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E nella lunghissima prospettiva che si stendeva davanti a lui, Blaine non riusciva a scorgere la minima possibilità di un aiuto né di comprensione. Perché l’Amo, l’unica organizzazione che avrebbe potuto dare un aiuto, si disinteressava di tutto. Questo l’aveva compreso durante il suo ultimo contatto con Kirby Rand.

Quel pensiero lasciò nella sua mente un sapore amaro di cenere, perché gli toglieva l’ultimo conforto che gli era rimasto… il ricordo dei giorni passati all’Amo. Lui aveva amato l’Amo: gli era dispiaciuto profondamente lasciarlo; aveva rimpianto di averlo abbandonato; molte volte s’era chiesto se non avrebbe fatto bene a rimanere. Ma adesso sapeva che c’era rimasto troppo a lungo, che forse non avrebbe mai neppure dovuto entrare a farne parte… perché il suo posto era lì, lì in quel mondo amaro degli altri para. In loro, pensò, stava la speranza di sviluppare la cinetica paranormale in tutta la sua piena estensione potenziale.

Erano gli spostati del mondo, i reietti, i fuorilegge, perché deviavano dalla norma che l’umanità aveva stabilito nel corso della sua storia. Eppure proprio in quella deviazione consisteva la speranza dell’unità. Gli esseri umani normali, gli esseri umani che avevano potuto portarla. Avevano esaurito il loro compito: adesso la razza si evolveva. S’erano destate e sviluppate nuove facoltà… esattamente come le creature della Terra s’erano evolute e specializzate e poi avevano cominciato ad evolversi fin dal momento in cui la prima debole scintilla di vita aveva incominciato ad esistere, nel ribollire delle sostanze chimiche di un pianeta nuovo e folle.

Cervelli deformi, li chiamavano le persone normali: stregoni, abitatori delle tenebre… e chi poteva negarlo! Perché ogni generazione aveva i suoi criteri, e quei criteri non erano stabiliti secondo una regola universale, ma da una convenzione, dalla volontà di una maggioranza, e la decisione veniva presa in quel mare di pregiudizi e pensieri inesatti e di logica instabile che caratterizzava ogni creatura intelligente.

E lui, si chiese, come poteva inserirsi nel quadro della situazione generale? Perché la sua mente, forse, era ancora più deforme delle altre. Lui non era neppure umano.

Pensò ad Hamilton e ad Anita Andrews e il suo cuore gridò… ma come poteva aspirare ad un paese o ad una donna, come poteva pretendere di diventare una parte di loro?

Si piegò sulla pagaia, cercando di cancellare il pensiero che lo assillava, cercando di interrompere il flusso delle domande che si agitavano nel suo cervello.

Il vento, che poco più di un’ora prima era stato soltanto una brezza leggera, aveva preso a soffiare da una direzione diversa, da nord-ovest, ed era diventato tagliente. La superficie del fiume era increspata dal soffio di quel vento, e qua e là si scorgevano riccioli di schiuma.

Il cielo si abbassò, come se volesse schiacciare la Terra, un cielo fosco che si stendeva da collina a collina, formando un tetto sopra il fiume ed oscurando il sole: gli uccelli fuggivano a rifugiarsi con cinguettii impacciati fra i salici, meravigliati di quell’oscurità prematura.

Blaine pensò al vecchio prete, che, seduto sulla barca, aveva annusato il cielo. C’era un temporale in arrivo, aveva detto: l’aveva sentito giungere.

Ma il temporale non l’avrebbe fermato, pensò rabbiosamente Blaine, mentre spalava freneticamente l’acqua con la pagaia. Nessuna forza sulla Terra lo avrebbe fermato, perché non poteva permetterlo.

Sentì la prima sferzata umida della neve in pieno viso e il fiume stava scomparendo in una grande cortina grigia che scendeva precipitosamente verso di lui. Poteva sentire distintamente il sibilare della neve che colpiva l’acqua, e il gemito famelico del vento, come se un animale gigantesco fosse uscito a caccia, e gemesse per il timore di non riuscire a catturare la preda che fuggiva davanti a lui.

La riva non era lontana più di un centinaio di metri, e Blaine comprese che doveva sbarcare e percorrere a piedi il resto del cammino. Anche nella disperata necessità di affrettarsi, anche nella sua lotta frenetica contro il tempo, si era reso conto che non poteva proseguire sul fiume.

Torse con forza la pagaia per dirigere la canoa verso la riva, e in quel momento il vento lo colpì e la neve si chiuse attorno a lui, e il suo mondo si contrasse in uno spazio che aveva un diametro di poco superiore ad un metro. C’era soltanto la neve, adesso, e le onde violente che fuggivano davanti al vento, sbatacchiando la canoa in una danza pazzesca. La riva era scomparsa, ed erano scomparse le colline. Non c’era più nulla, tranne l’acqua e la neve.

La canoa ondeggiò selvaggiamente, roteò, e in un attimo Blaine perse il senso dell’orientamento. Nel giro di un solo secondo s’era perduto sul fiume, e non aveva la minima idea di dove poteva trovarsi la riva. Sollevò la pagaia e la portò entrobordo, aggrappandosi ai fianchi della canoa, cercando di mantenerla in equilibrio.

Il vento era diventato gelido e tagliente, e colpiva il suo corpo sudato come la lama di un coltello. La neve si ammucchiava sulle sue ciglia, si posava sui suoi capelli, e, sciogliendosi, faceva scorrere sul suo volto rivoli d’acqua.

La canoa danzava e sobbalzava furiosamente, seguendo la direzione delle onde, e Blaine si teneva aggrappato, disperatamente, sperduto, senza sapere che cosa fare, sopraffatto da quell’assalto furioso.

Improvvisamente un gruppo si salici incappucciati di neve uscirono dal grigiore, proprio davanti a lui, a meno di sei metri, e la canoa si avventò diritta in quella direzione.

Blaine ebbe soltanto il tempo di prepararsi all’urto, accovacciandosi sul sedile, con le gambe flesse, le mani che stringevano i bordi della canoa.

La canoa si avventò fra i salici con un suono stridente che venne smorzato del vento, travolto e scagliato via. Lo scafo colpì il suolo e penetrò nello schermo di fronde, poi s’arrestò, inclinandosi lentamente, e rovesciò Blaine nell’acqua.

Dibattendosi ciecamente, tossendo e sputacchiando, si rimise in piedi sul fondo morbido e viscido, aggrappandosi ai salici per tenersi eretto.

La canoa era ormai inutilizzabile. Una pietra nascosta ne aveva squarciato il fondo. Si stava riempendo d’acqua e incominciava ad affondare, lentamente.

Blaine scivolò, quasi cadde, si dibatté, avanzò in mezzo allo schermo di salici, verso il terreno solido. E soltanto quando fu uscito dall’acqua si rese conto che l’acqua era tiepida. Il vento, che lo colpiva attraverso gli indumenti bagnati, sembrava formato da un milione di aghi di ghiaccio.

Blaine si fermò, rabbrividiva. Guardò il gruppo di salici aggrovigliati che si agitavano selvaggiamente nella tempesta di neve.

Sapeva di dover trovare un angolo riparato. Doveva accendere un fuoco. Altrimenti, non sarebbe riuscito a sopravvivere fino alla mattina dopo. Accostò il polso agli occhi, e l’orologio indicava che erano soltanto le quattro del pomeriggio.

Aveva a disposizione, forse, un’altra ora di luce, ed entro quell’ora doveva trovare qualcosa, un rifugio che lo proteggesse dalla neve e dal freddo.

Si avviò, barcollando, costeggiando la riva… e all’improvviso si ricordò che non avrebbe potuto accendere il fuoco. Non aveva più fiammiferi, e anche se li avesse avuti sarebbero stati bagnati, inutili. Molto probabilmente, però avrebbe potuto asciugarli: così si fermò a controllare. Frugò freneticamente tutte le tasche inzuppate d’acqua. E non aveva fiammiferi.

Andò avanti. Se fosse riuscito a trovare un riparo, sarebbe riuscito a sopravvivere anche senza fuoco. Una buca sotto le radici di un albero caduto, magari, o un grosso albero cavo in cui potesse infilarsi… un qualsiasi spazio coperto, dove sarebbe stato protetto dal vento, dove il calore stesso del suo corpo avrebbe potuto asciugare almeno parzialmente i suoi abiti.