le altre Hamilton che potevano esistere al mondo. E sarebbe stata la fine per gli altri para che non stavano in posti come Hamilton, ma vivevano un’esistenza cauta e precaria in mezzo alla gente normale.
Non sarebbero morti tutti, naturalmente. Ma tutti, o quasi tutti, sarebbero stati dispersi, sarebbero stati costretti a nascondersi dove potevano. I para avrebbero perduto su scala mondiale i taciti accordi e l’imperfetta comprensione che potevano essere arrivati a stabilire con gli umani normali. Per una generazione, avrebbero dovuto sforzarsi di recuperare con lentezza il terreno perduto, passo passo, faticosamente e dolorosamente. Forse per cinquant’anni ancora avrebbero dovuto vivere nell’uragano della rabbia, in attesa che crescesse una generazione più tollerante.